sabato 14 maggio 2016

Chopin, mazurke, pianista Alberto Nones



CHOPIN, complete MAZURKAS.
Pianoforte, Alberto Nones.
CONTINUO
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Gli oggetti contengono la possibilità di tutte le situazioni.
E’ manifesto che un mondo, per quanto diverso sia pensato da quello reale, pure deve avere in comune con il mondo reale qualcosa – una forma.
Ludwing Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, 2.014, 2.022
Alberto Nones affronta in questa incisione un’impresa quasi irrealizzabile. E mi spiego. Le mazurke di Chopin sono il frutto più personale della sua personalissima ricerca musicale. Starei per dire: della sua riflessione musicale. E la comincia subito, dall’inizio, come per i notturni, e le polacche, in certo qual modo perfino con un percorso parallelo: mazurke e polacche ne scrisse fin da ragazzo. Una polacca denota come meglio non si potrebbe il suo “ultimo stile”, uno stile che sembra quasi aprirsi ai modi di un Debussy: la Polonaise-Fantaisie op. 61. Il frammento di una mazurka è il suo ultimo lascito musicale. Scrive Liszt: “D’ora innanzi tutti i destini non sono che i rottami galleggianti di un immenso naufragio. ... Mentre il valzer e il galop isolano i danzatori ... nella mazurka la parte affidata all’uomo non la cede né come importanza né come grazia a quella della danzatrice, e il pubblico è anch’esso della partita”[1]. Si suole arricciare il naso, e liquidare come superflui, i primi quattro capitoli del libro che, nel 1850, Liszt ha dedicato a Chopin, per il fatto che a scriverli è stata soprattutto la mano della sua ultima amante, la principessa polacca Carolyne Sayn Wittgenstein; è, tra l’altro, un’antenata del Ludwig Wittgenstein, il filosofo del Tractatus logico-philosophicus, e, naturalmente, antenata anche del fratello del filosofo, Paul, il pianista che aveva perduto il braccio destro in guerra e per il quale Ravel, ma anche Prokofiev, scrissero un Concerto per la sola mano sinistra. Questo passo, dal capitolo dedicato alla definizione di che cosa sia una mazurka, centra, invece, perfettamente il carattere delle mazurke di Chopin: relitti di un naufragio. Confessa Schubert, in una lettera, che la musica gli pare comunque l’espressione di uno stato d’animo triste, perché anche quando canta la gioia, la canta come memoria di una gioia trascorsa, e dunque finita, irrecuperabile. La musica è sempre memoria, mai sentimento in atto. I sentimenti può suscitarli in chi ascolta, ma solo come reazione all’evocazione che la musica fa di qualcosa che, nel momento in cui la evoca, è trascorso, finito. Il padre della poesia moderna, Petrarca, affida alla memoria ogni forma di poesia, perché comunque racconto di una storia, che sia la storia di un individuo o di un popolo. I Trionfi si aprono con uno dei versi più belli della nostra letteratura, e forse della letteratura europea e del mondo: “Per la dolce memoria di quel giorno”. Bejart ne fece il titolo del suo commovente balletto dedicato alla “memoria” del Petrarca. Una danzatrice in abito bianco si muoveva dall’inizio alla fine sulla scena tra i personaggi del balletto. Era l’unicorno, il simbolo della castità: l’astinenza forzata del desiderio, che innerva e condiziona tutta la vita del Petrarca. Freud la dirà sublimazione. Ma per Petrarca quest’astinenza si fa poesia, canto. Il dolore dell’oggetto perduto o irraggiungibile si fa musica. Qualche secolo dopo, Diderot, assiduo lettore del Petrarca, dirà che la musica, il canto, gli sembrano nascere dal grido, essere anzi la stilizzazione stessa di un grido animale, il grido della perdita originaria. Leopardi individua proprio in questo senso della perdita della felicità, sognata più che realmente posseduta, la sorgente della poesia moderna. Abbiamo percorso un lungo giro, da Liszt, e la Saiyn Wittgenstein, a Leopardi, attraverso Schubert, Petrarca e Diderot, per tornare a Chopin. Ma non a caso. Forse, proprio così, con questo vasto giro, siamo arrivati al nodo emotivo, musicale, e poetico da cui nascono le mazurke di Chopin: la perdita della felicità, esse sono il canto che canta questa perdita. E questa felicità era, per Chopin, la sua Mazowia, la terra in cui era nato e in cui è nata e da cui prende il nome la danza che si chiama mazurka. “Io sono un vero Mazowiano”, scrive all’amico Titus. In quella terra, la felicità è la danza di contadini che si chiama mazurka, vista e ascoltata tante volte da bambino, e riascoltata e rivista nei salotti borghesi di Varsavia. Una danza che in realtà si compone di molte danze: il nome mazur è, infatti, generico, e comprende la mazurka vera e propria, mazurek, danza della regione di Varsavia; la Kujawiak, che nasce invece nella vicina Kujawy, e ha andamento più lento; infine l’Oberek, veloce o velocissima[2].  E’ una danza di ritmo ternario, che prevede l’accento in genere sul secondo o terzo movimento, ma anche talora sul primo. Chopin approfitta di questa varietà di accenti e della coesistenza di più danze nella stessa danza, per farle assumere talvolta, nelle sezioni interne, che possono coincidere col trio, il carattere vero e proprio di un valzer, ma quasi sempre un valzer assai leggero, con accenti appena accennati. Questa mutevolezza d’accenti è l’aspetto più difficile da affrontare, quando si suonano le mazurke di Chopin. Ma non è il solo scoglio. Chopin esaspera nelle danze la sua disposizione a evitare gli sviluppi tematici, le variazioni vere e proprie di un tema (a meno che non siano il soggetto della pagina, come le Variazioni su “Là ci darem la mano” dal Don Giovanni di Mozart). Preferisce la ripetizione o la variante di una stessa figura tematica, spesso brevissima. La frase supera di rado le due battute, e l’accento principale cade quasi sempre all’interno della seconda battuta. Questo attribuisce spesso ai temi delle mazurke l’aspetto di una caduta, di un precipitare nel vuoto. Ma a sua volta il tema, o la frase, sono composto di cellule ritmiche e melodiche minime, talora solo ritmiche, o cenni di melodia. Per esempio all’inizio della danza, a figurare l’introduzione strumentale di un organico contadino, violoncello e violino, cornamusa e violino, o anche il solo battito delle mani, due soli valori si ripetono su un pedale di tonica o di dominante: semiminima seguita da una minima (op. 6 n. 2), oppure minima puntata legata alla semiminima della battuta seguente seguita da due semiminime (op. 7 n3). Come si vede, ciò accade già nelle opere giovanili.  Gli incisi che, ripetuti, finiscono per formare la frase, sono generalmente di due crome seguite da una semiminima, oppure una croma puntata seguita da una semicroma che s’appoggia a una semiminima. Insomma, figure che sono moduli correnti della danza popolare. Chopin non cita né assume quasi mai esplicitamente motivi popolari, ma ne ricostruisce il sistema. Come, per esempio, la ripetizione sempre identica, per più battute, di una frase di due battute cambiandone, sotto, nell’accompagnamento, di battuta in battuta, l’armonizzazione. O viceversa, più raramente, lascia immutata l’armonia e cambia la tonalità, o piuttosto, il modo della frase. E qui veniamo all’altro punto essenziale della scrittura di Chopin: l’armonia modale, che spesso genera addirittura ambiguità tonale. Non è sempre facile, infatti, determinare la tonalità di certi passi, a meno che non si ammettano modificazioni modali. E’ del resto tipico della musica modale evitare sviluppi tematici, sostituiti da ripetizioni della frase, magari spostandola di modo in modo. Tutto ciò per dire che Chopin è molto più attento ai sistemi di costruzione musicale della musica popolare di quanto generalmente si pensi o si affermi. Ma è poi tipica della musica “colta” la rielaborazione. La consapevolezza della rielaborazione, che con gli anni dà sempre maggiore spazio al contrappunto, e addirittura al contrappunto imitato, e perfino all’imitazione perfetta, al canone. La struttura delle mazurke è dunque molto complessa, e proprio questa complessità ne rende difficile l’interpretazione. Alberto Nones ne è pienamente consapevole. Proprio questa complessità dei piani costruttivi cerca, infatti, di restituirci con la sua interpretazione. Senza rinunciare, tuttavia, al principio fondamentale dell’interpretazione di ogni pagina di Chopin, la fluidità del percorso e la libertà del fraseggiare. I diversi piani sonori della costruzione musicale devono offrirsi all’ascoltatore in una mutevolissima arte del tocco, non solo per far sentire i contrasti dinamici da battuta a battuta, ma anche l’evidenza delle voci all’interno del contrappunto. I piani sonori si distinguono anche da sezione a sezione della danza. Se la mazurka parte delicata, il suo trio sarà energico o brillante, e viceversa. Senza, però, che ciò costituisca una regola. Il contrasto dinamico può proporsi anche nel corso dell’esposizione di un singolo tema o di una singola frase. Se poi si considera che talora un vero e proprio tema principale non c’è, ma il tema stesso è formato dal succedersi di piccoli incisi tematici, allora si comprenderà la complessità estrema di queste mazurke. Da una parte si prefigurano la concentrazione, la condensazione costruttiva dei tardi pezzi pianistici di Brahms, e la loro forza emotiva, dall’altra l’intensità esplosiva dei piccoli pezzi pianistici del primo Schoenberg, e infine si pensa già a certe rielaborazioni che Bartók fa di danze slave e balcaniche. Ciò che sorprende dell’interpretazione di Nones è proprio la restituzione sonora, l’evidenza musicale di tale complessità strutturale. La varietà delle soluzioni interpretative corrisponde alla varietà veramente mutevole delle soluzioni formali che Chopin propone nelle sue mazurke. Prepararsi, dunque, con calma all’ascolto, chi può magari con la partitura delle mazurke sotto gli occhi, e si seguano a una a una, con calma, le sorprese della danza, liberando da ogni assillo esteriore la mente, e abbandonandosi al flusso miracoloso di una musica, che, da quando fu scritta e suonata per la prima volta, non cessa di sorprenderci per la sua novità, modernità, originalità, e di commuoverci per la sua condensatissima, esplosiva, intricatissima intensità espressiva. Se non è un vero viaggio al Paradiso, come qualcuno ha scritto della Commedia di Dante (il confronto non paia blasfemo, l’altezza della vertigine poetica è la stessa), questo, che sotto la leggerezza della danza nasconde e racconta molti inferni, è tutta via un viaggio dell’intelligenza verso la grazia finale in cui la mente e il cuore si congiungono, razionale e irrazionale si uniscono a definire i confini della bellezza. Provatevi a distinguere, in queste mazurke interpretate da Alberto Nones, dove finisce l’intelligenza della lettura musicale e dove comincia l’emozione della scoperta di un mondo nuovo. Sono esattamente la stessa cosa.
Fiano Romano, 14 maggio 2016


[1] F. Liszt, Chopin, versione italiana di9 Mary Tibaldi Chiesa, Milano, Genio, 1949, pagg.53-58.
[2] Traggo le precisazioni da Gastone Belotti, Chopin, Torino, EDT/MUSICA, 1984, pag. 191.

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