CHOPIN, complete MAZURKAS.
Pianoforte, Alberto Nones.
CONTINUO
www.continuorecords.com
Gli oggetti
contengono la possibilità di tutte le situazioni.
E’ manifesto che un mondo, per
quanto diverso sia pensato da quello reale, pure deve avere in comune con il
mondo reale qualcosa – una forma.
Ludwing Wittgenstein, Tractatus
logico-philosophicus, 2.014, 2.022
Alberto Nones affronta in questa
incisione un’impresa quasi irrealizzabile. E mi spiego. Le mazurke di Chopin
sono il frutto più personale della sua personalissima ricerca musicale. Starei
per dire: della sua riflessione musicale. E la comincia subito, dall’inizio, come
per i notturni, e le polacche, in certo qual modo perfino con un percorso
parallelo: mazurke e polacche ne scrisse fin da ragazzo. Una polacca denota come
meglio non si potrebbe il suo “ultimo stile”, uno stile che sembra quasi
aprirsi ai modi di un Debussy: la Polonaise-Fantaisie op. 61. Il frammento di
una mazurka è il suo ultimo lascito musicale. Scrive Liszt: “D’ora innanzi
tutti i destini non sono che i rottami galleggianti di un immenso naufragio.
... Mentre il valzer e il galop isolano i danzatori ... nella mazurka la parte
affidata all’uomo non la cede né come importanza né come grazia a quella della
danzatrice, e il pubblico è anch’esso della partita”[1].
Si suole arricciare il naso, e liquidare come superflui, i primi quattro
capitoli del libro che, nel 1850, Liszt ha dedicato a Chopin, per il fatto che
a scriverli è stata soprattutto la mano della sua ultima amante, la principessa
polacca Carolyne Sayn Wittgenstein; è, tra l’altro, un’antenata del Ludwig
Wittgenstein, il filosofo del Tractatus logico-philosophicus, e, naturalmente,
antenata anche del fratello del filosofo, Paul, il pianista che aveva perduto
il braccio destro in guerra e per il quale Ravel, ma anche Prokofiev, scrissero
un Concerto per la sola mano sinistra. Questo passo, dal capitolo dedicato alla
definizione di che cosa sia una mazurka, centra, invece, perfettamente il
carattere delle mazurke di Chopin: relitti di un naufragio. Confessa Schubert,
in una lettera, che la musica gli pare comunque l’espressione di uno stato
d’animo triste, perché anche quando canta la gioia, la canta come memoria di
una gioia trascorsa, e dunque finita, irrecuperabile. La musica è sempre
memoria, mai sentimento in atto. I sentimenti può suscitarli in chi ascolta, ma
solo come reazione all’evocazione che la musica fa di qualcosa che, nel momento
in cui la evoca, è trascorso, finito. Il padre della poesia moderna, Petrarca,
affida alla memoria ogni forma di poesia, perché comunque racconto di una
storia, che sia la storia di un individuo o di un popolo. I Trionfi si aprono
con uno dei versi più belli della nostra letteratura, e forse della letteratura
europea e del mondo: “Per la dolce memoria di quel giorno”. Bejart ne fece il
titolo del suo commovente balletto dedicato alla “memoria” del Petrarca. Una
danzatrice in abito bianco si muoveva dall’inizio alla fine sulla scena tra i
personaggi del balletto. Era l’unicorno, il simbolo della castità: l’astinenza
forzata del desiderio, che innerva e condiziona tutta la vita del Petrarca.
Freud la dirà sublimazione. Ma per Petrarca quest’astinenza si fa poesia,
canto. Il dolore dell’oggetto perduto o irraggiungibile si fa musica. Qualche
secolo dopo, Diderot, assiduo lettore del Petrarca, dirà che la musica, il
canto, gli sembrano nascere dal grido, essere anzi la stilizzazione stessa di
un grido animale, il grido della perdita originaria. Leopardi individua proprio
in questo senso della perdita della felicità, sognata più che realmente
posseduta, la sorgente della poesia moderna. Abbiamo percorso un lungo giro, da
Liszt, e la Saiyn Wittgenstein, a Leopardi, attraverso Schubert, Petrarca e
Diderot, per tornare a Chopin. Ma non a caso. Forse, proprio così, con questo
vasto giro, siamo arrivati al nodo emotivo, musicale, e poetico da cui nascono
le mazurke di Chopin: la perdita della felicità, esse sono il canto che canta
questa perdita. E questa felicità era, per Chopin, la sua Mazowia, la terra in
cui era nato e in cui è nata e da cui prende il nome la danza che si chiama
mazurka. “Io sono un vero Mazowiano”, scrive all’amico Titus. In quella terra,
la felicità è la danza di contadini che si chiama mazurka, vista e ascoltata
tante volte da bambino, e riascoltata e rivista nei salotti borghesi di
Varsavia. Una danza che in realtà si compone di molte danze: il nome mazur è,
infatti, generico, e comprende la mazurka vera e propria, mazurek, danza della
regione di Varsavia; la Kujawiak, che nasce invece nella vicina Kujawy, e ha andamento
più lento; infine l’Oberek, veloce o velocissima[2]. E’ una danza di ritmo ternario, che prevede
l’accento in genere sul secondo o terzo movimento, ma anche talora sul primo.
Chopin approfitta di questa varietà di accenti e della coesistenza di più danze
nella stessa danza, per farle assumere talvolta, nelle sezioni interne, che
possono coincidere col trio, il carattere vero e proprio di un valzer, ma quasi
sempre un valzer assai leggero, con accenti appena accennati. Questa
mutevolezza d’accenti è l’aspetto più difficile da affrontare, quando si
suonano le mazurke di Chopin. Ma non è il solo scoglio. Chopin esaspera nelle
danze la sua disposizione a evitare gli sviluppi tematici, le variazioni vere e
proprie di un tema (a meno che non siano il soggetto della pagina, come le Variazioni
su “Là ci darem la mano” dal Don Giovanni di Mozart). Preferisce la ripetizione
o la variante di una stessa figura tematica, spesso brevissima. La frase supera
di rado le due battute, e l’accento principale cade quasi sempre all’interno
della seconda battuta. Questo attribuisce spesso ai temi delle mazurke
l’aspetto di una caduta, di un precipitare nel vuoto. Ma a sua volta il tema, o
la frase, sono composto di cellule ritmiche e melodiche minime, talora solo ritmiche,
o cenni di melodia. Per esempio all’inizio della danza, a figurare
l’introduzione strumentale di un organico contadino, violoncello e violino, cornamusa
e violino, o anche il solo battito delle mani, due soli valori si ripetono su
un pedale di tonica o di dominante: semiminima seguita da una minima (op. 6 n.
2), oppure minima puntata legata alla semiminima della battuta seguente seguita
da due semiminime (op. 7 n3). Come si vede, ciò accade già nelle opere giovanili.
Gli incisi che, ripetuti, finiscono per
formare la frase, sono generalmente di due crome seguite da una semiminima,
oppure una croma puntata seguita da una semicroma che s’appoggia a una
semiminima. Insomma, figure che sono moduli correnti della danza popolare.
Chopin non cita né assume quasi mai esplicitamente motivi popolari, ma ne
ricostruisce il sistema. Come, per esempio, la ripetizione sempre identica, per
più battute, di una frase di due battute cambiandone, sotto, nell’accompagnamento,
di battuta in battuta, l’armonizzazione. O viceversa, più raramente, lascia
immutata l’armonia e cambia la tonalità, o piuttosto, il modo della frase. E
qui veniamo all’altro punto essenziale della scrittura di Chopin: l’armonia
modale, che spesso genera addirittura ambiguità tonale. Non è sempre facile,
infatti, determinare la tonalità di certi passi, a meno che non si ammettano
modificazioni modali. E’ del resto tipico della musica modale evitare sviluppi
tematici, sostituiti da ripetizioni della frase, magari spostandola di modo in modo.
Tutto ciò per dire che Chopin è molto più attento ai sistemi di costruzione
musicale della musica popolare di quanto generalmente si pensi o si affermi. Ma
è poi tipica della musica “colta” la rielaborazione. La consapevolezza della
rielaborazione, che con gli anni dà sempre maggiore spazio al contrappunto, e
addirittura al contrappunto imitato, e perfino all’imitazione perfetta, al
canone. La struttura delle mazurke è dunque molto complessa, e proprio questa
complessità ne rende difficile l’interpretazione. Alberto Nones ne è pienamente
consapevole. Proprio questa complessità dei piani costruttivi cerca, infatti,
di restituirci con la sua interpretazione. Senza rinunciare, tuttavia, al
principio fondamentale dell’interpretazione di ogni pagina di Chopin, la
fluidità del percorso e la libertà del fraseggiare. I diversi piani sonori
della costruzione musicale devono offrirsi all’ascoltatore in una mutevolissima
arte del tocco, non solo per far sentire i contrasti dinamici da battuta a
battuta, ma anche l’evidenza delle voci all’interno del contrappunto. I piani
sonori si distinguono anche da sezione a sezione della danza. Se la mazurka
parte delicata, il suo trio sarà energico o brillante, e viceversa. Senza,
però, che ciò costituisca una regola. Il contrasto dinamico può proporsi anche
nel corso dell’esposizione di un singolo tema o di una singola frase. Se poi si
considera che talora un vero e proprio tema principale non c’è, ma il tema
stesso è formato dal succedersi di piccoli incisi tematici, allora si
comprenderà la complessità estrema di queste mazurke. Da una parte si
prefigurano la concentrazione, la condensazione costruttiva dei tardi pezzi
pianistici di Brahms, e la loro forza emotiva, dall’altra l’intensità esplosiva
dei piccoli pezzi pianistici del primo Schoenberg, e infine si pensa già a
certe rielaborazioni che Bartók fa di danze slave e balcaniche. Ciò che
sorprende dell’interpretazione di Nones è proprio la restituzione sonora,
l’evidenza musicale di tale complessità strutturale. La varietà delle soluzioni
interpretative corrisponde alla varietà veramente mutevole delle soluzioni
formali che Chopin propone nelle sue mazurke. Prepararsi, dunque, con calma all’ascolto,
chi può magari con la partitura delle mazurke sotto gli occhi, e si seguano a
una a una, con calma, le sorprese della danza, liberando da ogni assillo
esteriore la mente, e abbandonandosi al flusso miracoloso di una musica, che,
da quando fu scritta e suonata per la prima volta, non cessa di sorprenderci
per la sua novità, modernità, originalità, e di commuoverci per la sua condensatissima,
esplosiva, intricatissima intensità espressiva. Se non è un vero viaggio al
Paradiso, come qualcuno ha scritto della Commedia di Dante (il confronto non paia
blasfemo, l’altezza della vertigine poetica è la stessa), questo, che sotto la
leggerezza della danza nasconde e racconta molti inferni, è tutta via un
viaggio dell’intelligenza verso la grazia finale in cui la mente e il cuore si congiungono,
razionale e irrazionale si uniscono a definire i confini della bellezza. Provatevi
a distinguere, in queste mazurke interpretate da Alberto Nones, dove finisce
l’intelligenza della lettura musicale e dove comincia l’emozione della scoperta
di un mondo nuovo. Sono esattamente la stessa cosa.
Fiano Romano, 14 maggio 2016
Nessun commento:
Posta un commento