AMERICAN ACADEMY IN ROME, SCHAROUN
ENSEMBLE BERLIN, 3 FEBBRAIO 2017
Rinnat
Moriah, soprano
Raphael
Haeger, direttore
Musiche di
Christopher Trapani, Filippo Perocco, Jonathan Berger
Il
compositore contemporaneo ha oggi davanti a sé illimitate scelte di scrittura.
Ciò lo rende insieme infinitamente libero e faticosamente inesperto. Può
scrivere tutto e nel modo che più gli piace. Ma non ha schemi o modelli a cui
appoggiarsi. E’ come se per ogni pagina il sistema di scrittura si vedesse
costretto a inventarselo dal niente. La massima libertà è in questo caso una costrizione,
un carcere, la massima limitazione: vietato ripetere il già fatto, e nel caso
che a modello il compositore volesse invece assumere qualche sistema o qualche
compositore del passato, oppure anche contemporaneo, deve giustificare, nella
scrittura stessa, la sua distanza e perfino la somiglianza dal modello. Il
rigido regolamento della serie era di fatto una forma di libertà, in quanto una
volta steso sulla pagina il programma,
riempirlo, percorrerlo offriva infinite vie. Ma tutte coi limiti prefissati,
tutte dentro un quadro già prescritto e dunque comprensibile di regole. Christopher
Trapani (nato nel 1980) decide di misurarsi con un poeta moderno, ma della
prima metà del Novecento, e greco, non anglofono. Sceglie, tuttavia, di
intonarlo nella traduzione inglese. Si tratta di Constantinos Kavafis, un poeta
che estratto dalla sua lingua diventa un altro poeta, perché il suo greco molto
particolare è l’unica lingua che ritragga davvero il suo mondo. Ma le
traduzioni scelte da Trapani funzionano, le poesie ono belle anche in inglese. Nasce così Past All Deceiving, Poems by Constantine Cavafy, del 2012. Sono
sette poesie intensissime, secche, bellissime anche nella traduzione inglese: “One
afrternoon at four o’clock we separeted / for a week only ... And then -
/ that week became forever”. L’adesione del canto alle parole è totale. E nel canto
sembra che quelle poesie non possano essere state scritte che in inglese. Gli
strumenti intervengono a espandere l’emozione del canto, a commentarlo. E se ne resta catturati. Merito anche della
bravissima Rinnah Moriah. La melodia è costruita sulla melodia interna della
parola, una sorta di moderno recitar cantando. L’effetto sul pubblico è immediato.
L’ascoltatore resta attaccato alla memoria di quella sillabazione melodiosa che
sembra scarnificare la parola e sollevarla, nuda, spolpata, alla pura emissione
di una melodia. La lingua inglese, con la sua immensa ricchezza vocalica, in
ciò aiuta molto. Se si avvertono inflessioni che ricordano altri canti, per
esempio gli spirituals, è un abbaglio, quell’effetto nasce nel corpo stesso
della parola inglese. E’ un’esperienza stimolante questo ascolto. Perché
dimostra che quando un compositore entra dentro la parola che intona, non è
vero ch4e subordina la musica alla parola, ma cerca piuttosto la musica interna
alla parola stessa. Musica e linguaggio lavorano sulla stessa materia: il suono.
Ci si riflette di rado e troppo poco. Da Monteverdi a Musorsgkij a Debussy la
musica indaga proprio questo nodo sonoro, questo cuore musicale segreto del
linguaggio. E l’effetto può essere sconvolgente, travolgente. Jonathan Berger, nato
nel 1954, si misura col teatro musicale, mette in scena le allucinazioni di uno
psicotico che scambia la propria madre per la madre dello yeti. Quando scoprirà
la realtà, la sua personalità si svuota. Theodoki
a, del 2013, è stato però adattato a
un’esecuzione in concerto per lo Sharoun Ensemble. Anche qui Rinnat Moriah si
rivela interprete sensibilissima e straordinaria. Tra l’altro possiede un’intonazione
perfetta. Una musica pensata per lo spettacolo può soffrire dei limiti se la si
ascolta in concerto. Anche perché ciò che funziona nell’azione teatrale può
risultare fiacco al puro ascolto. Disturba per esempio un certo orientalismo
artificioso, che tuttavia potrebbe riuscire efficace sulla scena, assecondato
dall’azione degli attori. E in taluni momenti la musica, soprattutto il canto,
al limite del grido, scatena effetti intensi di un’emozione paradossale, che
sembra uscire fuori da una mente davvero prigioniera di sé stessa. Il grido di
un’allucinazione, ma anche il gemito di una disperazione inguaribile. Tra
Trapani e Berger si sono ascoltati tre pezzi di Filippo Perocco (nato nel 1972):
Dai Preludi, del 2015. I preludi del
titolo sono i preludi di Chopin, il primo, il quarto e il nono dell’op. 28,
rielaborati, ripensati, riscritti, come se fossero la materia, il grumo sonoro,
da cui estrarre nuovi significati musicali, o – forse – solo nuove forme. La
musica di Chopin è sempre al limite: di diventare un’altra cosa, di trascendere
lo spazio, apparentemente piccolo, dei suoi confini armonici, melodici, formali.
Perocco parte da qui, come se i preludi di Chopin costituissero appunti di una
musica ancora da scrivere. Impressionante l’uso percussivo, ma pianissimo, del
pianoforte, come eco del suono ribattuto del quarto preludio. Qui il suono si
fa macchia, impercettibile intonazione di un fremito, di una vibrazione interiore
soffocata. La musica sta sospesa sul silenzio da cui nasce, sempre sul punto di
riprecipitarvi. L’angoscia di punti di riferimento stabili, convenuti, che
attanaglia ogni compositore di oggi, qui prova a farsi forma, sperimenta il tentativo
di raccontare proprio questa mancanza di appoggio, questo baratro pronto a
inghiottire ogni sforzo d’inventare una forma, una forma qualsiasi, qualcosa
che assomigli all’opera compiuta. Si è parlato, e si è scritto, a proposito
della musica di Perocco, di echi da Sciarrino. Ma è un confronto fallace.
Sciarrino non cerca nuove forme, sa già dove andare, maschera con un aspetto
nuovo la sicurezza della forma tradizionale, che però proprio quella maschera
rende instabile, fuggevole. Perocco sa che ogni sicurezza è illusoria e guarda
allora in faccia il vuoto, il baratro che potrebbe inghiottirlo. Sta sul
ciglio, insieme attratto e respinto dall’abisso. La sua musica è la
rappresentazione di quello stare in bilico.
Come sospeso su un tappeto volante che qualunque genio maligno può
subito strappargli via da sotto i piedi. Nella rappresentazione – appena sussurrata,
mai gridata – di questa instabilità, di questo stare sospesi sul possibile
niente, sta il fascino, ma anche l’irrequietezza, anzi l’inquietudine di questa
musica. Pagine brevissime. Come quelle di Webern. O di Kurtág. Con cui non hanno,
però, niente in comune. Salvo la brevità. Ma in quei brevi attimi si racchiude
una percezione misteriosa: che tutta la nostra esistenza, come quei suoni, sia
sospesa sul niente di un baratro. Chopin non è mai stato avvicinato più
profondamente da un altro musicista. Il merito comunque dell’efficacia di
queste musiche, di tutte queste musiche, di Berger, di Trapani e di Perocco, è dovuto
anche al bravissimo Scharoun Ensemble Berlin e al suo attentissimo, lucidissimo
direttore Raphael Haeger, che di ogni pagina ha penetrato il senso insieme
formale ed espressivo. Che poi sono la stessa cosa. Alla faccia di chi ancora
crede che la musica di oggi non possa essere espressiva. Lo è, eccome! Ma come
musica di oggi, appunto. La musica di un’epoca che sta sospesa sopra il baratro
di un niente. Come i preludi chopiniani reiventati da Peocco, come lo psicotico
León di Theodokia, rappresentato da
Berger, o i furtivi, inafferrabili amori, gli evanescenti attimi gioiosi di
Kavafis, intonati in inglese da Trapani. Applausi convinti e fragorosi hanno
accolto i compositori e gli interpreti. Com’era giusto che accadesse.
Fiano
Romano, 7 febbraio 2017.
Ho avuto, leggendo questa recensione, l'impressione da un lato di essere presente in sala e di seguire il concerto, e dall'altro ho avvertito una certa sofferenza perché non c'ero e dunque l'altra sensazione era puramente illusoria, dovuta all'efficacia immaginifica del tuo racconto. Grazie di tutto.
RispondiEliminaSpero che la serata sia stata registrata. In ogni caso sono contento che Filippo Perocco cominci a essere diffuso e conosciuto in Italia. E' un compositore di cui sentiremo forse parlare molto.
RispondiEliminaStarò attenta alla programmazione delle reti classiche della Rai sia televisive che radiofoniche e di Classica Hd su Sky. Appena vedrò qualcosa ti avvertirò. Buona serata.
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