Schubert non scriveva per tutti, ma prima di tutto per la
sua cerchia di amici, e poi per l’aristocrazia e borghesia e piccola borghesia
viennese che condivideva i suoi codici estetici. L’idea - populistica – che
tutti debbano apprezzare la sua musica col solo sentimento, è un’idiozia. La
borghesia di oggi non conosce quei codici estetici. Deve dunque appropriarsene.
Quanto agli “operai” erano e sono esclusi dai modelli musicali e dalle intenzioni
di Schubert, ma anche di Beethoven, Schumann, Wagner, Verdi. Che Verdi fosse
capito dal “popolo” italiano è una menzogna. Lo apprezzava una certa borghesia
illuminata, e per di più fraintendendo le sue intenzioni. Se andiamo indietro,
la cerchia dei destinatari si restringe. L’Ars Nova francese si rivolge
all’aristocrazia feudale ed ecclesiastica, che la capiva, ma spesso anche
proprio perciò la contrastava. Vitry e Machaut ereditano anzi la concezione
trobadorica della cerchia chiusa, degli iniziati, che soli hanno la chiave per
capire o, meglio, intendere i messaggi crittografici di quella musica. Né
meglio andava alla corte di Ferrara, con la musica “reservata”. L’isolamento
del compositore “intellettuale” non data da oggi, ma è tipica di oggi la velleità
di accostarlo senza filtri culturali. Ricordo che ancora allo scoppio della
prima guerra mondiale solo il 10 % degli italiani capiva il toscano, divenuto
lingua di tutti solo sui libri, e di questo 10 % solo il 10 % sapeva leggere e
scrivere. Leggetevi Migliorini e De Mauro e le loro storie della lingua
italiana. O la vostra idea degli italiani e della cultura italiana è un
fantasma mai esistito. Ciò detto era possibile che un contadino analfabeta
della Stiria apprezzasse un Lied di Schubert, ma perché parte de i modelli
musicali di riferimento erano gli stessi, vale a dire le melodie. I modelli musicali del proletariato odierno,
ormai trasformatosi in piccola borghesia, non hanno invece niente in comune con
la cosiddetta musica “colta” di oggi, e, mi dispiace, ancora meno con quelli di
Schubert e di Beethoven. Ciò che fa loro credere di poterli apprezzare è solo
l’uso della tonalità. Sfido, perciò, i digiuni di cultura musicale adeguata,
che esuli dalla conoscenza di non più di due secoli di musica, diciamo da Bach
al primo Schoenberg, a trovare il sentimento di un motetto (si scrive così, con
una sola t) di Machaut o di un madrigale di Luzzasco Luzzaschi. O intendere
davvero il senso di un sonetto di Guido Cavalcanti.
Fiano Romano, 14 dicembre 2014
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