lunedì 15 dicembre 2014

Rispetto della morte, anche di un gatto, post recuperato

Ieri notte, in mezzo alla strada, sulla Tiberina, c’era un gatto bianco e grigio travolto da una macchina. Ho raccolto il corpicino. Ancora caldo. E l’ho deposto sull’erba, nelle aiuole che fiancheggiano la strada. La civiltà umana è nata il giorno che un gruppo di uomini decide di seppellire propri morti. Nel mondo di oggi sembra di ritornare a un’epoca che precede questa civiltà. Sulle nostre strade si travolgono uomini senza fermarsi a soccorrerli. Che meraviglia se si lascia per terra un gatto ammazzato dalle ruote di un’automobile? E per un attimo ho tremato: così steso per terra, sembrava il mio Cherubino! Questa è la scintilla che ha acceso la mia riflessione. Il corpicino di un gatto morto non è nulla per chi non ha nessun rapporto emotivo con l’animale. Ma per chi può, e teme, di riconoscervi la perdita di un legame insostituibile, è un impatto che spinge a riflettere sui cardini dell’esistere. Come quando Aristotele osserva che la nobiltà di una scienza non si misura con la nobiltà del suo oggetto, bensì con la giustezza del suo metodo d’indagine. Anche lo studio di un verme (sì, dice proprio così!) può nobilitare una ricerca scientifica, se il metodo d’indagine è corretto. Ecco, temo (di nuovo!), invece, che il nostro rapporto con gli animali, oggi, sia distorto. O un investimento eccessivo, che trasforma l’animale in una creatura che non è, un essere uguale all’uomo, o addirittura superiore (“gli animali sono migliori degli uomini”), oppure un cinico disprezzo, che li considera inferiori e perciò insensibili. Gli uni e gli altri dimenticano che anche noi siamo animali, mammiferi, come il lupo, il cane, il gatto. Ma anche il delfino, l’orso, la volpe.


Fiano Romano, 12 novembre 2014 

Come ascoltare la musica

Schubert non scriveva per tutti, ma prima di tutto per la sua cerchia di amici, e poi per l’aristocrazia e borghesia e piccola borghesia viennese che condivideva i suoi codici estetici. L’idea - populistica – che tutti debbano apprezzare la sua musica col solo sentimento, è un’idiozia. La borghesia di oggi non conosce quei codici estetici. Deve dunque appropriarsene. Quanto agli “operai” erano e sono esclusi dai modelli musicali e dalle intenzioni di Schubert, ma anche di Beethoven, Schumann, Wagner, Verdi. Che Verdi fosse capito dal “popolo” italiano è una menzogna. Lo apprezzava una certa borghesia illuminata, e per di più fraintendendo le sue intenzioni. Se andiamo indietro, la cerchia dei destinatari si restringe. L’Ars Nova francese si rivolge all’aristocrazia feudale ed ecclesiastica, che la capiva, ma spesso anche proprio perciò la contrastava. Vitry e Machaut ereditano anzi la concezione trobadorica della cerchia chiusa, degli iniziati, che soli hanno la chiave per capire o, meglio, intendere i messaggi crittografici di quella musica. Né meglio andava alla corte di Ferrara, con la musica “reservata”. L’isolamento del compositore “intellettuale” non data da oggi, ma è tipica di oggi la velleità di accostarlo senza filtri culturali. Ricordo che ancora allo scoppio della prima guerra mondiale solo il 10 % degli italiani capiva il toscano, divenuto lingua di tutti solo sui libri, e di questo 10 % solo il 10 % sapeva leggere e scrivere. Leggetevi Migliorini e De Mauro e le loro storie della lingua italiana. O la vostra idea degli italiani e della cultura italiana è un fantasma mai esistito. Ciò detto era possibile che un contadino analfabeta della Stiria apprezzasse un Lied di Schubert, ma perché parte de i modelli musicali di riferimento erano gli stessi, vale a dire le melodie.  I modelli musicali del proletariato odierno, ormai trasformatosi in piccola borghesia, non hanno invece niente in comune con la cosiddetta musica “colta” di oggi, e, mi dispiace, ancora meno con quelli di Schubert e di Beethoven. Ciò che fa loro credere di poterli apprezzare è solo l’uso della tonalità. Sfido, perciò, i digiuni di cultura musicale adeguata, che esuli dalla conoscenza di non più di due secoli di musica, diciamo da Bach al primo Schoenberg, a trovare il sentimento di un motetto (si scrive così, con una sola t) di Machaut o di un madrigale di Luzzasco Luzzaschi. O intendere davvero il senso di un sonetto di Guido Cavalcanti.


Fiano Romano, 14 dicembre 2014