ROMA. TEATRO
DELL’OPERA. THE BASSARIDS di Hans
Werner Henze. Libretto di
W.H. Auden e Chester Kallman da Le Baccanti di Euripide
Direttore Stefan Soltesz
Regia Mario Martone
Maestro del
Coro Roberto
Gabbiani
Scene Sergio Tramonti
Costumi Ursula Patzak
Movimenti
coreografici Raffaella
Giordano
Luci Pasquale Mari
Interpreti
principali
Dionysus Ladislav Elgr
Pentheus Russell Braun
Cadmus Mark S. Doss
Tiresias Erin Caves
Capitano
della Guardia Reale Andrew
Schroeder
Agave Veronica Simeoni
Autonoe Sara Hershkowitz
Beroe Sara Fulgoni
Orchestra e Coro del Teatro
dell’Opera
Nuovo allestimento
Prima rappresentazione a Roma
In lingua originale con sovratitoli
in italiano e inglese
Rappresentazioni:
prima: 27 novembre 2015
repliche: 29 novembre, 1, 3, 5, 10
dicembre 2015
Euripide, come tutti i grandi
drammaturghi, non dà risposte ai problemi che pone sulla scena agli
spettatori. Il grande specchio che
riflette il palcoscenico, la voragine del Citerone (una gola, invece chela cima
di una montagna - l’abisso dell’inconscio? – ma già nei cori si dice: “nelle
gole del Citerone” ), ma vi si scorge anche parte della buca dell’orchestra e
talora le prime file di platea, sembra che voglia dirci questo. Martone vuole, insomma, che il pubblico si
senta parte della vicenda, e non semplice spettatore. Era del resto questa la
funzione principale del teatro antico, il teatro come rito insieme d’iniziazione
e di purificazione. Auden e Kallman
trasformano la vicenda quasi in una regolazione di conti in famiglia. Il dio
Dioniso è, di fatti, cugino del re Penteo. Semele , sua madre, e Agave, la
madre del re, sono sorelle. Incenerita
una da Zeus, per avergli chiesto di mostrarsi nello splendore della sua
divinità (sempre una divinità che uccide, come spesso in Euripide), resa folle
l’altra, per vendetta, dal dio, che si sente “offeso”, al punto di incitarla a sbranare
con le proprie mani il figlio, che gli nega il culto dovuto. In Euripide,
Cadmo, fondatore di Tebe e nonno di Penteo, rimprovera il dio di essere andato
oltre, in una parola di avere peccato di “hybris”, superbia, anche lui, come fa
un uomo. La risposta di Dioniso è agghiacciante: ma Penteo e sua madre Agave mi
avevano offeso, e io sono un dio. Queste battute sono espunte da Auden. Eppure sono il succo della tragedia. L’orrore
rientra, tuttavia, tutto intero, con la musica di Henze. Possiamo dare molti
nomi a Dioniso, alla divinità (lo fa dire Euripide al coro finale), ma il
problema (anzi, Amleto avrebbe detto “la domanda” - the question”-) è questo: il male, la voglia di uccidere, di
distruggere ed autodistruggersi, nell’uomo, da che cosa nasce? La voglia di una
madre di annientarsi al punto di uccidere il figlio, dove affonda?. E non solo
di uccidere il figlio, ma di sterminare la famiglia. Tutto Dioniso? La scena in
cui Dioniso accompagna Penteo travestito da donna a guardare il baccanale è terrificante:
il nodo del problema è proprio la nostra identità, Dioniso svuota Penteo della
sua identità di re e di uomo, e pertanto anche di figlio, lo riconduce agli
istinti primordiali, al desiderio inconscio di spiare la vita sessuale della
madre. Adesso, vedetevela voi, dicono Euripide, Auden, e con una musica
straordinaria, Henze. Dioniso è infatti il lato di noi che l’evoluzione sociale
ha emarginato, escluso: l’animalità. Perciò Penteo vi si accanisce contro, ma
facendolo si accanisce contro se stesso, contro la propria animalità. Avete mai
visto un gatto inseguire, lacerare e divorare la sua preda? mangiarla cruda?
questo è il rito di Dioniso: smembrare la preda e divorarla cruda. Auden scrive
un verso bellissimo, quando vede la madre mordergli il collo e mangiarle un
brano: “This flesh is me!” Henze scrive forse il suo dramma più sconvolgente. L’opera
è costruita come una grande sinfonia in quattro movimenti. Ciò le dà una
compattezza inscalfibile. Ma tale compattezza si fa drammaturgicamente
parossismo di violenza. Il modello è, forse, l’Elektra, più che la Salome, di
Strauss. Ciò che vediamo sulla scena
realizza in maniera impressionante questa violenza. Martone muove assai bene le masse, aiutato
anche dalle coreografie di Raffaella Giordano.
Lo smembramento di Penteo e delle altre vittime è insieme allucinato e
terrificante. Di una rara compattezza anche il cast sulla scena. Spicca
l’intensissima Agave di Veronica Simeoni, e con lei il Cadmo di Mark. S. Doss,
il Tiresia di Erin Caves e la Beroe di
Sara Frugoni. Ladislav Elgr, Dioniso, perfettamente in ruolo, seminudo, bello,
ambiguo, una voce suadente, corpo invitante come quello del dio, esile, sensuale
e molle, entra nel ruolo terribile con straordinaria efficacia, bravissimo. Splendidamente
reagiscono alla struggente, intensa e lucidissima concertazione di Stefan
Soltesz sia l’Orchestra sia il Coro, sia il Corpo di Ballo e i figuranti del
Teatro dell’Opera. Ricorda un quadro famoso di Ingres la glorificazione finale
di Semele, che interamene nuda allunga le braccia verso il collo del figlio
Dioniso. Duivenuta anch’essa una dea, i due, madre e figlio, salgono al cielo.
Gli uomini “kneel and adore” , si prostrano e adorano, le effigi degli dei che
scendono dal cielo. Il pubblico applaude, tutti, con calore. In sala
non si era sentita volare una mosca. Il pubblico assiste esterrefatto e in silenzio.
Riconosce ciò che accade oggi nel mondo, a Parigi, in medio Oriente. Tra il
pubblico ci sono il commissario
straordinario di Roma Francesco PaoloTronca, Gianni Letta, il ministro Padoan.
In platea, bellissima, sfolgorante, anche Raina Kabaivaska. Il teatro dell’Opera
di Roma non poteva inaugurare meglio la stagione 2015-2016.
Dino Villatico
Roma, 28 novembre 2015
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