lunedì 21 gennaio 2019

Ricordo di Mario Bertoncini


Lo ricordo, tanti anni fa, all’Auditorium della RAI di Napoli, per Nuova Musica e Oltre, il festival di musica contemporanea diretto da Mario Bortolotto. Credo che fosse il 1978. Mario Bertoncini, alto, elegantissimo, tutto vestito di nero, maglione a girocollo, si siede al pianoforte e suona, impassibile, In C, di Terry Riley. Un’ovazione fragorosa esplode alla fine dell’esecuzione e lo costringe a ripetere il brano. Erano i segni dei tempi, ai quali restarono sordi solo i più ottusi epigoni di avanguardie agonizzanti. Non i grandi musicisti delle stesse avanguardie. Nel pomeriggio prima del concerto, accompagnai Aldo Clementi tra vari negozi di ferramenta del Lungomare di Chiaia a cercare viti e bulloni, per “preparare” il pianoforte. Marc Monnet era stato fermato alla frontiera di Ventimiglia perché in possesso di una rivoltella. “E questa che cos’è?” domanda un doganiere. “Uno strumento musicale”, risponde Monnet, imperturbabile. Ed era vero: avrebbe sparato in un suo pezzo. Mario Bertoncini, allora, non viveva più in Italia, ma a Berlino. Fu salutato con entusiasmo, e abbracciato, da Aldo Clementi, e da Francesco Pennisi. Mi accorgo, scrivendo, che sto facendo un elenco di scomparsi. Come anche Luciano berio, Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen. Se qualcosa ci avevano insegnato era la libertà di essere sé stessi. Altro che dogmatici! Dogmatici, se mai, come sempre, gli epigoni, ma non tutti. Non certo Armando Gentilucci, anche lui scomparso. O Paolo Renosto, anche lui insieme agli altri, fuggito dove nessuno sa se da là c’è ritorno. O Franco Evangelisti, romano purosangue. Come Bertoncini. La memoria è spesso un registro di amori interrotti. Francesco Petrarca li scriveva a mano a mano che lasciavano la terra sul manoscritto della sua amata Eneide. E noi, su quale registro li scriveremo? Mario Bertoncini era stato tra i fondatori di Nuova Consonanza. Il moderno non è mai stato la negazione dell’antico o l’esclusione del diverso. Clementi adorava Schubert, Evangelisti Beethoven. Berio, Monteverdi. Mi accorgo, ricordandoli, che un’epoca si è chiusa. L’altra, che ora viviamo, non so, come Socrate, se sia più tollerante o più dogmatica, più aperta o più chiusa, migliore o peggiore. So che il giudizio è sospeso, e come Socrate, rievocato da Platone, posso solo affermare che la verità su quale sia il mondo migliore la sa solo il dio o chi ne fa le veci. Arrivederci – forse! -, Mario. Ma dalla nostra Memoria senz’altro non sei mai andato via.

Fiano Romano, 21 gennaio 2019

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