martedì 20 ottobre 2015

Un sonetto ritrovato

In un vagone della linea della Roma Viterbo, un tempo Roma Nord,  una tradotta per miserabili, viaggiando da Sacrofano a Roma, nel settembre di cinque anni fa, mi venne fatto di buttare giù le due quartine di un sonetto. Il foglio mi ritorna, tra le pagine di un libro sui linguaggi artificiali. E noto con angoscia che la situazione, in Italia, non è cambiata. Completo il sonetto, scrivendo le terzine. Eccolo:

Il  paragone gioca sui disegni
superficiali della dissezione
di  ciò che fu la molla dei congegni
prefabbricati: ora però che in zone

sempre più vaste d’altri disimpegni
prolifica una feccia di Nazione,
a che ci serve inalberare sdegni
che ne toccano solo una porzione?

Scalmanatevi quanto più volete,
sempre seduti a casa, o sullo schermo,
non scaldate che il punto in cui sedete.

Il paese si trova più malfermo,
proprio perché di fatto ne ridete,
ma niente cambia e ognuno resta fermo.


Fiano Romano, 20 ottobre 2015.

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