martedì 22 settembre 2015

Michelle Candotti suona Chopin a Riano

La pianista Michelle Candotti all’Accademia Ludus Tonalis di Riano

Non avevo mai notato quanto le progressioni armoniche della terza Ballata di Chopin risultino affini alle progressioni armoniche care a Wagner, e in particolare a quelle del Tristano. Ma, a dire il vero, avrei dovuto saperlo, perché già da ragazzo fui colpito dalle affinità armoniche con il mondo armonico di Wagner, dell’ultima mazurca, postuma, in fa minore, pubblicata come op. 68 n.4. Il fa minore è un campo di riferimento, ma quasi ogni accordo propone nuove armonie. L’andamento risulta così più modale che tonale. Come spesso, in Chopin. La terza ballata è in la bemolle maggiore: ma il suo campo armonico è vastissimo e mobilissimo, continuamente mutevole. In margine, interessante notare che la successione tonale delle quattro ballate, nella pubblicazione, sembra calcolata: sol minore, fa maggiore, la bemolle maggiore, fa minore. Il modello possono essere, forse, gli improvvisi di Schubert, soprattutto quelli dell’op. 142.  Fa è la dominante del relativo maggiore, si bemolle, di sol minore, ed ecco spiegata la successione tonale delle prime due ballate; la bemolle, poi, tonalità della terza ballata, è il relativo maggiore di fa minore, tonalità della quarta. Il perno tonale è dunque fa, chiaramente enunciato come tonica nella seconda e quarta ballata, il sol minore della prima, relativo maggiore si bemolle, e il la bemolle della quarta fungono da introduzione e consolidamento del campo armonico. Se a ciò si aggiunge che ciascuna ballata è concepita come una libera costruzione di un tempo in forma-sonata, tutta la serie allude, nemmeno tanto copertamente, a una grande forma sonatistica. L’analisi rivela poi affinità tematiche tra tutt’e quattro le ballate. Insomma, contrariamente alla diffusa opinione che Chopin si trovasse a disagio con le grandi forme, proprio le ballate, forme cioè che aspirerebbero al breve respiro, dimostrano invece la propensione di Chopin a impostare le sue costruzioni musicali con il respiro di una grande forma di sonata. La tarda Barcarola ne è una straordinaria conferma. Ma perfino alcune delle ultime mazurke mostrano l’intenzione di avventurarsi nella grande forma: il ponte per la “nuova” musica è gettato. Brahms e Schoenberg  ne trarranno le conseguenze. E Wagner, come si diceva.
Simili riflessioni mi venivano durante l’ascolto del concerto tenuto da Michelle Candotti all’Accademia Ludus Tonalis di Riano, in provincia di Roma, sabato 19 settembre scorso. La serata aveva un titolo: Aspettando lo “Chopin” di Varsavia, perché la giovanissima pianista livornese (19 anni) è stata prescelta per misurarsi nella famosa competizione polacca. Gli altri brani in programma, tutti di Chopin, erano il Notturno op. 27 n. 1, la Polacca op. 44 (altra formidabile costruzione che sconfessa la supposta incapacità di Chopin per le grandi forme), le tre mazurke op. 59, il Preludio op. 45 (in cui già si sente arrivare Debussy), e la tremenda Sonata op. 35 in si bemolle minore. Qui la morte la si respira fin dalla cupa introduzione. La Marcia Funebre e il volante, visionario Finale la ribadiscono. Può sembrare strano che un’ispirazione così tragica, funesta, pessimistica, che spaventò perfino Schumann, sia stata colta da una ragazza di 19 anni. Ma in realtà quale età, più della prima giovinezza, è disposta a sentire il senso amaro, doloroso della vita? Assai più della vecchiaia, spesso incline alle illusioni che attenuino la durezza dell’imminente commiato. Michelle Candotti mostra due qualità che fanno di lei una pianista musicista, e non una semplice pianista: la capacità di trasferire nel tocco l’articolarsi delle armonie e l’attenzione, attraverso un fraseggiare liberissimo, alle combinazioni polifoniche delle voci. Lo si è sentito subito nell’attacco della terza ballata. E Chopin è un compositore intrinsecamente contrappuntistico, il modello di Bach non è mai dimenticato. La sua melodia, anche la più cantabile, non è mai lasciata sola, o sovrapposta a un generico “accompagnamento”, bensì combinata sempre, anche quando il sostegno, come nei valzer e nelle mazurke, sembra affidato a pochi accordi, con altre linee melodiche. Due bis: uno studio e un valzer, sempre di Chopin. Le dita di Michelle Candotti, in ogni pezzo, sembrano pensare l’armonia, equilibrare il contrappunto. Segno che il pensare l’interpretazione le sta addosso come una seconda natura. Non è, infatti, che esageri un tempo rubato, o metta eccessivamente in evidenza una linea che si sovrapponga a un’altra, o attacchi con un inopportuno sforzato l’entrata di una voce, bensì  fa scorrere fluidamente il discorso musicale, che appunto si rivela come un discorso che procede contrappuntisticamente attraverso l’evolversi delle armonie e il combinarsi delle melodie. Successo, com’era giusto, calorosissimo.


Fiano Romano, 22 settembre 2015 

lunedì 7 settembre 2015

Poeti della libertà

Hab’ ich den Markt und die Straßen doch nie so einsam gesehen!
Ist doch die Stadt wie gekehrt, wie ausgestorben! Nicht, fünfzig,
Däucht mich, blieben zurück von allen unsern Bewohnern.
Was die Neugier nicht thut! So rennt und läuft nun ein jeder,
Um den traurigen Zug der armen Vertriebnen zu sehen.

Goethe, Hermann und Dorothea, I, 1-5

Tam solas nunquam vidi plateasque forumque!
Oppidulum veluti vastum! Cedo, quinquaginta
Civibus e nostris cunctis mansisse videntur.
Quanta cupido novi! Quivis curritque ruitque.
Exilio miseram cupiens spectare catervam.

(Traduzione latina di Joseph von Berlichingens)

Mai non vidi così spopolate la piazza e le strade;
la città par mutata; par morta addirittura. Non credo
che sian rimasti a casa, di tutti, cinquanta abitanti.
Eh! la curiosità quali effetti produce! Ognun corre
dei poveri proscritti la turba dolente a vedere.

(Traduzione italiana di Vittorio Betteloni)

E’ l’attacco di un aureo poemetto goethiano, scritto sotto l’impressione delle emigrazioni scatenate nelle terre renane dalle guerre napoleoniche.  E non a caso ricordo questi versi. L’esperienza di migrazioni e di esili in terra tedesca è antica, come del resto in tutta l’Europa. Goethe non è insensibile al fenomeno, e non lo è la popolazione tedesca. Di che si sorprendono dunque quanti oggi gridano al miracolo d’un mutamento? Le cifre parlano da sé. La Germania è il paese d’Europa che ha accolto il maggior numero di rifugiati, già da molti decenni. Quest’anno ne sono previsti, sembra, 800.000, e siamo già a quota 200.000. Che cosa strilla Salvini? Conosce la matematica? Ma non cito Goethe per fare polemica. Voglio però ricordare che sono tre tedeschi ad avere scritto i più commoventi appelli alla fratellanza dei popoli: Goethe, col suo bellissimo Divano Orientale-Occidentale, Schiller e Beethoven con l’Inno alla Gioia. Per la cronaca, il titolo dell’ode schilleriana in origine era Ode alla Libertà.  E questo titolo era rimasto nell’edizione in possesso di Beethoven. Il cambiamento è dovuto a un intervento della censura. Per Beethoven non cambiava niente: che gioia si può avere senza libertà? Inoltre in tedesco le due parole si assomigliano: Freiheit, libertà, Freude, gioia.


Fiano Romano, 7 settembre 2015