In un vagone della linea della Roma Viterbo, un tempo Roma
Nord, una tradotta per miserabili, viaggiando
da Sacrofano a Roma, nel settembre di cinque anni fa, mi venne fatto di buttare
giù le due quartine di un sonetto. Il foglio mi ritorna, tra le pagine di un
libro sui linguaggi artificiali. E noto con angoscia che la situazione, in
Italia, non è cambiata. Completo il sonetto, scrivendo le terzine. Eccolo:
Il paragone gioca sui disegni
superficiali
della dissezione
di ciò che fu la molla dei congegni
prefabbricati:
ora però che in zone
sempre più vaste
d’altri disimpegni
prolifica una
feccia di Nazione,
a che ci serve
inalberare sdegni
che ne toccano solo
una porzione?
Scalmanatevi
quanto più volete,
sempre seduti a
casa, o sullo schermo,
non scaldate che
il punto in cui sedete.
Il paese si trova
più malfermo,
proprio perché di
fatto ne ridete,
ma niente cambia
e ognuno resta fermo.
Fiano Romano, 20 ottobre 2015.
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