Ecco la conclusione di un racconto da me scritto 35 anni fa.
Immaginavo un incontro notturno tra
Dante e Guido Cavalcanti, avvenuto dopo la morte di Beatrice, quando Dante
sembrò perdersi e disperare di sé stesso. Le riflessioni finali di Guido mi
paiono attualissime: io, almeno, sento di pensare ancora così e di vivere con
la stessa angoscia gli stessi pensieri.
“Un altro giorno e un’altra notte non ci
faranno dire nulla più di quanto abbiamo detto. Spezza pure i confini del tuo
cerchio, cambia stile, cerca il mondo, scruta nell’intrico il filo che ti
mostri il bandolo smarrito: e quando finalmente avrai scoperto l’ordine che ti
manca, dimmi se troverai quell’ordine diverso dall’intrico o se l’intrico si
lascia governare dalla sua legge. Chi sa, forse quell’ordine non ti parrà
diverso da ciò che chiami il mio guardarmi, la sua legge ti sembrerà una copia
dei desideri che ci torturano, la voglia di giustizia una chimera, e come i
desideri e le voglie, anche la legge ti sembrerà incompiuta e inappagata. Sarà
così un altro desiderio, un altro sogno, un’altra disperata immaginazione che
si sovrapporrà ai desideri, ai sogni, alle disperate immaginazioni che ci fanno
sbigottire, quando ci accorgiamo di avere ancora nel nostro petto un respiro da
consumare”.
Quando si dissero queste cose, Guido
aveva trentun anno e Dante venticinque. Morirono entrambi in esilio.
Fiano Romano, 27 aprile 2015
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