DINO VILLATICO
ALLEGORIA
Un dittico e una palinodia
La traiettoria di una vita può essere allegoria della traiettoria di un'altra?
Why should a dog, a horse, a rat have life,
And thou no breath at all? Thou ’lt come no more,
Never, never, never, never, never.—
(Perché deve un cane, un cavallo, un topo avere vita,
e tu nessun respiro? Non tornerai più,
mai, mai, mai, mai, mai. -
Shakespeare, Re Lear, V, 3, 370-373).
Figura, chi lo sa, di una comune
sussistenza, di condivisa trama,
nella nascosta, ignota tessitura
che intreccia le giornate dei viventi,
il nostro incontro fu, può darsi, solo
una premonizione della Moira.
C'è un'invidia del caso nel destino
degli amori, un'astuzia del nonnulla
ch'è la vita, per questo suo ridurne
lo spazio del contatto al repentino
battito delle ciglia, al fuggitivo
spasimo di un respiro. E poco dopo,
come se il prima fosse un niente, il buio.
Non chiediamoci, dunque, che mai possa
significare l'attimo d'intesa.
Lo sappiamo, ch'è là, ch'è là la vita.
Ma quel buio, non prima, prima noi
non c'eravamo, ma quel buio, dopo,
che cos'è? dopo, quando là ci siamo
ancora, prima di annegare insieme
agli annegati, noi, che rimaniamo,
noi, i sopravviventi, noi, chi siamo?
Fiano Romano, 15 - 21 aprile 2024
SCEKSPIR
τό τ'ἀργύριον πρόσωπον,
διαφάδαν τί τοι λέγω;
Ἀλκμᾶνος θραῦσμα, γ', ν'ε' ν'ϛ'
(Il suo argenteo viso,
come a parole te lo dico?
Alcmane, frammento 3, 55-56)
Apparve una mattina in fondo al giardino, davanti alla capanna degli attrezzi. Guardava davanti a sé con due occhi immensi, sgranati. Due buchi neri in mezzo a una foresta di peli e di vibrisse. Se lo chiamavo mi fissava attentamente, quasi con ostinazione, ma, attratto da quello sguardo così intenso, appena però cercavo di avvicinarmi, scappava via. Era un gatto bellissimo, tra i più belli mai visti o che mi girassero per casa - anni fa ce n'era uno, che dormiva con me, sul letto, tenerissimo, pacifico, che avevo chiamato Berengario, nome del primo Re d'Italia, giusto per dargli un nome regale, e che si perse per le strade di Roma, deluso dall'approccio inconcluso con una persiana cinerina simile a lui e non l'ho rivisto mai più - , il visitante che ispezionava il mio giardino era un gatto tigrato, pelo lungo, arruffato (ma sarebbe bastato spazzolarlo e il pelo sarebbe ritornato liscio, morbido, fluente), una palla, un batuffolo di lana, come un gatto persiano. Immaginai che fosse il gatto di qualche villa vicina, accanto alla mia e che, come fanno tutti i gatti, amasse ispezionare il circondario. Non accettava nessun cibo, e nemmeno si accostava alla ciotola dell'acqua. Inutilmente spargevo croccantini di ogni tipo, pezzi di carne o di pesce sul pavimento dell'atrio o sulla terra, vicino alle piante. Non si accostava nemmeno per annusarlo, quel pasto che altri gatti avrebbero voracemente inghiottito. Sei anche snob? gli chiesi dentro di me, guardandolo. Lui, come avesse percepito la mia inquisizione, mi guardava quasi indispettito, con aria di sfida, quasi a dire: e allora? Una volta si sedette sul cofano della mia Twingo, e sorprendentemente si lasciò avvicinare, ne approfittai subito, corsi nello studio a prendere la mia macchina fotografica e tornai in giardino: stava ancora là, seduto sul cofano della Twingo: lo fotografai. Sembrò incuriosirsi, che cavolo facevo? E mi squadrava dall'alto in basso, come se mi deridesse. Provai ad avvicinarmi di più. Restava fermo, immobile, e mi guardava. Ma quando poi tentai di carezzarlo scappò subito via. Questo suo apparire e scomparire durò per qualche mese, forse addirittura un anno. Sempre agile a scavalcare muri, a infilarsi nei passaggi più stretti delle siepi, e a presentarsi con aria deridente davanti alla porta della casa. Era ormai quasi una presenza abituale, un amico che veniva a farci visita. Già, perché in realtà io avevo già altri gatti, tre. gelosissimi del loro territorio. Ed era perciò strano comunque che non lo aggredissero. Aggredivano di solito qualunque intruso. Una volta, anzi, il misterioso visitatore lanoso si associò ai miei tre conviventi nell'affrontare un gatto rosso aggressivo e invadente, il quale vistosi attaccato da quattro gatti scomparve e non si fece più vedere. Lui, il pelosissimo, però, restava diffidente, non si lasciava avvicinare e anche i miei gatti lo tenevano a prudente distanza. Una mattina, inaspettatamente, accettò invece che mi avvicinassi fino a lasciarsi toccare la testa, gli carezzai la nuca. Chiuse gli occhi, godeva. Ma a un tratto, non so se messo in guardia da un mio gesto inopportuno o da qualche rumore che io non avevo avvertito, scappò via. E non si fece più vedere per giorni. Cercai sulla rete a quale razza potesse appartenere un gatto così bello, ma indefinibile, di una razza che non riuscivo a individuare. Sicuramente non era un persiano e se meticcio un assai strano meticcio, figlio di una genealogia quasi pura. I peli sulla punta delle orecchie, come sulle orecchie di una lince, me lo fecero infine riconoscere per un Maine Coon. Anche se probabilmente un incrocio di gatti diversi. La forma allungata del muso me lo faceva sospettare, troppo allungata per essere il muso di un Maine Coon. Acquistai una confezione di croccantini preparati apposta per la sua razza. Ci vi si avventò immediatamente sopra, appena li vide, doveva averne riconosciuto l'odore, e in pochi secondi li divorò. Restò nel giardino anche il pomeriggio. Si sdraiò al sole, sotto il cespuglio di mirto. La sera stava ancora là e gli diedi da mangiare insieme agli altri tre. Entrò in casa, inseguendo la ciotola, e appena ebbe finito di mangiare si accucciò per terra, sotto la tavola. Lo presi in braccio e cominciai a carezzarlo dalla testa alla coda, enorme, un bioccolo leggero. Lo distesi sulle mie cosce e continuai a carezzarlo. A un tratto, sentii che cominciava a fare le fusa, ininterrotte, insistenti. E adesso è qui, che non se ne va più via. L'ho chiamato Scekspir. Perché, con quella specie di barba intorno al muso, gli assomiglia. Non conosco la sua storia. Ma deve avere avuto un'infanzia felice, coccolato: è abituato alle carezze. Anzi emette, con voce flebile e acutissima, lievi, impercettibili miagolii. Ormai è anche lui di casa. Ma il cocco di casa, Cherubino, un gatto bianco e tigrato, a pelo corto, non è affatto contento della situazione. Quando lo vede, anzi, lo aggredisce o miagola sommesso, minaccioso. Scekspir adorerebbe sdraiarsi sul letto, ma Cherubino glielo proibisce. Si accontenta così di accucciarsi sul divano dello studio. Si dividono a turno lo scanner sulla mia scrivania, sul quale è steso un panno di feltro. Vorrei conoscerla la storia di Scekspir, affamato com'è di carezze, silenzioso, discreto, che guarda gli altri gatti di cui credo che invidi la mia familiarità con loro, il fatto che se mi stendo a letto, tutti e tre mi saltano addosso sul petto e sulla pancia. Cherubino sul petto, il muso quasi sul mio mento. Basilio, un gatto tutto nero, sulla pancia. E sull'inguine si accuccia Barbarina, la sorella di Cherubino. Restano tutti e tre accucciati su di me, e mi assordano con le loro fusa. Scekspir vorrebbe imitarli, ma si tiene a prudente distanza. Qualche volta si spinge fino ad annusare l'ano di Basilio, che lascia fare. Ma Cherubino lo ferma con un miagolio sommesso, minaccioso, non appena sospetta che abbia intenzione di avvicinarsi. Più diretta, Barbarina lancia zampate sul suo muso. Allora Scekspir si sistema sulla cassapanca ai piedi del letto. O, quando si sente in vena di sfidare Cherubino, si allunga sul letto ai miei piedi. Cherubino a volte protesta e allora lui salta giù e va via nello studio. Altre lo ignora, e Scekspir mi resta accucciato ai piedi del letto. Qualche volta osa addirittura stendersi al mio fianco. Ormai i quattro gatti convivono. Due hanno deciso d'ignorarlo. Cherubino, invece, continua ad avversarlo, ma si dimostra sempre meno aggressivo. Preferisce piuttosto venirmi a disturbare quando scrivo al computer, a interrompere il mio lavoro, struscia il muso sul mio petto, mi fissa negli occhi, mi passa su e giù la coda sotto il mento. O, dopo avere ficcato i suoi occhi sui miei, come avesse colto un segno di approvazione o di permesso, mi si mette sulle gambe oppure, più deciso, e quasi trionfante, si sistema tra la tastiera e lo schermo del computer, e accenna di dormire. Vorrei davvero conoscere la storia di Scekspir, come si sia smarrito, o perché abbia lasciato la sua casa, e abbia affrontato la vita di un randagio. È abituato alla compagnia dell'uomo: il suo comportamento è di un gatto di casa. Se lo chiamo mi guarda, emette un timido miagolio, chiude gli occhi e aspetta la carezza. E quando sente la mia mano su di sé dapprima apre gli occhi, poi li chiude e fa le fusa. Immagino che il suo padrone o la sua padrona siano morti e gli eredi lo abbiano portato lontano e abbandonato. Ma poi mi chiedo se sappiano che un Maine Coon è un gatto ricercato, costoso, con un mercato proficuo e in fondo scellerato, come qualunque mercato di esseri viventi. Chi ci dà il diritto di trattare i viventi come oggetti? Avrebbero comunque potuto venderlo e guadagnarci qualcosa - o regalarlo e fare felice qualcuno. L'abbandono, di un animale, come di un uomo, è l'azione più scellerata che un individuo possa compiere. Anzi, sono scellerate nello stesso modo. Mostrano una sgradevole mancanza di sensibilità alla sofferenza degli altri, o, meglio, un'indifferenza deplorevole a ciò che l'altro possa provare, se scacciato, abbandonato o semplicemente trascurato. Si comincia disprezzando l'animale e si finisce per infischiarsene del male che si fa a un altro uomo, o addirittura per augurarne o provocarne la morte, uomini e animali degradati a oggetto della propria smania di dominio. Ormai è solo qualche mese che Scekspir sta qui con me, ma c'è già tra noi, soprattutto in lui, una fiduciosa familiarità, come se volesse dimenticare la sua vita di randagio, e si affidasse alla mia protezione, al mio sostegno. Quando non può starmi addosso, si accuccia sui miei panni, e se non mi vede annusa ogni angolo della casa. Circoscrive il suo territorio nel giardino pisciando sugli arbusti, sul mirto, sull'alloro, sul rosmarino. Forse anche per imporre la propria presenza e, soprattutto, la propria permanenza agli altri tre gatti. Se mi alzo dal letto, scende dal divano dello studio e mi segue per le scale che conducono alla cucina. Alza il muso e aspetta. Quando gli dispongo la ciotola con i croccantini sotto il muso, prima che la ciotola tocchi il pavimento emette lunghi, frequenti e acuti miagolii. Ormai è un compagno stabile della famiglia. Avevo paura che se mi assentavo per qualche giorno, al rientro non lo avrei più ritrovato, perché immaginando un abbandono riprendesse la sua vita di randagio. Invece a ogni rientro, lui è qua che mi aspetta. Mi guarda. So che cosa mi chiede. Avvicino la mia mano al suo muso e comincio a carezzarlo. Lui chiude gli occhi e fa le fusa.
Fiano Romano, 12 gennaio 2024
DIARIO PER LA MORTE DI UN GATTO
Εννέα τραγούδια για το γάτο μου
(Nove canzoni per il mio gatto)
Οὔ μ'ἔτι, παρθενικαί μελιγάρυες ὶερόφονοι,
γυῖα φέρεν δύναται ...
Ἀλκμᾶνος θραῦσμα, Ϟ'
ἔστι τις σιῶν τίσις ...
Ἀλκμᾶνος θρ. γ', λ'ζ'
(Non più, fanciulle dal canto di miele e dalla sacra voce,
le membra reggermi possono ...
Alcmane, frammento 90.
Esiste una vendetta degli dei ...
Alcmane, fr. 3, 37)
1.
Non so che dio o caso dell'ignoto
meccanismo che ci governa spegne
l'alito che dirige i nostri sguardi,
ma stamattina non avrei pensato,
piccolo elfo che lieve mi allietavi
i giorni, che veduto invece chiuso
avrei il tuo e immoto il tuo bel corpo
di pelo grigio morbido e striato:
i tuoi grandi occhi tristi e fissi sempre
su di me non appena mi sentivi
entrare nella stanza sono adesso
rimpianto, e nostalgia la tenue voce
che gioiva alla vista della tazza
dei croccantini. Sei sparito senza
nemmeno un breve cenno di congedo,
mi lasci a questa pena di una fine
solitaria, né un'ultima carezza
ha seguitato l'ultimo respiro.
Eppure s'era steso a te daccanto
l'altro giorno sul letto il mio Basilio,
quel diavoletto nero, un trovatello,
che come te cercava compagnia.
Attendevate entrambi il mio risveglio,
che come ogni mattina ritardava
la discesa dal letto e il crepitare
dei croccantini nel piattino. Segno
che presentiva già Basilio, il gatto,
che l'altro gatto se ne andava, e a Scekspir
così mandava l'ultimo saluto?
Fiano Romano, 5 -12 aprile 2024
2.
La prima notte che il tuo muso lungo
e grigio non si accuccia sullo scanner.
La prima notte che non odo grave
e quasi impercettibile venirmi
il tuo ronronnement sulla tastiera
del computer. Ma sei presente, Scekspir,
nello squarcio d'amore che permane
come un grido d'aiuto nel silenzio
che ti cancella, e corrisponde al grido
la mia risposta che non ha la forza
di rievocarti vivo al mio chiamarti.
Fiano Romano, 6 aprile 2024
3.
SCEKSPIR
... there's a special providence in the fall of a sparrow...
Shakespeare, Hamlet, V, 2.
(C'è una speciale provvidenza nella caduta di un passero ...
Shakespeare, Amleto, V, 2)
Era anche d'altri questo amore che oggi
mi strugge per la sua mancanza, d'altri
il tuo sguardo, la vita che scorreva
tra voci che non sono questa mia
che interroga se in qualche luogo ancora
la tua memoria e soprattutto il tuo
olfatto ha qualche traccia del contatto
che ci faceva lieti di un presente
che nessuno dei due aveva mai
immaginato. Un gatto traversiere
tra le fronde del bosco che s'arresta
davanti alla mia porta e che decide
di restare. Dovevo immaginarlo
che sarebbe arrivato il tuo congedo,
ma non pensavo in questo modo, questa
condanna di silenzio che non mostra
fenditura d'ascolto, quest'assenza
che rumorosa ora occupa lo spazio
di quella che mi fu la tua presenza.
Il nome pretenzioso che solenne
io volli importi, Scekspir, che non era
il tuo, quando altri avevano il tuo sguardo,
ripetuto, mi squarcerà l'orecchio,
ricorderò che nel mio cuore io sono,
tra quanti attraversarono il cammino
della tua vita, un troppo breve tratto
di respiro, e sono il più malato.
Fiano Romano, 8 - 12 aprile 2024
Nota: Dopo la morte del gatto, si è venuto a sapere a chi appartenesse. Era nato nel 2015. Fu chiamato Simba..A dicembre del 2022 la sua compagna muore durante l'operazione per sterilizzarla e Simba scompare. A gennaio dell'anno seguente comincia a frequentare il mio giardino. Ma non si lascia avvicinare. Tra la fine di marzo e i primi di aprile viene tutti i giorni, si lascia carezzare. E alla fine si stabilisce da me.
4.
Silenziosa la musica cantava
l'inudibile canto della morte;
tra gli scaffali dove Mozart, Schubert,
Beethoven, Bach mostravano nascosti
dall'involucro della legatura
i fitti crittogrammi di un respiro
che ci sembra celeste e la tastiera
del mio Bechstein a coda, il nero emblema
del mio credermi ancora un musicista.
anch'essa muta, come tutta forse
la mia vita, chi sa, giunta alla sua meta,
tra gli scaffali della libreria
e il pianoforte nero a coda, immoto
m'apparve il corpicino, un muto impasto,
anch'esso muto tra le mute forme
del mondo che traspare ma non parla,
un inerte groviglio senza moto
di ciò che fu respiro e fu lo scatto
di un impulso d'intesa, di uno sguardo,
di ciò che fu l'amore sussultante
per ogni gesto di festoso accordo;
dal muro di silenzio che varcato
travalicava la sequenza intatta
delle scale, dall'ipogeo del suono
all'agognato eliso del mio letto,
correva la tua vita e la mia gioia,
ma il mio già fatuo fiato di una voce
supplicante la muta confidenza
di chi non avvertiva più fruscio
di foglie non verrà giorno che possa
riprovarlo, sperando di riudirne,
illuso miscredente, dalla bocca
sigillata dal bacio della morte,
l'impossibile balzo di risposta.
Fiano Romano, 9 - 14 aprile 2024
5.
Reliqua desiderantur
(Tutto il resto è desiderato).
L'interruzione del ricordo è scatto
di un tempo infastidito dal consueto
avvicendarsi delle cose, quando
ci assale la paura che il sorriso
di un assiduo, di un permanente sguardo
incrini la stentata saldatura
dei giorni e ridiscuta la saldezza
dell'usuale conformarsi al corso
che ciascuno prevede del suo tempo.
Un gesto, solo un gesto che interrompa
la calma quotidiana, e la ferita
rimarginata torna a sanguinare.
Il tuo nome, tra labbra intimorite,
appena sussurrato, non mi basta
a dare un corpo a chi ha lasciato il suo.
Fiano Romano, 10 - 12 aprile 2024
6.
Io sono Adina che si accorge che anche
un fiore può appassire, e la speranza
non dura un giorno, ah! non credea mirarlo
sì presto estinto l'elfo che in un giorno
assolato d'inverno entrava cauto
nel mio giardino, e che il suo breve tempo
terminale lo avrebbe qui trascorso
guardandomi negli occhi. Il tempo, Scekspir.
il nostro breve tempo di convegni,
lo strappavamo al morso dell'invidia,
di un dio, del caso che ai viventi nega
che duri un colmo di delizia, forse
è per questo che lo si sconta sempre
con uguale misura di dolore.
Fiano Romano, 10 - 12 aprile 2024
Nota: Adina è la protagonista della Sonnambula di Bellini. Nel delirio del sonnambulismo guarda, ormai appassito, il fiore regalatole da Elvino.
7.
Il tuo muso sul braccio mentre guardo
un film alla televisione, e resto
fermo, non muovo un dito, per lasciare
il tuo sonno tranquillo sul mio braccio.
Fiano Romano, 12 aprile 2024
8.
Quante idiozie riempiono la bocca
dell'insipiens che si pretende primo
tra gli esseri viventi: il vincitore
tra i primati del seggio di monarca
che regola la vita del pianeta!
A mala pena l'arte nei millenni
ha migliorato, diligentemente,
di distruggerla, quella che già c'è!
Guardasse la tua storia. L'amicizia
cercavi di chiunque si accostasse
all'eco che veniva da lontano
di un lungo miagolio, e la tua zampa
sulla mano era il segno del contratto:
unita in questo tocco la mia vita
alla tua vita. Ma nessuno, Scekspir,
immaginava così presto rotto
il patto, né così d'un tratto estinto,
ciò che fu vita ed è solo ricordo.
Fiano Romano, 15 aprile 2024
9.
Una leggenda popolare vuole
che possa un gatto vivere da capo
nove volte la vita. Quella sola
che t'era destinata, ti fu tolta
che non toccava ancora il nono anno.
Fiano Romano, 15 aprile 2024
PALINODIA
... y así, aunque a libraros vais
de la muerte con huir,
mirad que vais a morir,
si está de Dios que muráis.
Pedro Calderón de la Barca, La vida es sueño, III, 901-904
(... e così, anche se a liberarvi andate / dalla morte con il fuggire, / guardate che andate a morire, / se sta in Dio che moriate. Pedro Calderón de la Barca, La vita è sogno, III, 901-904)
(Il gracioso è il personaggio comico della comedia spagnola del siglo de oro, con un ruolo simile al clown e al fool del teatro elisabettiano. Il termine comedia non indica una rappresentazione comica, ma semplicemente qualunque rappresentazione, come il termine play in inglese).
C'è una provvidenza nella morte di un passero, dice Amleto ad Orazio, prima del duello con Laerte. E Amleto muore, perché Laerte, dietro consiglio del Re Claudio, ha avvelenato la punta della spada. Guardate che morrete, se sta in Dio che dovete morire, dice Clarín ne La vita è sogno di Calderón de la Barca. E un colpo di fucile colpisce il gracioso Clarín mentre cerca di nascondersi per sfuggire agli spari di una battaglia. Non diversamente dal Fool del Re Lear, è l'attore comico a suggerire il senso della rappresentazione. Il destino di un passero, di un gatto, di un uomo, sia caso, sia un dio o la Natura, che per Spinoza, contemporaneo di Calderón, è Dio, è ignoto a chi di quel destino è soggetto. Lo scherno del pagliaccio si assume l'onere di spiegarlo e di riordinare il disordine delle azioni umane. E sono due pagliacci che scavano una fossa a spiegare ad Amleto il segreto della morte. Ora va nella stanza della mia donna, ne conclude Amleto, e dille che può imbellettarsi fitto d'un dito, a questa grazia deve arrivare, che abbozzi una risata. Scekspir, il gatto che per mesi m'era apparso nel giardino, non si era perso nei boschi di Fiano Romano, il borgo della Sabina nel quale ho scelto di ritirarmi, abitava in una casa dalla quale è fuggito. La ricerca che avrei dovuto fare quando era vivo, colpevolmente troppo tardi l'ho fatta dopo che è morto. Ma, se posso dirlo a mia discolpa, mi ero convinto che nessuno lo cercasse. Né la veterinaria lo riconobbe, né ho letto sulle strade, nelle vetrine dei negozi qualche avviso. Il proprietario si era limitato a mettere un avviso all'inizio della strada dove vive, parallela alla mia strada, ma dove non mi capita di andare mai e un altro avviso nell'ambulatorio dove conduceva il gatto per le visite di controllo, e dove io non andavo mai. Leggevo, tuttavia, nel suo sguardo, nei grandi occhi di Scekspir, che ai lati del grande naso e sopra le lunghissime vibrisse, in mezzo al folto pelo, facevano assomigliare il suo muso alla faccia di Shakespeare, e per questo così l'avevo chiamato, traslitterando però la pronuncia e non l'ortografia, notavo in tutta l'espressione del suo bellissimo muso una tristezza costante, una disperazione inconsolabile, fosse, può darsi, mi dicevo, la traccia di un abbandono, più che l'esperienza di un esilio. Per mesi si è aggirato nei boschi qui dintorno, nutrendosi chi sa come, di ciò che trovava, lucertole, roditori, uccelli. Era, però, inverno, lucertole dunque e serpenti dormivano nel sonno di un tranquillo letargo, spariti pertanto anche alla vista dei predatori. Ma che ci faceva un gatto di razza, un Maine Coon, com'era Scekspir, regale, solenne, tra i boschi, a visitare spaurito le ville dei dintorni, a frugare i giardini, a inseguire gli odori di altri gatti, quelli che aveva visto magari scomparire da casa, la compagna di due cucciolate, e i cuccioli stessi presto introvabili? E perché non era comunque tornato in quella casa, a poche centinaia di metri, una macchia rossa tra il verde delle colline, che anche ormai così solitaria, lo avrebbe di nuovo accolto, nutrito, e forse protetto? Un rancore irreprimibile, chi sa, per una inspiegabile sottrazione, o paura di tante facce che non conosceva venute a trasportare mattoni, spostare travi, cambiare mobili, e quel nuovo venuto così chiassoso, perché l'avevano chiamato, che cosa pretendevano, che sostituisse l'inimitabile acutezza di una voce che non udiva più? La sua era una voce stridula, che gridava senza sosta. Una cagnetta nera, aveva sentito dire - non s'illudano gli umani di non essere capiti da un gatto quando parlano, il gatto li capisce, e capisce anche ciò che non dicono - e perché dunque anche un'altra specie? non bastava la sua, a completare gli abitanti della casa? La felicità, in quella casa, dura pochi mesi. Perché subito il vocio di piccole nuove creature si trasforma a un tratto nel silenzio di un abbandono o, può darsi, di una sottrazione, o, gli dei non vogliano, di una uccisione. Adesso non era più solo. Ma gli altri tre gatti non mostravano entusiasmo per la sua venuta. Soprattutto uno lo scacciava ogni volta che si azzardasse a salire sul letto. Per qualche gatto la solitudine è un destino, sembra. Chi sa che pensieri simili o qualcosa che assomiglia al pensiero abitassero la sua grande testa di felino privilegiato, con lunghissime e bellissime vibrisse. Un animale solitario, che però vuole compagnia, che soprattutto non gli tolgano gli altri sguardi, gli altri odori ai quali si era abituato, le altre creature delle quali non poteva e non voleva più fare a meno. Uomini, animali, la diversità della specie non era un ostacolo all'attaccamento, al bisogno di sentirne il respiro, l'odore, il contatto. Nell'immenso regno dei viventi gli animali, e in particolare i mammiferi, lungo migliaia di anni non sembrano avere troppo modificato i propri comportamenti. Né tanto meno i sentimenti, le emozioni, gioia e dolore così spesso confondibili. Allora, dopo aver mangiato, e bevuto, a lungo dalla stessa ciotola degli altri, invece di salire nelle stanze di sopra è sceso nella stanza di sotto. Si è accucciato tra il pianoforte e la libreria, si è disteso per terra, e ha aspettato che la confusione tra il dolore e la gioia finissero, che si facesse finalmente silenzio, e il silenzio assorbisse, per sempre, la confusione della vita. Guardate che morrete, se sta in Dio che dovete morire.
Fiano Romano, 19 - 20 aprile 2024