Fernando Jamandreu Obradors
(1897-1945)
Canciones
clásicas
españolas
Complete
art songs
Daniela
Nuzzoli. mezzosoprano
Raúl
Hernández,
tenore
María
Laura Martorana, soprano
Olaf
John Laneri, pianoforte
Da
Vinci Classics C00192
1
cd
Dame,
amor, besos sin cuento,
Asido
de mi cabellos,
Y
mil y ciento tras ellos,e dopo quelli mille e cento,
Y
tra ellos mil y ciento.
Y
después …
De
muchos millares, tres!
Y
porque nadie lo sienta
Desbarateremos
la cuenta
Y
… contemos al revés.
Così
canta il poeta rinascimentale spagnolo Cristóbal
de Castillejo. Dammi, amore, baci senza numero, / afferrato per i
capelli, / e mille e cento dopo quelli, / e dopo … / di molte
migliaia, tre! / E perché nessuno se ne accorga / disfaremo
la somma / e … conteremo al rovescio. La
fonte è un carme di
Catullo, il quinto:
Vivamus, mea Lesbia. Ma semplificato, ristretto ai soli
baci, senza le ironie
sociali del poeta latino e,
soprattutto, eliminando il riferimento, per uno spagnolo del
Cinquecento – e in genere per un cristiano europeo, sia cattolico
sia protestante, e in realtà anche per il miscredente –
insopportabile, alla “perpetua notte” ch’è il regno della
morte: bisognerà aspettare il Coro dei morti di Leopardi, e il
Tristano di Wagner perché una simile idea si ripresenti come
probabile e accettata dall’europeo.
Ecco, comunque,
il testo di Catullo (e la sua traduzione in italiano):
Vivamus
mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum seueriorum
omnes unius aestimemus assis!
soles occidere et redire possunt:
nobis cum semel occidit breuis lux,
nox est perpetua una dormienda.
da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum.
dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus inuidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.
rumoresque senum seueriorum
omnes unius aestimemus assis!
soles occidere et redire possunt:
nobis cum semel occidit breuis lux,
nox est perpetua una dormienda.
da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum.
dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus inuidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.
Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo,
e i rimproveri dei vecchi criticoni
tutti insieme non consideriamoli un soldo.
I giorni tramontano e tornano;
ma per noi una volta che tramonta la breve luce,
dobbiamo dormire una sola perpetua notte.
Dammi mille baci, poi ancora cento,
poi altri mille, poi ancora altri cento,
poi di seguito mille, e poi di nuovo cento.
Quando infine ne avremo dati molte migliaia,
le confonderemo, per non sapere,
e perché nessun maligno ci invidi,
sapendo che così grande è il numero di baci.
Castillejo
si dimostra, dunque,
un poeta aggiornato alle poetiche rinascimentali e,
anche se probabilmente agnostico, ubbidisce al diffuso rispetto
cristiano della morte.
Tuttavia, più
interessante è notare che il carme, scritto da Catullo in eleganti
endecasillabi faleci, è invece
da Castillejo riscritto
in un metro popolare spagnolo, la redondilla, quartine di ottonari
con rima abba, che sarà nel secolo seguente anche uno dei metri del
teatro. E non solo per
l’attento osservatore dei costumi del popolo, ch’è l’immenso
drammaturgo Lope de Vega, ma anche per il più raffinato Calderón
de la Barca, che riassume il metro popolare trasformando in strumento
di visionarie combinazioni fantastiche barocche. A dimostrazione del
legame permanente della cultura spagnola con la cultura popolare,
anche quando si innalza nelle sfere di una poesia quasi metafisica e
astratta. Si pensi solo alle vertigini immaginifiche di un Góngora.
Come nella pittura, del
resto, dove convivono Velázquez
e Murillo, Ribera e Zurbarán,
o El Greco (che è in realtà è cretese – ma la cultura greca
conosce misture simili a quelle della cultura spagnola). Ora,
questo
riferimento continuo, sia
diretto sia filtrato da una prospettiva colta, alla
cultura popolare
distingue da subito la poesia, e la letteratura, spagnola da quella
italiana coeva. Anche il riferimento colto è, infatti,
inserito in un contesto leggibile, popolare, che rifiuta la
separazione dotta, il livello letterario alto esibito
come esclusivo, separato.
La cultura spagnola,
anche la più colta, è invece sempre inclusiva. Ciò potrebbe
spiegare anche certe evoluzioni della società spagnola
contemporanea, per esempio, nel cinema. Ma questo è un altro
discorso. Non che nella
poesia spagnola manchi comunque
un livello alto, anzi è
spesso ricorre a un
livello più elaborato,
più artificioso,
di quello italiano. Ma, ciononostante,
la lingua adottata non è mai
una lingua separata dalla
lingua parlata.
In
Italia questa mescolanza di
livelli la troviamo solo
nella commedia e nella poesia satirica. Ancora più interessante è
il fatto che questa poesia diventi una canzone popolare (le
proteste studentesche nella Spagna di Franco facevano uso di canzoni
i cui versi erano poesie dei due fratelli Machado, Antonio e Manuel,
di Lorca, di Jiménez, nessuna censura avrebbe potuto proibirle)
e ancora più
significativo è il fatto che
la canzone popolare
sia in seguito
rielaborata, quattro
secoli dopo, nel primo
novecento, tra gli altri,
da Fernando Jamandreu
Obradors, un compositore
catalano che ne fa una
pagina di musica “colta”.
Non
ci si meravigli, però,
che sia un musicista spagnolo a farlo. La cultura spagnola, a
differenza di quella italiana, conserva sempre, come
si è visto fino ai
giorni nostri, contatti indissolubili con la cultura popolare. Questa
cultura, però, non è
mai guardata
come fenomeno esotico,
come corpo estraneo al
livello alto della società, come cosa
da ridere, e goduta
dall’alto di una cultura superiore, come
invece, che so, da
noi si osserva
nella
Nencia di Barberino di Lorenzo de’ Medizi, o
in Ruzante,
bensì con è assunta con
una completa condivisione
di stile e di
sentimenti, di cui per
esempio il teatro di Lope
de Vega costituisce
uno dei vertici. Ma anche la
narrativa, la pittura, la
musica hanno lquest
stesso carattere.
Cervantes,
Ribera e Velázquez.
Domenico Scarlatti è un
musicista italiano, ma
trapiantato a Madrid si
adegua mirabilmente a questo clima culturale, la sua musica accoglie
ritmi, melodie, modi della musica popolare spagnola.
Obradors,
in qualche modo, fa un’operazione simile: traslata a un livello
colto la musica popolare che
ascoltava cantare per le strade.
Ma a differenza dei
suoi contemporanei Falla e Granados, per i quali è il lato popolare
il centro dell’interesse
e ciò che deve essere
messo in evidenza, per
Obradors, il musicista
del salotto borghese, è
il pubblico borghese dei salotti il pubblico delle sue canzoni.
Tant’è che queste
canzoni girano il mondo, ancora, oggi, nelle sale da concerto.
L’operazione
di Obradors, se
ci si riflette, ha
qualche punto di affinità con i Folk Songs di Luciano Berio: ci
troviamo mezzo secolo
dopo, ma
Berio, che
ha, tra l’altro,
anche splendidamente strumentato per orchestra la parte pianistica
delle canzoni popolari di Falla, anche
lui trasferisce a un livello alto, “colto”, la fonte popolare.
Non sono passate invano i
decenni di ricerche sul canto popolare di
Bartók,
tra gli altri (e anche a Bartók
alludono i suoi duetti
per due violini), e gli
studi di un De Martino, che proprio in quegli anni trovarono
finalmente spazio anche nelle aule universitarie.
Obradors è amico di
Felipe Pedrell
(1841-1922),
colui che avvia il confronto della musica spagnola con la musica
europea, soprattutto francese, dell’epoca, ma che invita anche
al confronto con la secolare tradizione popolare spagnola.
Queste
canciones
clásicas
españolas
sono
una delizia. Raffinatissima la scrittura pianistica, che richiama
chitarre, castañuelas
(nacchere),
violini gitanos. Del canto gitano sono assunte anche le fioriture. Ma
non tutto il canto
popolare
spagnolo è gitano. Ammirevole è anzi la varietà di fonti e di
stili. Gli interpreti di questo cd vi aderiscono con intelligenza e
penetrazione, tenendosi ugualmente lontani dal conferire alle loro
interpretazioni un carattere troppo popolare o troppo colto. La
piacevolezza, comunque, è l’aspetto che subito conquista
l’ascoltatore, che non vorrebbe mai smettere di ascoltare. Tanto
più che sono incisi tutti e quattro i volumi delle canciones, più
due canciones non comprese nei quattro volumi.
In totale 25 canciones. Qualche acuto sopranile non proprio preciso è
l’unica ombra che si può rimproverare a un’interpretazione per
il resto
sempre luminosa. E
avrebbe aiutato il piacere dell’ascolto avere inserito nel booklet
i testi delle canciones. Ma
è già un regalo che finalmente ci si offra un’esecuzione
integrale delle canzoni di Obradors. E’ un pezzo della storia
culturale della Spagna, e dunque dell’Europa, moderna, che nessun
europeo che voglia considerarsi colto, informato, può permettersi
d’ignorare. La storia culturale del Continente passa anche
attraverso queste opere così cariche di memoria e insieme così
aperte a futuri sviluppi.
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