lunedì 23 gennaio 2017

Una (inutile) polemica sul teatro di oggi

Mi scrive Alberto Garfagnini, da Genova:



Genova  22 gennaio 2017
LETTERA APERTA a DINO VILLATICO
Egr. Villatico, Lei ha definito oggi su  Robinsonn. 8 “meravigliose” (!)le invenzioni teatrali di Vick e ha rimbrottato il pubblico  ignorante a che ha reagito con “qualche fischio ingiustificato”.EccoleggerLa oggi mi ha fornito la solita sgradevole percezione di quanto siano ormai deteriorati i giudizi di coloro che dovrebbero rappresentare la cultura,ma che tuttavia cadono uno dopo l’altro nella trappola del pressapochismo. Anche Lei oggi si e’alineato con quella inspiegabile corrente di pensiero che pervicaci stravolgimenti,volgari e spesso demenziali  delle opere teatrali, siano in realta’ colpi di genio. Vedasi Michieletto e i suoi preservativi inscena, lo stupro di Donna Anna, o Rosina in minigonna e Lindoro in bermuda, ma potrei continuare con le offese all’intelligenza del recente  Ratto o le follie alla Livermore, o la schifezza de “ Il Ballo in Maschera “ di Michieletto (devo andare avanti?)
Tutte cose che molti  critici condividono non si sa bene in nome di quale cultura. I registi alla Vick che Lei ama toto corde (nel suo articolo non c’e’ traccia di una benche’ minima sollevazione del sopracciglio….)contribuiscono da anni ormai a creare tribu’ di “ignoranti” che si recano a teatro senza piu’ sapere cosa andranno a vedere  e “chi”  ha scritto “cosa”  e perche’. C’e’ da dire che e’ facile riempire i teatri  con persone che vivono ormai l’opera come uno spot televisivo e che nulla sanno dell’opera in allestimento.Piu’ facile quindi,  che avere una platea di musicofili (questi ultimi agli STAR-Registi danno molto fastidio, perche’ ohibo’, non cascano  nella  truffa...). Chi dissente viene giudicato come un povero beota (ma dovrebbe aver rimborsato il biglietto). E io non sono un beota, Villatico.
Il danno che i personaggi alla Vick perpetrano impunemente da anni e’ semplicemente devastante ed irreversibile. E non si capisce perche’ debbano attraversare indenni il panorama teatrale, senza subire gogna. Il loro EGO smisurato li rende insopportabili (dovrebbero essere confutati:altro che qualche fischio!). Confutati come? Basterebbe che i Villatico si ponessero loro una semplice  domanda: VICK+Mozart, MA PERCHE’?I Vick o le Cucchi esisteranno fino a che i Villatico plauderanno loro come  cortigiani fedeli. La chiamo in correita’, quindi. Lei approva  che le opere non siamo piu’ rappresentate in originale. Si chieda perche’ la Divina Commedia di Dante sia chiamata cosi’ e non l’ “Apoteosi della Gnocca”, dove Beatrice-  a Suo gusto -, potrebbe essere benissimo uno prostituta fiorentina dedita e lascivi comportamenti con Malacoda…E finisco con questa meditazione che Le sottopongo: se io avessi partecipato a Il Ballo in Maschera a Milano(opera che non conosco) , che idea avrei potuto farmi dell’opera e di Verdi? Sarebbe davvero interessante che Lei scrivesse un bell’articolo sul prossimo Robinson, esaustivo in merito a  quel PERCHE? che le ho suggerito.Ma che dico: LA SFIDO a farlo su Repubblica; suvvia : mi convinca!
 La saluto cordialmente  A.Garfagnini

Ecco la mia risposta:


Gentile Signor Alberto Garfagnini (lasciamo gli Egr. e simili agli epistolografi d’antan).
Intanto, alcune precisazioni.
1.Non ho mai “rimbrottato” il pubblico né tanto meno l’ho qualificato d’ “ignorante”. Ho semplicemente affermato che i fischi mi parevano “ingiustificati”, e ho anche spiegato anche perché.
2. Dovrei rappresentare la “cultura” e cado invece “nella trappola del pressapochismo”. Dove sta il pressapochismo, nel fatto che la mia cultura abbia parametri diversi dalla sua? E poi sarei io che accusa gli altri d’ignoranza! Ma soprattutto, io esprimo giudizi che argomento, lei lancia strali e giudizi inappellabili: che gliene dà il diritto? o pensa che il solo fatto di non condividere i suoi gusti teatrali costituisca per ciò stesso una devianza, un errore?
3. “Stravolgimenti volgari”. Che cosa c’era di volgare in questo Così fan tutte? Vick non lo è mai. E’, anzi, tra i registi moderni, uno dei più discreti. Altri sì, lo riconosco, possono apparire volgari (ma bisogna poi vedere dove, come e perché), ma Vick, mai. Vorrei, tuttavia, che leggesse invece attentamente il libretto di Da Ponte, pieno zeppo di doppi sensi e di allusioni oscene (l’aria di Despina è quasi un invito all’uso dei preservativi), il che è spiegato bene anche nel programma di sala. Tant’è vero che poi il borghesissimo e moralistico Ottocento giudicava quest’opera di Mozart, e Mozart in genere, “indecente”. Tra parentesi, Carla Maria Moreni, sempre domenica, sul Sole24Ore, è più entusiasta di me riguardo allo spettacolo e non fa un benché minimo accenno ad un’eventuale “volgarità”.
4. “Una platea di musicofili”, gli “STAR-Registi”. Ma da quando il melodramma è affare solo di musicofili? Nasce e si sviluppa soprattutto come teatro. Fin dalle origini. O “recitar cantando” è una fantasia della mia incultura e approssimazione? “Recitar”, si badi. “Cantando” è un gerundio, dunque lo strumento del verbo all’infinito: “recitar”. Per dire che si tratta soprattutto di “recitazione”, teatro. I personaggi cantano, è vero. ma la cosa non è diversa da quanto accade nella commedia e nella tragedia classica o nel teatro barocco inglese, francese, tedesco e spagnolo, dove gli attori recitano in versi. Che non è cosa più “verosimile” di cantare. Si tratta semplicemente di una convenzione teatrale.  La novità del melodramma è che gli attori cantano. Ma cantavano anche nel teatro antico, nel teatro indiano, cinese e giapponese.
5. “Il loro EGO” (dei registi) A parte quest’uso, questo sì, volgare e insopportabile, di maiuscole che nello scritto corrispondono al grido del parlato - alzare la voce fa capire meglio? – da quando un uomo di teatro non esaspera le sue visioni? Quello che ora lei scrive di Vick, e degli altri, pochi anni fa si diceva di Visconti e di Chéreau. La Traviata con la Callas alla Scala, che oggi è una leggenda, all’epoca fu giudicata “volgare e offensiva”. Perché non era la storia romantica al quale il pubblico si era abituato. Ma Visconti aveva ragione: non è una storia sentimentale e romantica, bensì la passione, ricambiata, di un borghese per una prostituta.
6. “Cortigiani fedeli”, i critici che “plaudono” al teatro moderno. Ma che cosa o chi glielo fa supporre? E’ sempre o corrotto o venduto che non la pensa come lei? E’ comprato il pubblico di mezzo mondo al quale questo teatro piace? Si rende almeno conto di avanzare affermazioni non documentate, contro le opinioni di persone, i critici, che hanno invece la professionalità di motivare i propri giudizi e comunque di argomentare le proprie descrizioni?
7. La “Divina Commedia” non fu chiamata così da Dante, ma da Boccaccio. Dante la intitolò semplicemente “Commedia”, perché scritta in “volgare”, di contro alla “tragedia”, ch’è in latino, come l’Eneide. Commedia e tragedia riguardavano lo stile e non, come oggi, un genere. Immagino che lei conosca la classificazione degli stili nella Retorica medievale, seguita da Dante. Tragico è lo stile alto, in latino, comico lo stile basso, in volgare, elegiaco lo stile della poesia individuale. O anche questa è una farneticazione della subcultura “approssimativa” del critico?
8. Il quotidiano “la Repubblica” s’intitola, appunto, “la Repubblica” e non “Repubblica”. Quindi, quando si fa precedere da una preposizione, questa va assimilata all’articolo, e bisogna scrivere “sulla Repubblica”, e non “su Repubblica”. Di fatti immagino che lei dica e scriva “sulla Stampa” e non “ su Stampa”, “sul Corriere della Sera” e non “su Corriere della Sera”. E’ vezzo invalso oggi, lo so, soprattutto nel Nord, di dire “in Fiat” invece che “nella Fiat”, ma ciò non toglie che la forma corretta sia quella che assimila l’articolo alla preposizione. “Nella Spezia” e non “in Spezia”, o, peggio, “in La Spezia”.
E veniamo ora a un’argomentazione generale che discuta quanto è affermato da lei nella sua lettera contro un presupposto “stravolgimento” delle regie moderne.  Anche qui c’è bisogno, però, di una premessa. L’ho detto e scritto tante volte. Repetita iuvant. Non esiste un criterio infallibile per mettere in scena un’opera teatrale, qualunque essa sia. Posso costruire uno spettacolo che rispetti le aspettative più “tradizionali” di una parte del pubblico, ma ciò non mi garantirà un risultato riuscito, o bello. Può venirne uno spettacolo accettabile, come anche, per usare il suo linguaggio, “una schifezza”. Uno dei registi più ossequenti (a suo dire) alla tradizione, e più amato da un certo pubblico, come Zeffirelli, di “schifezze” , mi scusi, ne ha allestite parecchie. Per esempio una Carmen a Vienna. Ma lasciamo correre. Così, se decido d’impostare la mia regia su un’interpretazione nuova dell’opera, non è detto, anche qui, che il risultato sia garantito. Posso fare una “meraviglia”, ma anche una “schifezza”, sempre per usare il suo linguaggio. Se pertanto io scrivo di uno spettacolo che mi è sembrato una meraviglia, il mio giudizio non dipende dal criterio di messinscena adottato dal regista, bensì dal fatto che oggettivamente, almeno per me, lo spettacolo mi è parso una “meraviglia”. Il che non toglie che, comunque, una regia moderna rischia quanto meno un’interpretazione, riuscita o no che sia, mentre una “tradizionale” si limita per lo più ad illustrare il testo, tant’è vero che poi i suoi punti di forza sono le scene e i costumi, laddove uno spettacolo moderno può perfino fare a meno di scene e costumi, perché si fonda sulla recitazione. E ciò vale per tutto il teatro, non solo per il melodramma. L’Amleto recitato recentemente a Londra da Cumberbatch, registrato e proiettato in vari cinema di Europa, era modernissimo, in abiti moderni, quasi senza scene, un’Ofelia che girava con una macchina fotografica appesa al collo e che riprendeva tutto, soprattutto da pazza. Ma raramente si è visto un Amleto più intenso, più profondo, più shakespeariano di questo, tenendo tra l’altro presente che all’epoca di Shakespeare n Inghilterra non c’erano né scene né costumi, e dunque gli attori avevano indosso gli stessi abiti del pubblico. Questo è un punto, per capire la messinscena che Vick, inglese, ha voluto costruire del Così fan tutte.
E adesso entriamo nel nodo della questione. Prendo l’argomento da lontano. Guardiamo la pittura italiana del Rinascimento e del Barocco. Ma potrei fare lo stesso discorso con la pittura spagnola, fiamminga, tedesca, anzi ancora meglio, perché più evidente, più forte l’impatto “attualizzante”. Ma restiamo all’Italia. L’Annunciazione di Leonardo ci presenta davvero una donna del I sec. a C., e cioè la Madonna, o non invece una grande ed elegante Dama Fiorentina dell’ultimo scorcio del Quattrocento, e l’Angelo, a parte le ali, è un angelo ideale o non piuttosto un bel giovane fiorentino, di quelli che piacevano a Leonardo, un bello ed elegante cavaliere che si presenta, quasi discinto, alla Madonna? Nel Martirio di San Matteo del Caravaggio, che si ammira a San Ligi de’ Francesi, a Roma, i personaggi appartengono all’antichità romana del primo secolo o, compresolo stupendo autoritratto, sono invece contemporanei del pittore? Veniamo al teatro. Nell’Ippolito Euripide fa lamentare a Fedra le condizioni di reclusione in cui è tenuta la donna.  Ma queste condizioni sono quelle del mito o quelle dell’Atene del V secolo in cui scriveva Euripide? Nell’Edipo a Colono Edipo chiede a Teseo l’ospitalità. Teseo gli risponde che quanto a sé gliela concederebbe, ma deve prima chiedere il parere dell’Assemblea (Boulè) dei cittadini ateniesi. Ora, Teseo è un Re del periodo mitico, l’Assemblea fu fondata dopo le riforme di Clistene, quando Atene divenne una democrazia. Evidente l’anacronismo.  Ma funzionale a ciò che Sofocle intende suggerire al pubblico: che in una democrazia anche il Re (leggi: Arconte) ha i suoi poteri limitati e controllati dall’assemblea popolare. Andiamo avanti. Passiamo a Shakespeare. Nel Re Giovanni a un cero punto, nella battaglia, sparano i cannoni. Ma siamo nel 1215, l’anno della Magna Charta! I cannoni non erano stati ancora inventati. Nel Giulio Cesare, Cesare si rivolge alla moglie Calpurnia chiamandola “madam” e le dà ora del “thou” ora del “you”.  Lo stesso fa Racine nella Bérénice. Tito e Berenice si danno del voi, com’è uso francese, ma non romano antico, e Tito chiama Berenice Madame, e Berenice chiama Tito Seigneur. Allora? Guardiamo le stampe delle rappresentazioni. Gli attori vestono abiti del Seicento. In Francia, come in Italia, come in Spagna. Il teatro è sempre stato teatro contemporaneo e ha sempre portato sulla scena i problemi del tempo. sia la tragedia sia la commedia sia il melodramma. Tanto più, poi, l’opera buffa, ch’era sempre allestita in abiti contemporanei e proponeva al pubblico problemi della società contemporanea. Non l’ha mica inventato Ibsen di portare sulla scena i dibattiti morali e sociali del tempo. Molière, allora. Ogni volta che leggo il Misantropo mi vengono i brividi: “La legge mi dà ragione e i giudici mi condannano!” dice Alceste.  Ma questo è il teatro. I registi “moderni” hanno il solo torto di volere restituire al pubblico di oggi questa contemporaneità. Possono, certo, sbagliare, esagerare, ma come tutti. Quando, però, centrano il problema fondamentale del testo lo spettacolo è entusiasmante. L’intuizione di Visconti, quando allestì la Traviata alla Scala fu che la vicenda non è una storia sentimentale e romantica, come ormai poteva intenderla il pubblico del secondo Novecento, se vista in abiti del primo Ottocento, ma il rifiuto sociale di una puttana. Posticipò l’azione alla fine dell’Ottocento, oggi l’avrebbe ambientata all’oggi. Dopo la festa Violetta butta in aria le scarpe e si massaggia le caviglie. Scandalo! Ma signori! Violetta è una “cocotte”, non lo sapevate? Solo che questa “puttana” (Verdi nelle lettere la chiama così) è più nobile degli altri personaggi che la condannano. E difatti perla sua morte scrive la musica di un’eroina. Si chiama teatro. La vicenda è ambientata nel 1850 (didascalia del libretto). L’opera andò in scena nel 1853. Verdi fu costretto a retrodatare la vicenda al XVII secolo, perché il pubblico (sempre lui!) non sopportava un melodramma tragico in ambienti e abiti contemporanei. L’opera buffa sì, ma il melodramma tragico no. Poi, nella ripresa parigina Verdi rimise le cose a posto. Nessuno chiese in seguito di retrodatare la vicenda. Verdi, a Ricordi che gli rammentava di essere un “grande musicista”, rispondeva: “io sono solo un teatrante”. Bisognerebbe ficcarselo bene in testa quando si va a teatro. Se Verdi, Mozart, Wagner avessero voluto fare solo musica, e non teatro, avrebbero scritto oratori e sinfonie, e invece hanno scritto melodrammi, drammi musicali. Se ne facciano una ragione i “musicofili”. Se no, si chiudano in casa e si ascoltino l’opera coi dischi o con i cd. Nemmeno con i dvd, perché anche quelli sono “sporcati” dai registi-star!

Fiano Romano, 23 gennaio 2017 

Giudicate voi.



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