martedì 19 gennaio 2016

Beethoven 3, Fidelio, bibliografia



DINO VILLATICO

BEETHOVEN, FIDELIO

BIBLIOGRAFIA


Oltre alla bibliografia generale e specifica già segnalate nella bibliografia del primo corso, sulle strategie compositive, sono utili i seguenti studi:

Sul teatro tra Settecento e Ottocento:

Cesare Molinari, Storia del Teatro, Roma-Bari, Editori Laterza, 200312. In particolare i capp. 22°, Germania culla del repertorio europeo, e 23°, Verso il teatro borghese, pagg. 175-188.

Roberto Tessari, Teatro e spettacolo nel Settecento, Roma-Bari Editori Laterza, 1995.

Claudio Meldolesi e Ferdinando Taviani, Teatro e spettacolo nel primo Ottocento, Roma-Bari, Editori Laterza, 1991.

Sul teatro musicale dell’età di Beethoven:

The New Oxford History of Music. VIII Gerald Abraham, Winron Dean, The Age of Beethoven (1790-1830) (trad. it. di Gabriele Dotto, Donata Aldi e Alessandra Lucioli, Il teatro musicale nell’età di Beethoven, Milano, Feltrinelli, 1991).

Utile, per un panorama della produzione musicale, teatrale e no, dal 1789 al 1827: Gerhard Dietel, Musikgeschichte in Daten, Kassel, Bärenreiter, 1994.

Sul Fidelio:

L. van Beethoven, Fidelio, testo di J. Sonnleithner e G.F. Tritschke. Libretto. “Testi musicati in lingua originale con traduzione a fronte”. Con un saggio introduttivo di Quirino Principe, Milano, Ariele, 1995.

Willy Hess, Das Fidelio-Buch, Winterthur, Amadeus-Verlag, 1986.

Paul Robinson, Fidelio, “Cambridge Opera Handbooks”, Cambridge, 1991.

Daniel Banda, Beethoven: Fidelio, une écoute ressentie, Paris, L’Harmittan, 1999.

Beethovens langer Weg zum “Fidelio”, in Opernkomposition als Prozess, a cura di Werner Breig, Bärenreiter, 1996.

Michael C. Tusa, The Unknown Florestan: The 1805 Version of “In des Lebens Frühlingstagen, in JAMS 1993.

Philip Gossett, The Arias of Marzelline: Beethoven as Composer of Opera, in Beethoven-Jahrbuch II/10, 1978-81.

Fedele d’Amico, La faticosa nascita del “Fidelio”, programma di sala per la stagione 1976-77 del Teatro dell’Opera di Roma.

Giovanni Carli Ballola, Un’opera diversa, programma di sala del 15 marzo 1990 per il Teatro Comunale Giuseppe verdi di Trieste.

Anselm Gerhard, O Dio! Quale istante!, programma di sala del  24 aprile 1998 per il Teatro La Fenice di Venezia. Sullo stesso programma: Stéphane Braunschweig, Interrogarsi sulla libertà. E’ la riflessione intelligente di un regista intelligente. E così il Fidelio, nato per il teatro, viene restituito al teatro.

Ottima la voce Fidelio, nel New Grove’s Dictionary of Opera, London, Macmillan, 1992, II, pagg. 182-186.

Utile visitare il sito della  Beethoven-Haus di Bonn: www.beethoven-haus-bonn.de.

La sezione Musica in scena del DEUMM,  che dovrebbe corrispondere al Grove Opera, scandalosamente ne fa solo una breve menzione (appena cinque paginette), nel quarto volume (Torino, UTET, 1995), alle pagg. 172-176, nella sezione dedicata al Singspiel, firmata da Elisabetta Pirolo. Molte sono le inesattezze e le approssimazioni: tra l’altro non si fa cenno all’influsso determinante dell’opéra-comique francese e manca qualsiasi accenno d’un’analisi musicale (il Grove specifica per esempio le forme musicali adottate da Beethoven per ciascun numero della partitura, precisazione indispensabile, visto che la forma delle arie non è mai quella del melodramma italiano, ma o deriva dall’opéra-comique francese o è addirittura elaborata nella forma-sonata, come l’aria di Pizzarro nel primo atto). In compenso si giudica negativamente la scrittura vocale beethoveniana: “Beethoven, piaccia o no agli encomiasti, era un musicista nato per la musica strumentale[1] e a dimostrarne la tesi basterebbero i Lieder - bellissimi - composti con musicalità ed itensità emotiva immense ma nell’insieme inadatti a quel delicatissimo strumento musicale che è la voce umana: la concezione delle frasi, la posizione dei respiri, la scelta delle dinamiche, soprattutto, non tengono conto assai spesso di elementari difficoltà fisiologiche, come quella, ad esempio, di iniziare con un forte a voce non riscaldata (Mignon, op.75, n.1)”. Che dire? A parte l’erronea scrittura del numero d’opera (“op.75, n. 1” invece di op. 75 n.1), si tratta della solita vecchia, sbagliata concezione italocentrica della vocalità. Beethoven scrive difficile, in maniera antifisiologica, non solo per la voce, ma per tutti, anche per gli strumenti. Quanto alla voce “non riscaldata”, un cantante serio se la scalda prima del concerto o della rappresentazione in camerino. Inoltre lo sforzo richiesto talora al cantante fa parte del carattere espressivo del pezzo: teso talora tra il sussurro e il grido. Il modello è già in Gluck e in Cherubini, oltre che in Spontini (gli ultimi due sono italiani!) Inoltre è vero che Beethoven usa una scrittura strumentale anche per la voce, ma prima di lui, oltre ai musicisti sopra citati, lo facevano sia Bach che Vivaldi. Che poi Beethoven adotti per molte arie una forma strumentale, al posto di quella dell’aria, non solo non è una novità (lo fa anche Mozart, e la famosa aria “Che farò senza Euridice” dall’Orfeo di Gluck non è un’aria, ma un rondò. Beethoven non fa che inserirsi in un processo di trasformazione delle forme del melodramma, cominciato da Gluck e da Mozart (ma affiancati da Salieri, Jommelli,Traetta, e nelle sue oltime opere, anche da Cimarosa). Tale processo, che ha origine nell’opéra-comique francese, conduce da una parte a Weber, Wagner, Strauss e Berg (che però resta fedele al pezzo chiuso) e dall’altra al rinnovamento operato da Rossini e proseguito da Verdi (Donizetti e Bellini sono una parentesi dal punto di vista formale quasi insignificante), la sintesi dei due processi si ha nel teatro musicale russo.


[1] Ah sì? E la Nona, la Missa solemnis, le musiche di scena per Egmont, Le rovine di Atene e Leonore Prohaska? Bontà sua, la Pirolo riconosce, però, che i Lieder sono “bellissimi”!

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