domenica 7 settembre 2014

Poiché sono anche un critico musicale, ecco le mie riflessioni sull' Amiata Piano Festival appena conclusosi:

Fare in Italia musica da camera è oggi cosa da eroi. Il pubblico insegue altri miti, che non quelli di un Lied, di un quartetto, di una cassazione. Vuole l’ugola che strilla, l’icona fotogenica, il pianista stregonesco o fantasmagorico, il regista che si nasconde per lasciare sulla scena le didascalie del libretto. L’arte è altrove, come spesso accade: nell’ugola che parla cantando, nella figura che impersona magnificamente un ruolo, non importa se bella o brutta, ho visto Quasthoff interpretare il Pizarro del Fidelio, ed era sublime, demoniaco, ho sentito Bernstein “accompagnare” Christa Ludwig nei Zigeuner Lieder di Brahms, Peter Sellars mettere in scena il Saint François di Messiaën. Maurizio Baglini appartiene a questa seconda categoria di artisti: la semplicità non è un dono di natura, la si conquista con lo studio, e soprattutto con l’amore che ci fa umili davanti a una partitura. L’Amiata Piano Festival fu da lui fondato 10 anni a. Sembrava una sorta di sfida alla Roque d’Antheron. Ma lì il piano gioca da solo (peccato non poter rendere in italiano l’ambiguità del verbo giocare, che in inglese, francese e tedesco significa anche suonare e recitare, sarà forse per questo che alcuni musicisti italiani giocano così poco), qui chiede la complicità di altri strumenti. L’edizione di quest’anno è dedicata a Claudio Abbado, un musicista che amava giocare. E il dio del vino, che si Chiami Bacco (26-29 giugno), o Dioniso (28-31 agosto), o ceda il posto alla musa della poesia lirica, Euterpe (24-27 luglio), presiede ai concerti, donando a tutti l’ebbrezza del bello. Ho assistito agli ultimi concerti. Una serata interamente mozartiana, con i fiati dell’Opera di Rouen Haute-Normandie diretti da Luciano Acocella. La Serenata in si bemolle maggiore k. 361, “Gran Partita”, naturalmente, e il sublime Quintetto in mi bemolle maggiore K. 452, per pianoforte e fiati, al pianoforte lo stesso Baglini. Si noti l’affinità tonale dei due brani, segno dell’intelligenza con cui è composto il programma. Il luogo è la Cantina di Collemassari a Poggi del Sasso, in Maremma.  Pagine, entrambe, che richiedono un estremo controllo per l’equilibrio dei timbri e l’intricata delicatezza dei contrappunti.  Mozart non avrebbe potuto desiderare un’interpretazione più sentita e penetrante, eppure fu lui a dirigere la prima volta la Partita e a sedersi al pianoforte nel Quintetto. I fiati donano, nella seconda serata, una raffinata antologia di musica da camera: da Richard Strauss, la deliziosa Serenata in mi bemolle maggiore op. 7, alla preziosa Suite Persane di André Caplet, alla bellissima Serenata per dieci strumenti a fiato, violoncello e contrabbasso di Antonin Dvořák. E il violoncello solo fa da intermezzo con la splendida Suite per violoncello solo di Gaspar Cassadó splendidamente interpretata da Silvia Chiesa. The Bass Gang, strepitoso quartetto di contrabbassi (Antonio Sciancalepore, Andrea Pighi, Alberto Bocini, Amerigo Bernardi) scorazza, nella terza sera, nel più vario dei repertori, da Mozart a Carlos Santana, da Čajkovskij a New York New York, da Bach a Carosone. Divertimento assoluto. E musicalità superlativa. Nell’ultima serata arriva il Quartetto di Cremona. E il pianoforte di Roberto Piano. Un divino quartetto di Haydn: l’Op. 77 n. 1 in sol maggiore, poi il pianista si esibisce da solo negli Improvvisi op. 14 di Skrjabin e nelle Réminiscences de Norma di Liszt. Unendosi infine al quartetto, insieme affrontano l’intenso e indiavolato Quintetto in fa minore op. 34 di Brahms. L’eroismo, il coraggio, sono premiati. La cantina registra l’esaurito tutte le sere. Ma allora, almeno in Maremma, la musica da camera va. E che cos’è che non va a Roma, a Milano, a Torino, a Venezia, a Firenze, a Napoli, che le sale si spopolano se c’è una serata di Lieder, di quartetto, e in genere di musica da camera? O bisogna insistere? Christa Ludwig dedicò i suoi ultimi due anni di concerti pubblici a ripresentarsi nelle città che videro i suoi trionfi. Ad Aix-en- Provence, a Salisburgo, e naturalmente nella sua Berlino, le sale erano stracolme. Al Teatro Olimpico di Roma, per l’Accademia Filarmonica Romana, la platea era mezzo vuota e furono fatti scendere i pochi spettatori della galleria, per non dare alla grande Christa Ludwig, forse, insieme a Irina Arkhipova, il più grande mezzosoprano del secondo Novecento, la desolante impressione di una sala deserta!


Fiano Romano, 5 settembre 2014 

Nessun commento:

Posta un commento