Il paese degli steccati, delle barriere, dei muri, dei campi
separati, dell’orticello di casa, delle corporazioni: guai a invadere la zona
dell’altro o, per sbaglio, per disattenzione, pestargli i calli! In mezzo agli
osanna opportunistici, alle ponderate riflessioni, e ai soliti vaniloqui dei
soliti scribacchini, qualche voce esce rumorosamente dal coro a protestare che
il Nobel per la letteratura è un premio letterario, che c’entra darlo a una
giornalista. Si erano sentite voci simili anche per Dario Fo. Come se la
letteratura fosse un orticello ben delimitato, e guai a varcarne i confini.
Tutto questo per il Nobel concesso alla scrittrice bielorussa Svetlana
Aleksievich (ci dovremo abituare a questa traslitterazione anglofona, perché
ormai sembra la norma, anche se la combinazione consonantica ch per la c di
cielo non appartenga alla nostra lingua, la traslitterazione fonetica sarebbe Svjatlana
Aljaksandraŭna Aleksievič, ma non
esageriamo, basterebbe adottare il più semplice, e in parte fedele alla lingua
della scrittrice, Svetlana Aleksievič). Si nota, però, con
piacere, che le note discordi sembrano di meno che per Fo. Non ho letto niente
della scrittrice e non entro dunque nel merito del premio. Mi riprometto di
farlo. Ma noto in margine solo una cosa: nemmeno gli antichi erano sempre
sicuri dei confini dei generi, eppure li avevano inventati. Talune tragedie di
Euripide, per esempio l’Elena, l’Ifigenia tra i Tauri, l’Alcesti, sono tragedie
o commedie o tragedie che accolgono elementi comici? E che cos’è il Satyricon
di Petronio? e che poema è la Divina Commedia se lo stesso poeta la chiama
commedia invece che tragedia, come avrebbe voluto la classificazione retorica
del tempo, se invece che in volgare fosse stata scritta in latino? E i fumetti,
sono letteratura? la graphic
novel lo è? Solo un popolo che si è rifiutato a lungo, fino alle
soglie della modernità, di accettare il paesaggio come genere alto della pittura,
e intanto i Rubens, i Ruisdael, i Claude Lorrain avevano dipinto sublimi
paesaggi, e, salvo Ruisdael, proprio della campagna romana, può porsi domande
simili, scartabellare classificazioni superate, inalberarsi per l’invasione di
territorio. Ma già: se qualche migliaio di profughi ci sembra un’invasione,
figuriamoci questi scrittorucoli stranieri che ottengono un premio invano
ambito dagli scrittorucoli nostrani. Che quale siano davvero scrittorucoli non
lo deciderà certo un premio, ma l’intelligenza e la sensibilità dei lettori.
Fiano Romano, 8 ottobre 2015
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