Sopra: due pagine di Kottos, per violoncello solo, di Iannis Xenakis.
ACCADEMIA
FILARMONICA ROMANA. ASSOLI II. SALA
CASELLA. Michele Marco Rossi, violoncello. Roma, 10 febbraio 2017
Virtuosismi strumentali, esperimenti d'invenzione musicale. Jonathan Harvey, Ivan Fedele, Gabriele Cosmi, Iannis Xenakis, Lucia Ronchetti, Giovanni Sollima
Virtuosismi strumentali, esperimenti d'invenzione musicale. Jonathan Harvey, Ivan Fedele, Gabriele Cosmi, Iannis Xenakis, Lucia Ronchetti, Giovanni Sollima
Il
virtuosismo strumentale, contrariamente a quanto possano pensare i sostenitori
di un’astratta e pura musicalità, separata dalle risorse dello strumento che
produce suono, voce e strumento musicale che sia, è sempre piaciuto ai compositori,
spesso, anzi, loro stessi virtuosi di qualche strumento o comunque attratti
dalle esibizioni dei virtuosi. Del restio in qualsiasi campo, i puri, le anime belle,
hanno sempre dimostrato di non capire niente del mondo. Fanno dunque bene i musicisti
a ignorarli. Non si spiegherebbero diversamente le ardue acrobazie richieste al
cantante da uno Handel o al pianista da uno Schumann. Quest’ultimo, anzi,
proprio per la menomazione subita alle dita di una mano, provava forse invidia
o ammirazione per il vero virtuoso, Paganini su tutti, ma anche la sbalorditiva
virtuosa del pianoforte che, sembra, fosse sua moglie Clara. Niente di strano,
dunque, che i compositori del Novecento, a cominciare da Stravinsky,
dedicassero parte della propria scrittura proprio all’esplorazione delle
risorse di uno strumento musicale. Si pensi all’attacco della Sagra della Primavera, affidato al
fagotto in un registro acuto insolito, per il repertorio corrente. O ai Tre Studi
per pianoforte. Alla scrittura pianistica del Petruska, sia quando il pianoforte svolge il ruolo di strumento dell’orchestra,
che nella trascrizione pianistica dei Tre
pezzi dal Petruska. Ma è nel secondo Novecento che esplode l’interesse dei
compositori per una scrittura destinata a uno strumento solo, si pensi, per esempio, alle splendide Sequenze di Luciano Berio. Lo stesso
titolo rinvia a pratiche antiche, addirittura medievali. Ma non è ignorato il
gigantesco sforzo bachiano delle Sonate
e Partite per violino solo, delle Suite per violoncello e della Partita per flauto. La scrittura
organistica e clavicembalistica offre poi infiniti esempi di virtuosismo:
sublime, tra tanti, la cadenza del clavicembalo nel primo tempo del Quinto Concerto Brandeburghese. Proprio
Bach, anzi, mostra la via di come da una semplice cellula melodica, ritmica,
armonica, lo strumento possa sviluppare un intero movimento di sonata o di
suite o di partita. Che meraviglia, dunque, se un immenso compositore come
Iannis Xenakis dedichi al violoncello un pezzo di uguale coerenza costruttiva,
ma anche di esuberante invenzione combinatoria? E’ Kottos, del 1977. Figlio di Urano, il Cielo, era un gigante dalle
cento braccia. Quante ne richiede il pezzo, metaforicamente, all’interprete.
Che per la serata della Filamonica Romana era il giovane Michele Marco Rossi,
allievo di Giovanni Sollima, del quale ha eseguito come bis un pezzo di
attraente eppure scorrevole virtuosismo, con effetti percussivi se non nuovi,
certo accattivanti. La serata, illustrata dallo stesso interprete, si proponeva
insieme come concerto di musiche di oggi e come spiegazione delle musiche
stesse, anzi, del perché fossero state composte. Si parte così da Curve with Plateau di Jonathan Harvey,
compositore inglese che ci ha lasciati nel 2012, e si va a Hommagesquisse e Threnos,
di Ivan Fedele, tributi a due grandi del Novecento, il primo un omaggio a
Boulez, del 2015, il secondo un “lamento” per la morte di Henri Dutilleux. Nel
frattempo ci aveva lasciato anche Boulez. Come non ricordare un’antica
tradizione di lamenti per maestri e compositori scomparsi, dalla Deploration sur la mort de Ockeghem di
Josquin des Près, e di Hommages che vanno
dall’Apoteosi di Corelli e Lully di
Couperin a Debussy e Ravel. E poi c’è
ancora chi dice, e scrive, che la musica di oggi non guarda al passato! Michele
Marco Rossi di questa lunga tradizione si dimostra un erede consapevole, la
padronanza dello strumento, la duttilità e varietà dell’interpretazione, che
varca spesso i limiti dell’esecuzione, per farsi vero e proprio teatro (ma
perché no? lo stesso virtuosismo non è in sé stesso l’esibizione, e dunque
gesto teatrale, di una bravura non solo strumentale, ma acrobatica,
funambolica, d’attore musicale?), disegnano la figura di un musicista consapevole
dell’interconnessione delle arti rappresentative o, come si dice oggi, con un
brutto anglicismo, perfomative. Non ce n’era bisogno. L’italiano possedeva già
il termine: basta sfogliare le partiture di Monteverdi. E di fatti, dopo un
interessante esperimento del giovane (1988) Gabriele Cosmi, Fünf Türme (cinque torri), da parte dell’ancora più giovane
violoncellista (1989), ecco una prova in cui distinguere l’esecuzione dall’interpretazione
teatrale è difficile: Forward and
downward, turning neither to the left nor to the right, di Lucia Ronchetti.
Monteverdi qui è esplicitamente citato. Tutto il brano ruota infatti e vi si
conclude intorno al Lamento di Arianna.
L’interprete muore con l’eroina evocata dal lamento. Che sembrerebbe morire
anch’essa. Ma il mito ci racconta che invece addirittura un dio, Dioniso, Bacco,
arrivò a salvarla e a liberarla dalla disperazione di essere stata abbandonata
da Téseo (questa sarebbe, in italiano l’accentazione giusta, come in latino,
unica fonte corretta dell’accentazione dei nomi greci in italiano, ma sento che
ormai agli italiani, sempre più digiuni e distanti dal latino, piace dire
invece Tesèo, che è l’accentazione greca). La musica di Ronchetti nasce e si
completa nel gesto teatrale. Ma sarebbe fuorviante dire che per questo non
mostra una sufficiente coerenza musicale. Più semplicemente, è la stessa
costruzione musicale a farsi gesto teatrale. Troppo lungo sarebbe, qui,
spiegarlo. Ma, semplicando all’estremo, brevi cellule musicali, soprattutto
ritmiche, si susseguono e si connettono come momenti insieme sia del percorso musicale
sia dell’azione teatrale. Pubblico
abbastanza folto e applausi convinti al violoncellista e alle musiche. Il brano
di Sollima, offerto come bis, era anche un atto di ringraziamento. Rossi ha
annunziato un secondo bis, ma avevo un treno che mi aspettava per tornare a
casa e non potevo perdere. Me ne scuso con il bravissimo giovane interprete. La
prossima volta programmerò meglio le mie uscite. Magari lasciando i treni alle
stazioni e avventurandomi con la macchina nel caos del traffico romano.
Fiano
Romano, 13 febbraio 2017
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