CONCERTI VENEZIANI, Vivaldi and Marcello transcribed by J.S.
Bach. Giovanni De Cecco, clavicordo. La Bottega Discantica 295
Il clavicordo non è uno strumento di facile ascolto in un salotto
o in una sala di concerto. Il suono è gracile, anche se ricco di sfumature
espressive e dinamiche (può perfino riprodurre effetti di vibrato o di messa di
voce). E’ uno strumento antichissimo, testimoniato almeno dal XIV secolo in
poi. Ma non è questo il luogo per diffondersi sulla sua struttura e sulle sue
caratteristiche. Importante comunque è non confonderlo né con gli strumenti a
corde pizzicate come il liuto e il clavicembalo né con quelli a corde percosse
come il salterio, il cimbalon e il pianoforte, anche se con il pianoforte
condivide la sensibilità al tocco e la capacità di sfumature dinamiche. E’
comunque uno strumento a corde percosse. Ma le corde del clavicordo non sono
tuttavia né pizzicate, naturalmente, né comunque percosse da martelletti, come
nel pianoforte, bensì colpite da lamine metalliche, in genere di ottone,
chiamate tangenti, che toccano la corda finché le dita dell’esecutore non
lasciano il tasto. Ciò è detto, però,
molto schematicamente. Lo scarso spessore del suono rende lo strumento inadatto
a esecuzioni pubbliche, ma la sua grande sensibilità al tocco, lo rende
perfetto per lo studio e per l’esecuzione privata, direi addirittura intima. E’
probabile che fosse lo strumento al quale Johann Sebastian Bach pensasse
compilando i preludi e le fughe dei due volumi del Clavicembalo ben temperato, che non per niente si mantengono
nell’estensione di quattro ottave. Ma il titolo italiano, tradotto dalla
traduzione francese del titolo tedesco, Das
Wohltemperierte Klavier, è fuorviante. La traduzione inglese Keyboard è più corretta. Si tratta
infatti di Tastiera. La Tastiera Ben Temperata, del titolo delle due raccolte, vale a dire
una tastiera in cui tutti i semitoni dell’ottava sono uguali. Nella pratica
l’accordatore in realtà attua talune correzioni per ottenere quinte il più
vicine possibile all’intervallo di quinta. E terze meno dissonanti, oltre a
ottave perfette. Secondo l’antico suggerimento di Aristosseno, allievo di
Aristotele, che per la costruzione e l’accordatura degli strumenti , sia a
corde che a fiato, consigliava di seguire sì le regole delle proporzioni
matematiche, ma di aggiustarle all’impressione dell’orecchio. Qui andrebbe
aperta una parentesi. E’ vezzo di alcuni pianisti di eseguire Bach, ma anche Handel,
e altri compositori barocchi, al pianoforte, senza pedale e quanto più
possibile privi di effetti dinamici, con suono regolare, praticamente sempre
forte, e ritmo inesorabile, quasi da metronomo. Motivazione: l’uniformità
sonora del clavicembalo. Come se la musica del Seicento e del Settecento
ignorasse la libertà del fraseggiare e le sfumature dinamiche. Ma santa pace!
esistevano gli strumenti ad arco, esistevano le voci. Anzi il modello musicale
prevalente, almeno fino a Beethoven, fu sempre la musica vocale. Tanto è vero
che lo stesso Beethoven considerava come la propria opera più significativa non
le sinfonie o le sonate o i quartetti, bensì la Missa Solemnis. Alla faccia di chi ancora si ostina a dire, e pur
troppo anche a scrivere, che Beethoven non sa comporre per la voce. Allora, se
sul clavicembalo effettivamente risulta impossibile ottenere effetti dinamici,
esistono altri modi di rendere espressiva la musica: per esempio il
fraseggiare. E il fraseggiare era, anche sul clavicembalo,liberissimo, come
quello dei cantanti. I pianisti che dunque suonano Bach con rispetto ossessivo
del metronomo non rispettano questa libertà, e anzi mortificano la musica di
Bach, di Scarlatti, di Handel o di Couperin. Ma anche per ottenere il contrasto
tra piano e forte, i compositori attuavano sul clavicembalo alcuni
accorgimenti. Per esempio mettevano in
contrasto accordi con molte note, e perfino aspramente dissonanti, con passi
melodici o con raggruppamenti armonici più morbidi, per esempio di terze.
Domenico Scarlatti era un maestro nel produrre simili contrasti. Talora i suoi
accordi, aspri, gonfi, non sembrano avere spiegazioni armoniche, e di fatti
stanno lì ad accumulare suono, più note messe a contatto con passi di meno note
fanno l’effetto di un contrasto tra piano e forte. Tanto è vero che quando Alessandro Longo curò
per la Ricordi l’edizione delle sue Sonate, corresse questi accordi anomali, e
li rese armonicamente più ortodossi, distruggendo così l’effetto voluto da
Scarlatti. Il clavicordo libera l’esecutore da questi problemi, anche se ne
pone altri. Primo tra tutti, sgombrare il terreno dai falsi problemi, come
quello appunto del fraseggio regolare e della correttezza armonica con cui
andrebbe restituita la musica dei Sei-Settecento. Giovanni De Cecco ha, in
proposito, qui costruito una registrazione ideale di che cosa si debba
intendere, oggi, per interpretazione della musica barocca. Abbiamo qui riuniti
in un cd alcuni concerti di Vivaldi, e uno di Alessandro Marcello, che Johann
Sebastian Bach trascrisse per clavicembalo, o forse semplicemente per tastiera
(quando la destinazione strumentale è l’organo, Bach lo dichiara esplicitamente
e compone di conseguenza). Queste trascrizioni non erano certamente destinate
per un’esecuzione pubblica, ma furono probabilmente intese da Bach come un
doppio studio: da una parte, un esercizio sulla costruzione del concerto
“all’italiana”, da cui poi poté scaturire un capolavoro come l’originale Concerto Italiano per clavicembalo (il
titolo tedesco è più esplicito: “Concerto nel Gusto Italiano”, Concerto Nach Italienischem Gusto):
dall’altra un repertorio per i dilettanti di musica da suonare a casa tra
quattro mura per sé stessi. Tenendo
presente che il “dilettante” settecentesco, soprattutto tedesco, Liebhaber, era
un musicista esperto, solo che non esercitava la musica come professione.
Federico II di Prussia era un ottimo musicista, e anche compositore, sfidò Bach
a comporre contrappunti su un proprio tema, e nacque così L’Offerta Musicale. La sfida fu particolarmente perfida, perché il
lungo tema cantabile del sovrano si presta assai poco ad un’elaborazione
contrappuntistica. Bach superò lo scoglio aggirandolo: sovrappose al tema altri
soggetti di propria invenzione e su questi esercitò la propria maestria
contrappuntistica. Ma di fatto il Re lo aveva colto nel punto debole, e quella
di Bach fu una vera e propria sconfitta, alla quale però dobbiamo la nascita di
un capolavoro. Una vittoria su tutti i piani sono invece queste trascrizioni
dei concerti di Vivaldi e Marcello. Per certi versi la trascrizione bachiana
supera qualche volta l’originale. Ma l’esecuzione sul clavicordo mette poi bene
in evidenza lo sforzo di mantenere nella trascrizione per tastiera le sfumature
timbriche e dinamiche del concerto per archi, riuscendo anzi talvolta a
esaltarne gli accorgimenti contrappuntistici, ad aggiungerne perfino di nuovi.
Per esempio nella Giga finale del Concerto
in sol minore di Vivaldi (RV 316a) o quando si propongono meravigliose
successioni di accordi (tra le invenzioni più strepitose di Vivaldi) di cui la
sensibilità dinamica del clavicordo riesce a restituire la ricchezza timbrica, per
esempio nel Largo dello stesso Concerto,
in cui gli accordi ripetuti si alternano a passi di aperta cantabilità. Un Bach
“veneziano”, dunque,che ci fa cogliere l’atmosfera cosmopolita dell’Europa
barocca, in cui gli stili e le proposte musicali circolavano con grande
libertà. Couperin si appella in Francia a Corelli, Bach in Germania al concerto
francese nei Brandeburghesi, e a quello italiano in gran parte della sua opera,
lo stesso Corelli sviluppò a Roma proprio a contatto con la musica francese
(nella chiesa romana di San Luigi dei Francesi, dove cominciò la sua pratica
violinistica) la sua nuova sintesi del concerto, di cui Handel fu uno dei
grandi eredi. Ma di che meravigliarsi,se la stessa meraviglia della grande
pittura veneta rinascimentale, la sua nuova visione del colore e della luce,
nasce perché un pittore siciliano, Antonello da Messina, di ritorno dalle
Fiandre, porta a Venezia la nuova invenzione fiamminga della pittura ad olio? E
avremmo la grande poesia del Petrarca senza la sua lunga permanenza giovanile
in Francia e poi, dopo Petrarca,nel resto d’Europa l’esplosione della poesia
soggettiva fino a Shakespeare, a Donne, a Ronsard, a Góngora, a Baudelaire?
L’Europa era più unita quando gli Stati si guerreggiavano tra loro. La cultura
circolava di paese in paese, ciascuno di volta in volta esempio e modello alla
cultura di tutti gli altri. Giovanni De Cecco ci fa pensare anche a questo. Ma
abbandonatevi a questi concerti veneziani ripensati da un musicista tedesco e
interpretati, direi quasi ricondotti in patria, da un musicista veneziano. Non
c’è pagina che non strappi un sussulto di ammirazione, un contraccolpo di
emozione, per la libertà del fraseggiare, la sensibilità del tocco, la fantasia
delle soluzioni timbriche, che sul clavicordo sembrano illimitate. Bravo! come
in ogni parte del mondo oggi, con parola italiana, si osanna l’artista che non
tradisce l’etimologia della sua professione: fare arte. Unire cioè la
precisione e l’efficienza della tecnica alla libertà creatrice della fantasia.
In greco moderno la letteratura si chiama λογοτεχνία (logotechnía), tecnica, arte della
parola, del discorso. E musica, viene da Μουσική (musiké, pronuncia antica, musikí, pronuncia moderna), che
appartiene alle Muse. Eh sì! In fondo anche l’ARS latina è tecnica e arte,
segno che le due cose sono indivisibili. E questo accade quando si ascolta
Giovanni De Cecco suonare Vivaldi e Marcello trascritti per tastiera da Bach. E
d’un tratto il passato ci si fa presente. Perché la bellezza di questa musica –
anche se si tratta di trascrizioni, o forse proprio perché si tratta di
trascrizioni – ci fa mettere da parte tutti i bavagli di genere, di filologia
immaginaria, di mode, che ingombrano confusamente il panorama interpretativo
contemporaneo. Questo Bach che trascrive Vivaldi ci appare straordinariamente
contemporaneo, stupendamente simile a noi, libero quanto molti di noi non osano
esserlo più, perché ci suggerisce quanto ingannevoli, quanto sterili, quanto
superficiali, quanto speciose siano molte discussioni sulla corretta
interpretazione della musica del passato. Se Bach trascrive Vivaldi, e De Cecco
suona le trascrizioni sul clavicordo, perché mi sarebbe proibito poi di suonare
Bach sul pianoforte? Mettiamo subito le cose in chiaro. Non voglio criticare la
filologia dei testi, cosa sacrosanta, e lo sforzo di capire con che strumenti
si facesse la musica un tempo. Anzi c’insegnano a suonarla con maggiore
attenzione e comprensione anche su strumenti diversi. Ciò che mi riesce, e mi è
sempre riuscito fastidioso, è il feticismo del mezzo che giustificherebbe il
risultato. No, l’uso degli strumenti originali non garantisce affatto una
corretta interpretazione delle musiche scritte per quegli strumenti, se non si
accompagna alla libertà, alla fantasia, all’invenzione che i suonatori di un
tempo adottavano per le proprie interpretazioni. E’ questo che c’insegna qui De
Cecco: che quella libertà, quella fantasia, quella invenzione sono possibili, e
vanno esercitate, sempre, qualunque sia lo strumento che si suona, e tanto più
se poi si suona lo strumento per il quale il compositore di un tempo ha scritto
e al quale pensava scrivendo. Bravo, Giovanni! To the next!
Fiano Romano, 6 febbraio 2017
Penso che questa magistrale lezione ed il lusinghiero elogio all'esecutore contemporaneo debbano essere conservati con cura dal lettore per essere riletti piú volte, e il tutto incorniciato dall'esecutore la cui bravura non poteva avere lode migliore.
RispondiEliminaGrazie, Fiorella. Ma è un'interpretazione mirabile. I grandi "divi" fanno muro. E questi giovani bravissimi chi li aiuta, chi ne parla? Viviamo un'epoca di egoismi esacerbati.
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