mercoledì 16 ottobre 2019

España en el corazón, Festival Luigi Nono alla Giudecca 2019






Sono stato coinvolto nella manifestazione, invitato a inaugurarla insieme a Nuria Schoenberg Nono, e dunque le seguenti righe non vogliono essere una vera e propria recensione del Festival Luigi Nono alla Giudecca, giunto al terzo anno, quest’anno con il bellissimo titolo “España en el corazón”, ma voglio solo buttare giù una riflessione sulla musica ascoltata, sui commenti, le illustrazioni dei brani, il senso di questa musica, e della musica in generale, nel nostro tempo. Sarò, spero, scusato, se non scrivo perciò di tutto quanto è accaduto, si è ascoltato e discusso. Era, infatti, questo del senso della musica, della musica in sé e della musica nel suo tempo, della collocazione, cioè, della musica, dell’arte, nel proprio tempo, nella società del proprio tempo, un tema al quale Luigi Nono ha dedicato una vita. E’ stato anche bersagliato proprio per l’ostinazione con cui lo ha per così dire sfidato, con questo tema, il proprio tempo, sia come atto dello scrivere oggi, e dunque anche comporre, sia per il senso che la scrittura ha o deve avere in rapporto alla società nella quale si scrive. E’ stato per questo attaccato il suo impegno politico, attaccato soprattutto in Italia, paese, come si sa, dalle divisioni secolari, paese che non sa distinguere spesso il messaggio dell’artista dallo schieramento ideologico dell’artista

                                           Chiesa del Redentore 

La regina Elisabetta II d’Inghilterra ha nominato, molti anni fa - si era ancora in piena guerra fredda - Lady l’attrice Vanessa Redgrave, presidente del Partito Comunista Britannico. La regina apprezzava il suo talento, non perché ne condividesse lo schieramento politico, ma, perfetta cittadina del paese che ha inventato la democrazia moderna, perché sa distinguere il valore di un’artista dal suo impegno politico. Del resto, circa due secoli fa, Karl Marx e Giuseppe Mazzini, guarda caso, si sono rifugiati a Londra. In Italia no, non è così. Non è un caso che l’opera di Luigi Nono sia, ancora oggi, diffusissima in Europa e nel mondo, ammiratissima, eseguitissima, ma non così in Italia. Ricordo ancora la gazzarra alla prima di Intolleranza 60 al Teatro La Fenice di Venezia. Ero esterrefatto. “Vogliamo musica!” si gridava giù verso la platea dal loggione. Sembrava la scena iniziale del film Senso di Luchino Visconti, ma al posto dei volantini, volavano insulti. La musica, tuttavia, non c’entrava per niente. C’entrava, invece, il fatto che Luigi Nono fosse comunista, come lo era in Gran Bretagna Vanessa Redgrave, ma comunista appunto in Italia e non in Gran Bretagna. E indignava, inoltre, l’idea teatrale così operaista di Angelo Ripellino – forse il critico teatrale più illuminato che abbia mai avuto l’Italia, leggevo le sue critiche sull’Espresso con avidità, aspettavo l’uscita del settimanale per leggere Ripellino e Moravia, la sua scrittura faceva rivivere lo spettacolo, lo raccontava, la ri-rappresentava, esattamente come Moravia, scrivendone, faceva vedere il film prima di vederlo. Ripellino è stato, perciò, il mio maestro di scrittura critica, ma oltre che critico, era un grande uomo di cultura, amava Praga, la letteratura ceca, amava la lingua russa e la letteratura russa, e me l’ha fatta amare, devo a lui la conoscenza di Velimir Chlebnikov e di Marina Cvetaeva, Oltre che, naturalmente, di Jaroslav Hašek. E poi c’erano, in quel memorabile spettacolo, sulla scena le incomprensibili macchie di Emilio Vedova, i suoi indecifrabili scarabocchi. 

 Presentazione di Y entonces comprendió, Veniero Rizzardi e Alvise Vidolin

Ecco, siamo venuti al punto: indecifrabili. Musica senza ritmo e senza melodia, azione senza capo né coda, scene che sono sgorbi di psicopatico. Solo un comunista p inventare qualcosa di così respingente e ripugnante. Che andasse in Russia, lo manderebbero in un gulag, perché, bisogna riconoscerlo, i comunisti russi che cosa è l’arte almeno lo sanno. Queste, più o meno, le esternazioni di allora. Non credo che da quei tempi l’Italia sia molto cambiata. Ancora, di qualcuno è più importante, più qualificante, conoscerne lo schieramento ideologico, invece che informarsi su ciò che veramente dice, scrive, fa. Da secoli: Dante fu mandato in esilio non per la sua poesia, ma per la sua appartenenza politica. E allora, nell’ultima serata del Festival, nella chiesa del Redentore, alla Giudecca, le parole di Massimo Cacciari ci arrivano chiarificatrici. Questa musica propone altro da ciò che cerca, da ciò che chiede il tempo in cui viviamo. Oggi si vuole l’immediato, si ubbidisce all’istante della percezione, non se ne cerca né il prima né il dopo, come se si vivesse in ciò che uno straordinario scrittore spagnolo, Miguel Ángel Hernández Navarro, chiama il presente continuo. Si vuole in altre parole l’emozione dell’istante, la scarica irriflessa della propria percezione, non importa conoscerne la natura, capirla, importa consumarla, digerirla: possibilmente cercarla solo se dà sensazioni di piacere, di godimento immediato. La musica di Nono invece è ostica, chiede riflessione, impone pensiero, chiede tempo, chiede riflessione, chiede di filtrare la percezione immediata tra le griglie lente del pensiero. Ma non perché sia una musica intellettualistica, aggiungo io, bensì perché tocca il nodo di ciò ch’è musica, di ciò ch’è l’esperienza musicale, in una parola, chiede che ci si disponga a penetrare fino in fondo l’esperienza dell’ascolto, la quale non è la semplice percezione del suono, non è l’udire in sé, ma la consapevolezza del senso che il suono acquisisce nella durata della sua percezione, del senso, cioè, che assume nel nostro pensiero quel determinato percorso temporale del suono. E allora i due violini di “Hay que caminar soñando” bene rappresentano all’orecchio interiore della mente la contiguità di spazio e tempo, la reciproca relazione, la reciproca modificazione, per cui il movimento spaziale dei suoni si fa percorso musicale. Bravissimi i due giovani Giulia Pecora e Li Xinyu, del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino. Forse un po’ spiazzante la vastità della chiesa, dentro cui i due violini sembravano smarrirsi, i lunghi echi delle rifrazioni e delle risonanze accrescere lo smarrimento

                I violinistiLi Xinyu, Nuria Schoenberg Nono, Serena e Silvia Nono

Il tema del Festival era, come suggerisce il titolo, il rapporto di Luigi Nono con la poesia di lingua spagnola. Avanguardie a confronto, ho intitolato la mia presentazione. Ma le serate sono stato introdotte dalla vedova di Luigi Nono, Nuria, figlia del compositore austriaco Arnold Schoenberg. Nuria Nono ha spiegato con parole chiare il senso del ricordo, della permanenza del ricordo, in questa musica, di questa musica. Il senso della sfida di Nono al proprio tempo. E dunque il senso del festival. Si sono così ascoltate alcune pagine composte da Nono dietro la suggestione, si direbbe quasi il suggerimento, o piuttosto l’enigma e l’intensità formale della poesia di lingua spagnola. La fascinazione subita dal compositore per una poesia che sembra di volta in volta reinventarsi il proprio linguaggio. Bellissima la ricostruzione di un evento irripetibile come “Y entonces comprendió,” del 1970, che nasce già durante l’esecuzione degli interpreti, attori e cantanti, dal loro lavoro di scavo nel suono della parola, lavoro non predeterminato da una partitura, ma affidato all’invenzione del momento, e poi riprodotto secondo il percorso di quell’invenzione, attentamente fissata nel programma dell’azione successiva degli interpreti. Perfetta, avvincente, quasi una nuova interpretazione, la ricostruzione e restituzione “acusmatica” di Alvise Vidolin, presentata con chiarezza da Veniero Rizzardi. Vidolin, insostituibile regista, al monitor di comando.

Caminantes, no hay camino, hay que caminar, camminanti, non c’`cammino, c’è da camminare, iscrizione letta da Nono sul muro di una chiesa di Toledo, e ritrovata, variata, nelle poesie di Antonio Machado, è un po’ la linea guida. Il cammino della scrittura come specchio del cammino della vita. Ma la meta non è prefissata, il cammino indica una direzione, non una meta. Il lavoro dell’artista, come quello dell’uomo, nella società, non arriva mai a una vera fine, a una conclusione. Sembra che Beethoven, prima di morire, abbia dichiarato: mi sembra di avere appena incominciato, ho tante cose ancora da dire. La lezione di Nono non è diversa. Nè diverso è il messaggio che assume dalla poesia spagnola. Sul camminare Antonio Machado costruisce tutta una poetica. Come Lorca nei romances e nelle canciones. Il gitano, suo modello, non ha stabile dimora, è viandante, nomade. 

                                         Virgilio Sieni e una bambina
 

Ma sarebbe lungo riferire di tutte le interessantissime e stimolanti manifestazioni – indimenticabile il lavoro con il proprio corpo e con il corpo di una bambina e di alcune donne del pubblico che Virgilio Sieni - troppo riduttivo definirlo coreografo - ha realizzato sulla traccia sonora di “La lontananza nostalgica utopica futura” (1988! trent’anni fa). L’ossimoro di un’utopia al contempo nostalgica e futura definisce bene il senso di questa musica: il percorso del tempo, attraversato dal suono, è, nell’ascolto, una proiezione di ciò che si vorrebbe, si dovrebbe forse essere, questa calma sussurrata, questo ripiegarsi della musica in sé stessa, questa percezione dell’impercepibile, e dunque dell’utopico, che ci fa scendere al nodo di noi stessi, a ciò che Aristotele chiamerebbe τὸ τί ἦν εἶναι, l’essere ciò che si era, e i latini hanno chiamato essentia, essenza, tramandandoci il vocabolo a tutta la filosofia moderna, ma in qualche modo anche fraintendendo la complessità dell’espressione aristotelica, ecco, quest’ossimoro è il nodo di tutta la musica di Nono: si ascolta – non si ode, ma si ascolta - proiettata nell’ascolto, l’essenza di ciò che dovremmo essere e non siamo. Se ci si riflette sopra un poco, l’atteggiamento di Nono non è poi tanto diverso da quello di Beethoven che fa intonare al coro finale della Nona Sinfonia “Sei umsclungen, Millionen” (siate intrecciati, milioni |di uomini|, abbracciatevi, milioni |di uomini|). O quando, nel Fidelio, fa arrivare il Governatore a salvare Florestano. Utopia della verità, della giustizia. Cose che non sono di questa terra, che non stanno in “nessun luogo”, ma che senza di esse lascia la terra infelice. Lo scrive già Dante in un bellissimo sonetto, “Se vedi li occhi miei di pianger vaghi”, in cui chiede a Dio di inviare sulla terra la giustizia: “ché sanza lei non è in terra pace”. E allora, perché Nono subisce questo richiamo duraturo, costante alla poesia di lingua spagnola?

Cominciamo dal titolo del festival: “España en el corazón”, Spagna nel cuore, che è anche il titolo di una raccolta poetica di Pablo Neruda ispirata dai tragici avvenimenti delle guerra civile spagnola. La stessa che ispira il poeta peruviano César Vallejo a scrivere “España, aparta de mí este cáliz”, Spagna, allontana da me questo calice, e Picasso a dipingere Guernica. Non sono testi facili. Non è una pittura immediatamente intellegibile. Chi cerca l’immediatezza è servito: questa poesia, questa pittura, richiedono tempo, riflessione, pensiero. Agiscono sull’immediato degli avvenimenti, sull’évènementiel, come direbbe il grande storico francese Braudel, ma lo trascende, lo ripensa per farne il percorso interiore del pensiero che riflette sulla storia, sul tempo, sulla vita, sulla morte. L’impegno del poeta, del pittore, non si estrinseca in un manifesto, in un proclama, in uno slogan, ma elabora una scrittura, un disegno che alla complessità dei fatti, della realtà, faccia corrispondere non già una figura semplificata, ma la complessità analoga della scrittura, della pittura. In una parola: la complessità del linguaggio, sia esso logico verbale, musicale, pittorico. Perché – come sostiene Aristotele, e nessuno è riuscito finora a smentirlo - è solo attraverso il linguaggio che noi conosciamo il mondo. Ma allora, anche la musica, anche la pittura, sarebbero linguaggio? Solo in senso analogico. In quanto anche la musica, anche la pittura, più che linguaggio, sono pensiero, pensiero pittorico, pensiero musicale, non traducibili, però, se non per analogia, in pensiero logico, verbale. C’è un pensare musicale che non è il pensare del poeta o del filosofo, ma un’esperienza del mondo che si traduce in suono, anzi, più esattamente, un’esperienza del suono del mondo che si traduce in suono pensato, in un percorso logico, coerente, costruito, del suono, che non è il percorso della natura, ma il percorso del pensiero che lo costruisce. Ecco ciò che affascina Nono nella poesia spagnola. La costante attenzione al linguaggio, ai meccanismi del linguaggio, come se ogni volta che un poeta spagnolo scrive poesia riflettesse anche su come si scrive la poesia. Nella tradizione italiana manca, in genere, questa esperienza poetica, salvo forse in Dante e Leopardi, e pochi altri. Ma nella poesia spagnola questa riflessione è invece costante, si pensi solo a Góngora. Ma perfino nel fluviale, oceanico Lope de Vega (ha scritto più di 2.000 commedie, oltre a moltissime poesie, e poemi, poemetti, scritti vari) la riflessione sulla scrittura è continua, e non solo perché scrive una commedia su come si scrive una commedia (lo farà anche Goldoni), El arte nuevo de hacer comedias, l’arte nuova di fare commedie, ma perché i suoi personaggi sembrano non dimenticarsi mai di essere personaggi, di recitare la loro vita su una scena (qualcosa di analogo avviene anche nel suo contemporaneo Shakespeare, soprattutto in As you like it). Nella Dorotea, tale atteggiamento è esasperato, intensificato al punto che Leo Spitzer può scriverci sopra un saggio illuminante su che cosa sia la letteratura: Die Literarisierung des Lebens in Lope’s “Dorotea”, la letteraturizzazione della vita nella Dorotea di Lope, tradotto in italiano con il titolo Vita in forma di Letteratura nella Dorotea di Lope de Vega da Maria Borriello e pubblicato da Lithos, Roma, nel 2015, con una bella prefazione di Roberto Gigliucci. 

                                        Ensemble Luigi Nono
 

Ora, è proprio questa capacità della scrittura di riflettere su sé stessa che affascina Luigi Nono. La sua musica non è, anch’essa, nient’altro che una musica che pensa sé stessa, una musica che esibisce nel suo procedere sé stessa, quasi illustra il modo con cui è stata costruita. A Nono ciò pare la maniera più pertinente di mostrarsi artista impegnato nei problemi del proprio tempo: la sua musica non è politica perché sposa la causa di una partito, di un’ideologia (anche!), ma perché propone il rinnovamento della società attraverso il rinnovamento del fare musica o, meglio, offrendo nella propria musica il modello di come ci si rinnova, di come si costruisce l’arte nuova, e dunque l’uomo nuovo. E, soprattutto, si mostra com’è fatto l’ascolto di questo uomo nuovo. Il cui approdo finale sarà il Prometeo, tragedia dell’ascolto. Qualsiasi tentazione realistica sarebbe, per Nono. un tradimento, perché il realismo, anche il realismo socialista, non riproduce la realtà, ma l’immagine che ci piace vedere della realtà. E Nono non cerca l’immagine della realtà, cerca il τὸ τί ἦν εἶναι, l’essenza, della realtà. In arte, l’essenza è la forma. Cercare dunque la forma di scrittura che rifletta il pensiero dell’artista sulla realtà è il compito fondamentale dell’artista, il vero compito anche del suo impegno politico. Impegno, che sarebbe tradito da una forma provvisoria, superficialmente imitativa, che non colga il nodo con cui la realtà è legata al pensiero.

Tutto il festival è stato un’illustrazione perfetta di questo principio. Sul quale non dovremmo mai stancarci di riflettere, perché cedere anche solo su un punto, magari per ottenere più facile consenso, sarebbe tradire il compito dell’artista, che non è di sposare questa o quella causa politica, echeggiandone gli slogan propagandistici, o accarezzare l’ignavia dei lettori, degli ascoltatori, degli spettatori, proponendo loro opere immediatamente – eh già! immediatamente – comprensibili, ma compito o. meglio, funzione dell’artista è costruire – già: costruire - opere che costringano il lettore, lo spettatore, l’ascoltatore a percorrere lo stesso laborioso percorso di pensiero con cui l’artista ha costruito l’opera.

Ai concerti sono state abbinate letture delle poesie, esecuzioni di musiche andaluse scritte dallo stesso Lorca, una mostra di bellissimi quadri e incisioni di pittori amici di Nono, Tàpies, Vedova Corneille, Mirò, in una splendida galleria ricavata dagli edifici di una bocciofila.

Grazie, Nuria Schoenberg Nono. Grazie, Serena e Silvia Nono, che ci avete invitati a ripercorre questo necessario tragitto di consapevolezza di come un artista, riflettendo sul mondo, ci restituisca poi di questo mondo, anzi di questa sua riflessione sul mondo, il pensiero con cui pensarlo.

Venezia, Giudecca, 11, 12, 13 ottobre 2019

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