VENEZIA.
TEATRO LA FENICE. SPETTACOLO INAUGURALE. IDOMENEO,
dramma per musica in tre atti di Wolfgang Amadé Mozart. Libretto di Giambattista Varesco dalla
tragédie en musique Idomenée di
Antoine Danchet.
Idomeneo Brenden
Gunnell
Idamante Monica
Bacelli
Ilia Ekaterina
Sadovnikova
Elettra Michaela
Kaune
Arbace Anicio
Zorzi Giustiniani
Gran Sacerdote di Nettuno Krystian
Adam
La voce Michael
Leibundgut
Due cretesi Sabrina
Mazzamuro
Simona
Forni
Nicoletta
Andaliero
Manuela
Marchetto
Due troiani Roberto
Menegazzo
Antonio
Casagrande
Bo
Schunesson
Emiliano
Esposito
Direttore Jeffrey
Tate
Regia Alessandro
Talevi
Scene Justin
Arienti
Costumi Manuel
Pedretti
Luci Giuseppe
Calabrò
Coreografie Nikos
Lagousakos
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro Claudio
Marino Moretti
Prima rappresentazione: 20 novembre 2015
Repliche: 22,24,26, 28 novembre 2015
Idomeneo è l’opera che segna
la svolta del teatro di Mozart. E’, in qualche modo, un capolavoro mancato.
Pagine bellissime, alcune sublimi, orchestra incredibilmente ricca di timbri
nuovi, raffinatissimi. Tuttavia la drammaturgia non c’è. Mozart spasimava per
scrivere un’opera seria, il genere considerato allora il più alto, come la
tragedia nel teatro parlato. Il soggetto è mozzafiato. Simile alla storia
biblica di Jefte. Mozart sicuramente
conosceva l’oratorio di Handel. Idomeneo, al ritorno da Troia, colto da una
terribile tempesta al largo di Creta, fa voto a Nettuno, se scampa al naufragio
, di sacrificare il primo essere umano che incontrerà, e la prima creatura che
gli viene incontro è suo figlio Idamante. L’intreccio è complicato da duelli amorosi, e
conosce un lieto fine, com’era pratica consolidata del melodramma
settecentesco. Ma Mozart non è contento
del libretto di Varesco. In realtà, ma
lo capirà proprio lavorando all’Idomeneo,
non lo soddisfano più le convenzioni del melodramma serio. Quando aveva
composto quel capolavoro assoluto ch’è il Lucio
Silla aveva 16 anni, le convenzioni erano state scavalcate dal furore
dell’invenzione musicale. C’era stata, e
da tempo, la riforma di Gluck. Ma Mozart non ne era del tutto soddisfatto,
perché più che risolvere il problema di un teatro in cui la musica si facesse
carico anche dell’azione, lo aggirava, costruendo grandi pannelli oratoriali.
Il modello di Mozart, invece, più che musicale, era teatrale. Di un teatro in
perenne movimento d’azione. In particolare: Shakespeare era il suo modello
tragico, lo vedeva spesso al Burgtheater di Vienna. come testimoniano le
lettere e i registri del teatro, dove proprio Shakespeare era tra i
drammaturghi più rappresentati. Ma lo
attirava anche il grande teatro tragico francese: e non a caso Idomeneo nasce da un testo francese,
come poi anche il Fidelio di
Beethoven. Il teatro francese, anzi, resterà a lungo un modello e una fonte del
melodramma di lingua italiana, perfino con Verdi: l’Alzira trae il soggetto da una tragedia di Voltaire. Componendo
l’opera, però, Mozart si rende conto che,nonostante la riforma gluckiana, il
melodramma serio italiano, così come si configura nella tradizione italiana,
non ha futuro. Mozart pretende una drammaturgia di caratteri che si evolvono, e
il melodramma serio ha una drammaturgia di situazioni statiche. Vuole che
l’azione sia condotta dalla musica, come nell’opera buffa, e invece il
melodramma serio la circoscrive negli “affetti”, come allora si chiamavano i sentimenti,
delle arie. Compone un sublime terzetto e, se possibile, un ancora più sublime
quartetto, per movimentare l’azione. Ma non basta. Si butterà con foga, poi, nell’esperienza
“buffa” con Da Ponte. E nell’opera tedesca: il Ratto dal serraglio è già una prima individuazione del tipo di
teatro cercato. Dal rimescolamento delle carte nasceranno. infine, i due ultimi
capolavori: Clemenza di Tito e Flauto magico. La messinscena dell’Idomeneo deve dunque inventarsi una drammaturgia che non c’è. Non è
difficile, nel teatro moderno. Un bravo regista può mettere in scena anche
l’orario ferroviario. Ma Alessandro Talevi non ci riesce. Inventa molte azioni
marginali inutili, Idomeneo che sfoglia nervosamente libri mentre Arbace canta
un’aria. Non si rende conto che in quel momento l’azione è l’aria di Arbace, il
comportamento di Idomeneo non ne fa parte, o meglio, il suo ruolo è di
ascoltare ciò che dice Arbace. La scena non è statica: tutta, dico tutta,
l’azione sta nell’aria di Arbace. E di questi errori, durante lo spettacolo,
Talevi ne compie molti, come se non capisse la struttura drammaturgica del
melodramma serio. Contrappone poi i greci, vincitori e dominatori, ai troiani,
stranieri, asiatici,esuli. Tutto giusto, anzi di una contemporaneità scottante,
coi migranti del Medio Oriente che “invadono” l’Europa, tra loro anche i
terroristi, ma resta un’idea astratta,
che non trova realizzazione teatrale, a parte l’evidenza dei costumi. L’azione,
infatti, non c’è. E i costumi, di Manuel Pedretti, da parte loro sono
bruttissimi. La scena, disegnata da Justin Arienti, è uno spazio d’imbarazzate
uniformità e approssimazione: quelle onde, poi, che lasciano vedere gli spazi
tra i rulli che scorrono, gridano vendetta. La scena iniziale, con figure in
molteplici amplessi, sembrava Fragonard, prometteva bene. Ma non ha seguito.
Disturba, inoltre, la sciatteria di alcuni particolari: Idamante che dice di
baciare la destra del padre, e invece bacia la sinistra. I sopratitoli che non
correggono gli errori del correttore automatico: “Ecco, la sventurata vittima
ahimè! s’appressa” diventa: “Ecco, la sventurata vittima, ahimè! S’appressa”.
Meno male che sul podio c’è Jeffrey Tate, un maestro nel fare emergere tutti i
colori dell’orchestra mozartiana, tutta la varietà del suo fraseggiare, la
duttilità della sua dinamica. Ma il cast sulla scena sembra non del tutto
adeguato allo sforzo che la partitura richiede ai cantanti. I passi di agilità,
tutti, tranne forse che nell’Arbace di Anicio Zorzi Giustiniani, risultano
faticosi, invece che “lisci come sull’olio”, come scrive Mozart. Ma soprattutto
appare generica la recitazione. Brenden Gunnell è un Idomeneo appena
accettabile. Perfino la pur bravissima Monica Bacelli disegna un’Idamante
vocalmente incerto. Sdolcinata l’Ilia di Ekaterina Sadovnikova, e impari allo
spessore del personaggio appare l’Elettra di Michaela Kaune. Mozart, insomma,
c’è davvero solo nella bacchetta di Tate, nella brava orchestra e nel Coro. Ma
il pubblico è generoso e applaude tutti. Sul discorso imbarazzante,prima dello
spettacolo, del sindaco di Venezia, Brugnaro, per commemorare le vittime del
terrorismo a Parigi, di cui una veneziana, meglio stendere un velo pietoso. Commuove,
però, l’ascolto dell’inno italiano e della marsigliese. Ma non basta un inno a
cambiare la storia del mondo. E la politica, sembra, non c’è.
Dino Villatico
Venezia, 21 novembre 2015
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