DINO
VILLATICO
Appunti
per una meditazione sulla vita
Scene
dalla vita di Spinoza
“...
una cosa non cessa di essere verità, solo perché non è accettata
da molti.”
SPINOZA,
Breve
trattato su Dio, l’uomo e il suo bene.
“Se
gli uomini fossero in grado di governare secondo un preciso disegno
tutte le circostanze della loro vita, o se la fortuna fosse loro
sempre favorevole, essi non sarebbero schiavi della superstizione”.
SPINOZA,
Tractatus
theologico-politicus.
“Dalle
cose dette risulta quanto il saggio sia più forte e più capace
dell’ignorante, che è mosso solo dalla libidine. Infatti
l’ignorante, a parte il fatto che è sballottato in molti modi da
cause esterne e non raggiunge mai una vera soddisfazione dell’animo
vive, inoltre, quasi inconsapevole di sé, di Dio e delle cose; e
appena cessa di patire cessa anche di esistere”.
SPINOZA,
Ethica,
parte V, scolio alla proposizione XLII.
“Give
me that man
That
is not passion’s slave, and I will wear him
In
my heart’s core, ay, in my hearth of hearth,
As
I do thee. Something too much of this”.
SHAKESPEARE,
Hamlet,
III, 2.
PERSONAGGI
(in
ordine di entrata)
PRIMO
RABBINO
SECONDO
RABBINO
SPINOZA
JOHAN
DE WITT
UN
SEGRETARIO
SIMON
JOOSTEN DE VRIES
TRIJNTJE
JOOSTEN DE VRIES
CHRISTIAAN
HUYGENS
WILLELM
BLIJENBURGH
HENDRICK
VAN DER SPYCK
SIGNORA
VAN DER SPYCK
DUE
GIOVANI, apprendisti nella bottega di van der Spyck.
JOHANN
LUDWIG FABRICIUS
CORO
DI PROFESSORI E STUDENTI DELL’UNIVERSITA’ DI HEIDELBERG
LODEWIJCK
MEYER,
che non parla.
Città
e villaggi dell’Olanda dal 1656 al 1677.
1.
Sinagoga
di Amsterdam sul Houtgracht.
Il rabbino legge la scomunica di Baruch (Bento) de Espinosa. 27
luglio 1656.
PRIMO
RABBINO
I
Signori del ma’amad
da lungo tempo a conoscenza delle opinioni e delle azioni malvagie di
Baruch
de Spinoza, hanno cercato in vari modi e con diverse promesse di
farlo tornare sulla retta via. Ma non essendo riusciti in alcun modo
a correggerlo e continuando viceversa a ricevere quotidianamente
informazioni accreditate sulle abominevoli eresie che egli ha
elaborato e insegnato nonché sui suoi atti mostruosi, e avendo
numerosi testimoni credibili di tutto questo che hanno deposto e
testimoniato a tale proposito al cospetto del suddetto Espinoza, sono
giunti alla conclusione della verità di tali fatti; e dopo avere
preso in esame la questione in presenza degli onorevoli chachamim,
hanno deciso, con il loro consenso, che il suddetto Espinoza sia
scomunicato ed espulso dal popolo d’Israele.
SECONDO
RABBINO
Su
decreto degli angeli e su ordine dei Santi, noi pertanto
scomunichiamo, espelliamo, malediciamo e danniamo Baruch de Espinoza,
con il consenso di Dio, sia Egli lodato, e con il consenso
dell’intera santa congregazione, e di fronte a questi rotoli che
recano scritti al loro interno i 613 precetti; maledicendolo con la
scomunica con la quale Joshua mise al bando Gerico e con la
maledizione con cui Elisha maledisse i fanciulli e con tutti i
castighi che sono scritti nel Libro della Legge. Che egli sia
maledetto di giorno e maledetto nella notte, maledetto quando si
sdraia e maledetto quando si alza, maledetto quando esce e maledetto
quando rientra. Il Signore non lo risparmierà; al contrario, la
collera del Signore e la sua gelosia si abbatteranno su quest’uomo
e tutte le maledizioni scritte in questo libro penderanno su di lui,
e il Signore cancellerà il suo nome da sotto il cielo. Il Signore lo
allontanerà con tutto il male dalle tribù d’Israele, in
obbedienza a tutte le maledizioni scritte in questo libro della
Legge. Ma voi, voi che siete fedeli al Signore vostro Dio, voi tutti
siate benedetti: ciascuno di voi è vivo quest’oggi. Noi ordiniamo
inoltre che nessuno abbia rapporti orali o scritti con lui, che
nessuno lo soccorra, che nessuno rimanga con lui sotto lo stesso
tetto, che nessuno gli si avvicini più di quattro passi, che nessuno
legga uno scritto redatto o pubblicato da lui.
2.
Studio
di Spinoza a Rijnsburg.
1660.
SPINOZA,
seduto
davanti a un desco, a molare una lente.
SPINOZA
L’occhio
è un filtro speciale per guardare
il
mondo. Avrebbe a Galileo Saturno
mostrato
i suoi anelli e Giove i suoi
satelliti?
Chi sa perché si crede
altrove
la realtà del nostro mondo,
e
altrove il senso della nostra vita.
Doloroso
non fu per me il distacco
dalla
Keter-Torah,
da Menasseh
ben
Israèl,
da Saùl Levi Morteira,
quanto
forse traumatico per loro
scomunicarmi,
espellermi, cacciarmi
dalla
comunità. Gli Ebrei non sanno,
però,
che non mi sono dalla Legge
di
Mosè liberato, perché in faccia
mi
fu sprangato dai rabbini l’uscio
non
solo della sinagoga, e tolto
dei
fratelli il saluto, e poi scacciato
dal
mio quartiere, come un criminale,
e
bandito da Amsterdam, bandito
dalla
città, e lo avessero potuto,
m’avrebbero
bandito dall’Olanda
o
perfino dal mondo intero. Forse
possono
ancora crederlo i rabbini,
che
non leggono i libri dell’indegno
che
li ha traditi, possono supporlo
Andrade,
mia sorella, mio fratello,
per
non macchiarsi della colpa infame
d’interpellare
uno scomunicato.
Ma
no. Non solo fu per questo. Solo
l’apostasia
di un miscredente? o di una
testa
calda? una bega di giudei?
Tutto
sommato quella brava gente
di
rabbini e devoti Ebrei aveva
ragione.
Come avevano ragione
i
fedeli insegnanti della scuola
di
Morteira. Ci avevano sperato,
puntato
su di me. Già predisposto
a
guidare i fratelli, a sostenere
la
tradizione di famiglia. Invece
non
ero più un Ebreo. Non uno, almeno,
che
rispettasse, come si doveva,
una
per una le disposizioni
della
Legge. Non ero Ebreo, non ero,
anzi,
un credente, non comunque il tipo
che
avrebbero voluto. E per un colmo
di
arroganza, li abbandonavo senza
voltarmi
indietro, a viso aperto, e questo
li
imbestialiva, li infuriava. Come
abiurare
potessi alla mia fede,
alla
fede dei padri, e non provare
esitazione,
non sentirmi escluso
dalla
missione che Dio stesso aveva
affidato
al mio popolo. L’eletto
di
un popolo che dice di se stesso
d’essere
lui tra i popoli l’eletto
da
Dio, da quel momento giovinastro
arrogante
mi svincolavo, davo
scandalo,
mi slacciavo dalla Legge,
mi
scacciavo da me. Ma qui sta il punto:
con
quell’atto li costringevo, io stesso,
ufficialmente
a espellermi, a dannarmi,
scomunicarmi.
Colpa loro? Quanta
ingenuità
mi dimostrava il chiasso
di
quella sicurezza, e che tremenda
pena
mi suscitava la certezza,
da
parte loro, che l’errore fosse
solo
mio, e che quella che lasciavo
era
la verità, l’unica casa
in
cui la verità si custodisse
gelosamente
da millenni. Peggio,
dichiarare
di non potere, ormai,
tornare
sui miei passi. Non volevo.
L’ostinazione
era, per loro, quasi
peggiore
dell’abiura, più tremenda,
insoffribile,
un vero e proprio insulto.
Un
abominio. Come se sputassi
sulla
faccia di Dio. E in qualche modo
lo
avevo fatto. Ma non sulla faccia
di
Dio. Lo avevo fatto sulla faccia
del
loro Dio. La Legge mi pareva,
come
ancora mi pare, un’invenzione
umana,
un libro scritto da più mani,
per
più secoli, e tutte mani umane.
Averlo
detto, scritto, predicato,
fu
la mia colpa. Ma ciò che gli Ebrei,
non
videro, non sanno, è che il distacco
dalla
Legge non era solo il taglio
ombelicale
dai patriarchi, colpa
ch’essi
temono più di ogni altra cosa,
e
non era nemmeno la scrollata
di
spalle alle parole dei profeti,
lo
sberleffo finale alle lezioni
del
Talmùd, era invece il primo passo
del
distacco da tutte le altre fedi,
da
tutte le altre religioni. Tutte,
da
quel momento, io le consideravo
un
ostacolo per la conoscenza.
La
Ragione m’avrebbe da quel punto
guidato
nell’analisi del mondo.
La
battaglia che avevo cominciato
non
era una battaglia per me stesso,
ma
per la conoscenza, la mia scelta
di
vita era la scelta di sondare
le
radici del vero, il solo modo
che
conoscevo di essere me stesso:
scandagliare
i segreti delle cose,
analizzare
metodi e stumenti
della
ricerca che conduce senza
errori
irreversibili alla scienza.
E
sono un uomo libero. Un alunno
della
Ragione, non come tiranna
delle
passioni, ma piuttosto come
guida
della ricerca. E costruisco
io
stesso gli strumenti della mia
libertà,
me li fabbrico da solo,
senza
l’aiuto di una fede, senza
inopportuni
appigli trascendenti,
senza
la provvisoria scappatoia
di
una Rivelazione, li produco
da
me, con le mie mani: mi ripaga
la
nuda trasparenza del cristallo
per
guardare con occhio più preciso
la
Natura, e da prìncipi mi salva,
da
chiese, scuole, giudici, ministri,
garantisce
la mia indipendenza,
l’indipendenza,
anzi, del mio pensiero;
mi
guadagno il mio tetto e il mio riposo,
molando
lenti per i cannocchiali,
con
queste lenti guardo l’universo,
e
affino la mia vista sulle cose.
Con
la chiarezza e con la distinzione
della
argomentazioni apro la strada,
e
insieme rimodello gli strumenti
per
il pensiero che analizza il mondo.
Quest’unica
realtà che ci spaventa,
al
punto di cercarne altrove il senso,
è
la realtà che avvince il mio pensiero.
Voglio
cercarlo qui, l’unico nodo
che
in sé stringe le cose, e voglio inoltre
riconoscerlo
qui, crederlo il solo
che
possa avere il nome di Natura,
il
solo che, nascosto, inabissato
nel
mare non ancora mai solcato
dell’essere
infinito, sembra Dio.
3.
Amsterdam.
Sala del Consiglio Cittadino. 1663.
JOHAN
DE WITT, UN SEGRETARIO.
DE
WITT
Spinoza?
ma che vuole, adesso, questo
seccatore?
SEGRETARIO
Sostiene che l’abbiate
voi
stesso qui per oggi convocato
in
questa Sala del Consiglio. Dunque
qualcosa
di ufficiale. Ricordate?
Volevate
proporgli…
DE
WITT
Sì, ricordo.
Quel
fanatico è ormai in tutta Europa
diventato
famoso tanto come
filosofo
che come scrupoloso
molatore
di lenti, che pagliaccio!
Ma
l’Olanda ha bisogno di figure
come
lui, soprattutto in un momento
di
crisi come questo. Noi dobbiamo
trattenerlo,
impedire che abbandoni
la
Repubblica e vada ad insediarsi
in
qualche altra Nazione. Si direbbe
che
le menti migliori del paese
scappano
via, non sono soddisfatte
del
trattamento ricevuto, forse
perfino
si direbbe che vantiamo
a
parole la libertà che invece
non
vogliamo concedere a Spinoza
e
a quelli come lui. Già l’Inghilterra
fa
propaganda, in questo senso, e molti
sono
quelli che brigano a Parigi
per
screditarci agli occhi dell’Europa.
Be’,
sbrighiamoci, allora. Aspetto gente
più
importante proprio dall’Inghilterra.
Venga
pure da me questo Spinoza.
Ma
farò presto. Su, fatelo entrare.
Entra
SPINOZA.
DE
WITT
Oltre
i confini ormai la vostra fama
si
estende dell’Olanda. La Nazione
vorrebbe
dunque dimostrarvi quanto
riescano
graditi i vostri studi
sulla
natura delle cose, come
ci
riempia d’orgoglio riscontrare
l’unanime
consenso dei cervelli
d’Europa
sull’analisi del nuovo
pensiero
di Cartesio, che nessuno
di
noi si sogna più di giudicare
nemico
della fede. Già saprete,
immagino,
che a Leida si permette
di
spiegarlo, diffonderlo, insegnarlo.
SPINOZA
Ringrazio,
con il cuore, l’Eccellenza
Vostra.
Credo, del resto, che dei moti
di
questa gratitudine voi siate,
non
solo il diligente spettatore,
ma
il primo ed entusiasta promotore.
Ringrazio
soprattutto l’Eccellenza
Vostra
d’essere stato il messaggero
del
nuovo corso apertosi al pensiero
nell’Università
di Leida.
DE
WITT
In parte,
è
anche merito vostro. Come vostra
la
nobiltà della ricerca. E vostra
l’importanza
dei risultati. Almeno
per
quanto sento dire in tutta Europa
dai
sapienti che ammirano la vostra
scienza.
Sapete, inoltre, che ci tengo
molto
al vostro lavoro. Che ne sono,
anzi,
più che orgoglioso. Non nascondo,
infatti,
che la fama che vi onora
nel
mondo onora anche l’Olanda. Come
per
il grande van Rijn,
come per Bruegel,
così,
anche per Spinoza, è garanzia
già
solo il nome, celebrato in tutto
il
mondo, di una perfezione, di una
eccellenza
di tale compiutezza,
da
collocare la Nazione intera,
dal
Giappone all’America, dall’India
alla
Cina, dovunque l’Olandese
attracchi
le sue navi, esporti stoffe,
arazzi,
quadri, porcellane, fiori,
e
importi spezie, argento, oro, diamanti,
tra
le prime del mondo, anche s’è solo
una
modesta e giovane Nazione.
SPINOZA
Frutto
di una politica moderna,
che
rispetta la libertà d’ognuno,
vanto
d’una Repubblica ch’esalta,
come
specchio del vero, l’esercizio
dell’arte
e della scienza. Tuttavia,
stringendo
il nodo, per venire al dunque,
senza
tergiversare, quale il segno
di
questa gratitudine sarebbe?
E
che me ne verrebbe? Perdonate
la
mia franchezza. Mi spaventerebbe
una
munificenza smisurata.
Sapete
che non amo né ricerco
né
mai feci manovre o petizioni
per
ottenere una onorificienza
o
guadagnare qualche donazione.
DE
WITT
Vorremmo
destinarvi una pensione.
Cambierebbe
lo stile della vostra
vita,
e potreste più liberamente,
senza
problemi più di sussistenza,
dedicarvi
al lavoro che vi avvince.
Vi
occupereste solo delle vostre
ricerche,
e non dovreste il giorno intero
curvare
il capo e gli occhi sulle lenti
da
molare, lisciare, smerigliare.
In
quest’ufficio vi si riconosce
un’eccelsa
perizia, ineguagliata
in
Olanda, ma forse anche in Europa.
Tale
impiego però distrae la vostra
mente
dall’occuparvi della scienza,
alla
quale dovreste dedicarvi.
Ecco
perché lo Stato ha ritenuto
un
suo dovere finanziare il vostro
lavoro
di scienziato. Avrete il tempo
che
vorrete, né quindi più costretto
vi
vedrete a cercare sussistenza,
o
preoccuparvi ancora del denaro
per
l’acquisto di libri e di strumenti.
SPINOZA
Di
quale importo?
DE
WITT
Duemila fiorini.
SPINOZA
Troppi.
DE
WITT
Ma renderebbe finalmente
libero
il vostro studio, non dovrete
intagliare
cristalli, per il vostro
quotidiano
sostentamento.
SPINOZA
Devo
molto
a questo lavoro. Più di quanto
possiate
immaginare. La ricerca
del
vero spazia in molti campi, passa
per
umili funzioni, può abbassarsi
a
compiti che l’ignorante crede
indegni
di chi si occupa di scienza.
Ma
riflettete: l’ottica è uno stadio
basilare
non solo per lo studio
della
fisica, ma per il sistema
che
ne fonda i criteri di ricerca.
Esige,
infatti, una tale esattezza
di
osservazione, e doti di costanza
così
estreme da indurre alla modestia
l’osservatore
e stimolarne, quasi
costringerne
la mente ad affinare
il
metodo d’indagine.
DE
WITT
Venite
al
dunque. Quale somma ritenete
sufficiente?
SPINOZA
Lasciatemi spiegare,
però,
vi prego, come vivo, e scelto
perché
da me fu con ostinazione
lo
stile di una vita solitaria.
Non
me ne pento.
DE
WITT
Bene. Ma vi prego,
anch’io,
di misurare le parole.
Non
mi resta, credetemi, più tempo
di
quanto programmato nell’agenda
dei
miei colloqui, al docile piacere
di
ascoltarvi, né quanto v’indurrebbe
forse
a sperare qui la confidenza
nel
mio noto interesse per le scienze.
Sarebbe
ingenuo crederlo. Non penso
che
lo pensiate. Per venire al sodo,
e
per non farmi perdere più tempo:
come
certo saprete, sono molti,
nel
momento difficile che incombe
sulla
nostra Repubblica, gli impegni
di
un ministro che voglia risparmiare
alla
Nazione il cataclisma di una
guerra
che certo perderemmo.
SPINOZA
Vi
capisco e vi approvo. Non intendo
abusare
del vostro garbo. E’ noto
a
tutti, che dovete contrastare
feroci
opposizioni alla mitezza
della
vostra politica. Ma siete,
proprio
per questo, a tutti necessario.
Ecco
in breve, ciò che di me dovreste
conoscere,
e per quali altre ragioni,
che
forse ancora non vi sono chiare.
DE
WITT
Scusatemi,
Spinoza, la mia rude
schiettezza.
Ma da voi verrà capita,
suppongo.
SPINOZA
Un segno della vostra stima.
DE
WITT
Avrete
tutto il tempo che vi serve.
SPINOZA
La
vista indaga leggi sostanziali
della
natura, e se ne avessi il tempo -
come
per un politico, misura
anche
per lo scienziato un tempo
insufficiente
l’invida avarizia
degli
orologi - se ne avessi il tempo,
mi
piacerebbe estendere lo studio
anche
alla percezione dell’udito,
all’acustica.
Non immaginate
il
profitto che dalla conoscenza
della
musica si potrebbe trarre
per
comprendere meglio la natura.
Inoltre
credo che non ignoriate
quanto
frugale e sobria sia la vita
che
conduco, modesta la dimora
in
cui passo le mie giornate, resto
quasi
sempre rinchiuso nello studio
dove
molo le lenti e dove leggo
gli
ultimi scritti e le ultime invenzioni
di
filosofi e di scienziati d’ogni
parte
del mondo. Vivo lieto, solo,
e
non m’importa se di fuori s’alza
la
solenne grandezza d’un palazzo,
o
mi racchiude la modesta calma
di
un’umile dimora. Le esperienze
del
mondo non m’intrigano, mi basta
conoscerne
le leggi. Tuttavia
non
mancano i momenti di serena
e
direi lieta fuga nel rumore
del
mondo, non mi mancano occasioni
di
festa conviviale, e questo accade
quando
esco per raggiungere gli amici
con
cui confronto gli esiti raggiunti
dai
miei studi o riscontro e scambio i nuovi
progetti,
le ricerche, le opinioni
concordi,
le possibili discordie. -
Mi
basta molto meno.
DE
WITT
Cinquecento?
SPINOZA
Mi
bastano duecento.
DE
WITT
Ma è una cifra
irrisoria!
SPINOZA
Mi basteranno.
DE
WITT
Avrete
quanto
chiedete, nobile Spinoza.
La
Repubblica non potrebbe meglio
dimostrarvi
la stima che coltiva
per
voi, se non appunto favorendo
le
condizioni in cui svilupperete
tranquillo
quegli studi, che nel mondo
vi
hanno reso famoso e rispettato.
SPINOZA
Ma
l’esempio, però, di tolleranza,
di
libertà, che date al mondo intero,
suscita
ammirazione, la cagiona
perfino
in quegli Stati che dell’uomo
non
nutrono nessun rispetto: inferno
sulla
terra, la libertà dell’uomo
è
messa in ceppi, torturata, uccisa,
incenerita
nelle piazze, e spesso
se
ne bruciano i libri, e cancellata
dal
mondo n’è perfino la scrittura
che
la tramanda. Solo qui si ascolta
ancora
la sua voce. Ma per quanto?
DE
WITT
La
Repubblica vi ringrazia. Addio.
Spinoza
esce.
4.
Una
stanza nella fattoria De
Lange Boogert
a Schiedam, vicino a Rotterdam. Inverno 1664-1665.
SPINOZA,
SIMON JOOSTEN DE VRIES.
SPINOZA
Simon,
amico più del mio pensiero,
di
quanto già tu non lo sia del breve
corso
che il mio destino ha misurato
per
l’alito di vita che respiro,
respiro
non più mio, se non respira
con
te, ci sono volte nella mia
giornata
di viandante sradicato
dalla
vita del mondo delle genti,
e
perfino dal mondo della scienza
e
del pensiero, in cui mi perdo, e chiedo
se
la mia solitudine abbia un senso,
e
s’aprono momenti, in cui mi sembra
di
percepirmi addosso una stanchezza
del
tutto nuova, la fatica ingrata
di
durare una lotta che fallisce
il
suo bersaglio prima di mirarlo,
provo
allora, guardandomi nel cuore,
uno
sconforto mai provato prima
di
natura così selvaggia e quando
odo
tutte le voci che da molte parti
mi
giungono in quest’angolo remoto
dell’Olanda,
da tutte ho la conferma
d’essere,
prima ancora che incompreso,
detestato.
DE
VRIES
Non
hai mai dato troppo
conto
a pettegolezzi e maldicenze.
SPINOZA
E’
vero, ma la guerra non va bene
per
noi.
DE
VRIES
Per noi? parlare non ti ho mai
sentito
in questi termini di fatti
che
solo di traverso, e leggermente,
ci
riguardano. Come può pertanto
una
qualunque guerra preoccuparti?
SPINOZA
Questa
non è, per noi, una qualunque
guerra.
Ma fosse per le nostre truppe
l’esito
del conflitto fortunato,
quale
vantaggio, vincitori o vinti,
per
noi che ricerchiamo il vero senso
delle
vicende umane, ci sarebbe
dalla
guerra? S’inasprirebbe, credo,
anche
il contrasto con i Calvinisti,
e
in loro crescerebbe la paura,
il
sospetto che noi, atei confessi,
li
tradiremmo. Si verrebbe, quindi,
calunniati,
perseguitati e infine
barbaramente
trucidati. Questa
non
sarebbe la prima volta. Come
l’Inquisizione
in Spagna, anche Calvino
ha
istituito tribunali. Il primo
eretico
bruciato, fu bruciato
a
Ginevra, non a Toledo. Tutte
le
chiese si assomigliano. E Calvino
ha
fondato una chiesa più severa,
più
dura e intransigente della chiesa
di
Roma. Non si può dimenticarlo.
Non
ho paura, ma resisterebbe
chi
tra di noi alla caccia dell’ateo?
DE
VRIES
Vuoi
dunque ancora rinviare il giorno
in
cui vedremo pubblicati i libri
dell’Ethica?
SPINOZA
Lo devo rinviare.
Non
è maturo il tempo, ancora è presto,
anche
in Olanda, per chi parla o scrive
la
lingua della verità, ch’è poi
la
lingua della libertà. In Italia,
a
Roma, fu bruciato Bruno, a Roma
fu
condannato Galilei. Ma credi
che
qui con me sarebbero più miti
i
Calvinisti? Anch’essi hanno princìpî
e
dogmi da difendere, che credi?
E
non perdoneranno l’imprudente
che
ne rimuove i presupposti. Questo
accade
in ogni chiesa. Anche in Olanda.
DE
VRIES
Non
è ancora accaduto che in Olanda
fosse
perseguitato per il suo
pensiero
o per la sua filosofia
qualcuno
e che l’autorità civile
lo
condannasse.
SPINOZA
Non
tra i Calvinisti,
ancora.
Ma più di una volta, invece,
tra
gli Ebrei.
DE
VRIES
Ma
il tuo caso non fa testo.
SPINOZA
Perché?
Non sono il solo.
DE
VRIES
Di
chi parli?
SPINOZA
Hai
già dimenticato Urièl da Costa?
Ed
altri ce ne furono. Ma il punto
non
è questo. L’esempio degli Ebrei
potrebbe
funzionare da richiamo
e
da modello anche per i Cristiani,
e
non solo per Amsterdam. Le chiese
d’Olanda
non aspettano nient’altro
che
l’episodio giusto nel momento
giusto
per scatenarsi. E lo faranno.
I
Calvinisti aspettano il momento.
E’
una sfida d’intransigenza. Come
gli
Ebrei, anch’essi vogliono lo scontro,
e
amerebbero sbandierare in piazza
anch’essi
uno scomunicato, forse
perfino
alzare com’esempio un rogo
Non
l’hanno osato, ancora. Ma è cambiato
oggi
il clima politico. Potrebbe
ormai
pur troppo simile sciagura
capitarci
anche qui. Del resto sembra
che
ciascuno si forzi anche in Olanda
di
non vedere in ciò che scrivo e dico
il
mio vero pensiero, ma soltanto
le
fandonie che vuole e che suppone
di
leggervi abbozzate il più imbecille
dei
lettori. Non ci capisce niente,
ed
allora per rabbia mi calunnia,
mi
condanna. Mi accusa di ateismo.
DE
VRIES
abbracciandolo:
Bento,
che dici? la tua vita stessa,
la
tua condotta, il tuo abbigliamento,
la
tua frugalità, la tua misura
a
tavola, la sobrietà nel bere,
dimostrano
lo stile di un asceta:
un
boccale di birra, una tirata
di
pipa sono i massimi piaceri
che
ti concedi. Chi potrebbe dunque
rimproverarti
eccessi, o rinfacciarti
dissolutezze?
Esempio la tua vita
di
morigeratezza, di equilibrio,
sarebbe
per Democrito, Epicuro.
Di
letizia, serenità, gaiezza.
SPINOZA
Ma
chi guarda, per giudicare un uomo,
la
vita che si vive, il bene che si compie,
gli
amici che si vedono con lui?
La
vita di un filosofo conferma
quasi
sempre la pessima opinione
che
il volgo presuppone del pensiero
di
cui l’autorità lo accusa: sembra
una
persona onesta, che conduce
una
vita frugale? Certamente
è
un ipocrita, un dissimulatore,
che
cela una natura depravata.
Beve
vini francesi, si drappeggia
in
abiti di Spagna? E’ un debosciato.
Comunque
si comporti, la sua vita
è
additata ad esempio di condotta
perversa,
di carattere malvagio.
Perfino
l’amicizia è sospettata
di
attrazioni viziose, di complotti
criminali.
Il giudizio è proferito
senza
processo, senza comprovarlo,
la
prova di verifica raccolta
dal
pregiudizio che l’ha giudicato.
Quasi
una petizione di principio.
Una
prova ontologica del male,
una
farsa teologica, l’inferno
assicurato
in terra, per negargli
qualunque
accesso all’estasi divina,
proprietà
personale della chiesa.
Malvagio,
in quanto lo si crede tale.
Peccatore
perché se ne sconosce
il
peccato.
DE
VRIES
Noi
ti difederemmo.
SPINOZA
Amico
mio, diletto, amato Simon,
nessuno
può difendermi dall’odio
di
chi odia di me non il pensiero,
ma
l’audacia e l’orgoglio di pensarlo,
e
dunque l’insoffribile arroganza
della
mia libertà. Peggio ancora,
l’insolenza
di chiederla per tutti,
quest’esecrata
libertà. La chiesa
ne
ha paura, la crede una minaccia
per
la sua sussistenza. Forse è vero.
Chi
presterebbe fede alle sciocchezze
dei
teologi, quando a tutti fosse
illustrata,
insegnata, la sostanza
delle
nuove scoperte della scienza?
Non
troverei più scampo. Chi potrebbe
difendermi,
se finalmente tutti
d’accordo,
lo stadhouder,
i rabbini,
la
nuova gerarchia dei Calvinisti,
decidessero
insieme di annientarmi?
Nessuno
può difendermi dall’odio
di
Cristiani ed Ebrei coalizzati
contro
la mia depravazione di ateo,
di
mestatore infido dei credenti.
DE
VRIES
Ma
Bento! non potrai dal nostro amore
difenderti.
SPINOZA
Dal
vostro amore, Simon?
è
la fonte per me d’ogni letizia,
lo
è come nessun’altra cosa al mondo.
Più
sereno le mie giornate vivo,
se
percepisco, anche lontani, il vostro
amore
confortarmi, e rafforzare
il
mio spirito, indurlo con dolcezza
a
non piegarsi, anzi a perseverare
sulla
via intrapresa di ricerca
del
vero. Nei momenti di sconforto,
che
spesso, amico mio, all’improvviso
mi
aggrediscono proprio quando sembra
che
il mondo intero mi contrasti, e credo
allora
di lasciarmi dominare
dalla
malinconia, ecco che invece
il
ricordo dolcissimo di voi,
della
vostra amicizia, del comune
sentire
e del pensare, mi ridesta
di
nuovo alla mia gioia.
DE
VRIES
Lo
sappiamo.
E’
lo stesso, che credi? anche per noi,
quando
pensiamo a te.
SPINOZA
Chi si ricorda
di
una cosa che gli ha una volta dato
piacere,
ardentemente brama quindi
ripossederla
come quella prima
volta,
per trarne un’altra volta quello
stesso
piacere. Come non potrei
ricordarmi,
perciò, di te, mio Simon,
e
ricordarmi insieme del piacere
che
mi regala la tua amicizia?
DE
VRIES
Non
passa giorno, che pensando ai nostri
gioiosi
incontri di filosofia,
alle
lunghe giornate di ricerca
sui
principi e le leggi delle cose,
alle
nostre continue riflessioni
sul
senso di quei moti che sentiamo
turbare
i sensi ed inquietare spesso
anche
la mente, tutto ciò che ancora
chiami
meditazione della vita,
com’era
ed è, per noi, la discussione
con
te d’ogni problema, un conversare
di
noi stessi, non passa giorno, quando
penso
a questi pensieri, a queste cose,
ch’io
non mi senta un tremito nel petto
per
la strada percorsa tutti insieme
sulla
via della conoscenza e quindi
della
via che conduce alla letizia,
di
che si riconforta e gode sempre
la
mente di chi sonda la natura,
e
conosce le cause delle cose.
SPINOZA
Non
adularmi, Simon. Contentezza
non
si prova per la virtù premiata,
ma
premio alla virtù ci viene dato
con
l’essere virtuosi. E questa è vera
beatitudine.
In questo, e non in altro,
sta
per l’uomo la vera conoscenza.
DE
VRIES
Non
volevo adularti. I miei pensieri,
quando
parlo con te, li lascio andare
liberi
come vengono dal cuore.
SPINOZA
Dovresti,
almeno qualche volta,
farli
venire anche dall’intelletto.
Ride.
De Vries gli stringe una mano.
Sapessi,
Simon, come sono grato
al
tuo cuore! Perché nella tua mente
non
nascono pensieri più profondi
dei
pensieri che nutri nel tuo cuore.
Di
te fu presto l’animo sereno
che
attrasse la mia mente. Dammi un uomo
che
non sia schiavo delle sue passioni,
e
lo custodirò dentro il mio cuore,
anzi
nel cuore del mio cuore,
e
questo sei per me, per questo ti amo.
DE
VRIES
Ora
sei tu che cerchi di adularmi.
Ma
non ci casco. E ti ricambio, ti amo
anch’io.
Ma ritorniamo ai dolorosi
discorsi
che ci facevamo prima.
SPINOZA
Considero
le azioni e i desideri
umani
come fossero nient’altro
che
superfici, corpi, punti, linee,
volumi.
Questo mi scatena contro
il
livore dei preti, l’astio e l’odio
dei
teologi. Simon, tu sapessi
in
questa lotta come mi sostiene
la
tua fiducia, la condivisione
dei
miei pensieri, la tua amicizia.
DE
VRIES
Che
fai? ripeti cose che hai già dette?
Insisti
ad adularmi? Ti ripago
con
la stessa moneta, l’hai voluto.
E
come un personaggio di Terenzio.
Sono
un uomo, e di ciò ch’è umano niente
m’è
estraneo. Ti dico dunque questo:
non
fu per Aristotele Menandro
allievo
più affettuoso, per Platone
Aristotele,
o chi vorrai degli altri,
come
di gratitudine il mio cuore
batte
per te, che mi scegliesti amico,
e
allievo a condividere la tua
filosofia,
la nuova scienza d’una
verità
che non viene rivelata
da
qualche dio, ma con fatica invece
indagata,
cercata, analizzata.
SPINOZA
Sì,
questa fu la mia lezione e vedo
che
l’hai perfettamente intesa, Simon.
Ma
sai anche di quali e quanti dubbi
sia
seminata questa nostra strada,
come
non si conosca mai la meta
che
toccheremo, mai la fine in cui
completarsi
vedremo la ricerca,
ammesso
che una fine possa darsi
di
qualunque ricerca che si ponga
come
scopo la conoscenza certa
delle
cose. Le favole le lascio
volentieri
ai devoti ed ai credenti
di
qualsiasi religione e fede.
DE
VRIES
Anche
questa è una fede. Lo concedi?
SPINOZA
Non
ha miti.
DE
VRIES
Ma metodi, sicuro,
per
sgominarli. Ed ultima sua meta
la
chiarezza con cui si guarda il mondo,
la
precisione con cui si scompone
il
mistero dell’universo. Forse
mai
veramente disvelato, eppure
tenacemente,
faticosamente,
indagato,
cercato, analizzato.
SPINOZA
Altra
lingua non parla la natura
che
questa, ed è la lingua con cui parla
Dio,
che nella natura si nasconde,
o
piuttoso si manifesta, sola
verità
che una scienza può capire,
e
fuori della quale non c’è scienza,
l’uomo
non può né deve oltepassarla.
DE
VRIES
Eppure
un dubbio, amico, qualche volta
mi
turba, mi sospende a riflessioni
che
fanno vacillare la certezza
di
un’unica sostanza. Soprattutto
la
certezza che necessariamente esista.
Se
di Dio l’esistenza è la sua stessa
essenza,
e non sarebbe in nessun modo
concepibile
un Dio che non esiste,
di
quale Dio parliamo, del Dio vero
che
affermiamo esistente, o non piuttosto
di
un concetto di Dio teorizzato
e
presupposto da noi stessi? Sembra
un
circolo vizioso, dimostrare
qualcosa,
l’esistenza di qualcosa,
con
l’idea stessa che si ha della cosa.
SPINOZA
Ed
è così, se si ha di Dio l’idea
che
hanno i Cristiani. Che hanno anche gli Ebrei.
Un’idea
mitologica, irreale.
Se
invece Dio è l’unica sostanza,
è
la Natura in cui viviamo, se anzi
è
la Realtà di cui facciamo parte,
e
che non è possibile negare,
puoi
pensare che qualche cosa esista
al
di fuori, al di là, di questa sola
ed
unica sostanza, nella quale
immersi
e dalla quale assimilati
conduciamo
la nostra intera vita?
Dopo
di questa vita, per ciascuno
di
noi non c’è più nulla che di noi
serbi
una traccia. Ritorniamo dentro
la
macchina perfetta che produce
e
distrugge la vita. Diventiamo
un
granello, un minuscolo granello,
della
polvere che nel cosmo ruota
e
si volve in un vortice infinito
di
momento in momento in uno spazio
di
tempo senza origine né fine.
Si
spalanca un abisso. Ti spaventa
la
possibilità di scomparire
per
sempre?
DE
VRIES
No. Ma mi spaventerebbe
di
più la previsione di sbagliare
sia
l’analisi che l’argomentazione.
Sono
malato. Nel mio testamento
ti
lascio erede d’ogni mia ricchezza.
SPINOZA
No,
non farlo. Mi basta un vitalizio.
E
tua sorella Trijntje, sono certo,
onorerà
l’incarico. Non sono
per
lei solo l’amico del fratello.
M’ama
come se fossi suo fratello
anch’io.
Ma che ti prende? Scaccia, queste
cupe
premonizioni. Allieterai
a
lungo ancora, Simon, le giornate
che
mi restano, delle tue, può darsi,
anche
più brevi. Assai più solitarie,
certamente.
DE
VRIES
Non
credere che io parli
a
vanvera. Davvero non sto bene.
Sono
malato. C’è la peste. Il corpo
indebolito
dalla malattia
potrebbe
abbandonarmi, ed il tuo Simon,
contagiato
dal morbo, ci metterebbe
poco
anche lui a prendere congedo
dagli
amici, e da te, mio dolce Bento.
SPINOZA
Ma
spero, in ogni caso, e voglio, e bramo,
che
simile sciagura, la più nera
che
mai potrebbe capitarmi, accada
il
più tardi possibile.
DE
VRIES
Più
nera
della
peste che abbatte tanti figli
della
nobile Olanda, soprattutto
i
più giovani, e che anche te costringe
a
cercare rifugio in una casa
di
campagna?
SPINOZA
Non
so pensare, Simon,
alla
mia vita, ai nostri studi, senza
il
conforto di te, senza il tuo sguardo
che
segue sulla pagina le righe
ch’io
sto con te leggendo, senza il grido
familiare,
da sotto, sulla strada,
della
tua bella voce che mi chiama,
quando
capiti all’improvviso a Voorburg,
o
là fuori, quando entri nel giardino,
e
vieni a visitarmi nel Frutteto
di
Schiedam, dove vive tua sorella,
non
so pensarmi, Simon, non so proprio
pensarmi
né pensare un giorno solo
senza
l’attesa d’un corriere, oppure
d’un
amico comune che mi rechi
tue
notizie, tue lettere, pensarmi
senza
il costante, vigile pensiero,
che
mi correggi, segui il mio lavoro,
mi
consigli, sostieni, m’incoraggi.
Ah!
non lasciarmi, Simon, mi potrei
dimenticare
di me stesso e darmi
alla
disperazione.
DE
VRIES
Ti
conosco
troppo
bene, mi sopravviverai
con
dolore, ma tuttavia sereno.
Accetterai
la mia scomparsa, come
vivrai
la tua: non ti sarà permesso
di
evitare nessuna delle due.
E
ciò ch’è necessario, non possiamo
impedirlo.
Sarebbe dunque vano
lamentarsene,
ed inasprire il pianto
con
puerili ululati. Detto questo,
so
che però non mi dimenticherai.
E
che vivrò nel tuo ricordo. Il solo
modo
che abbiamo di restare in vita
dopo
la morte. Ti amo, Bento. E sai
che
l’amicizia che ci lega forse
può
sciogliere tra noi solo una cosa:
lo
sparire dell’ultimo ricordo
di
quello di noi due che sopravvive
all’altro.
Il soffio del sopravvissuto
con
l’estinguersi estinguerà per sempre
della
nostra amicizia anche il ricordo.
SPINOZA
No.
Sopravviverà nei miei pensieri,
nei
miei scritti, che non avrei pensato
senza
di te, così come li ho scritti,
anzi
pensati come li ho pensati.
Si
abbracciano. Entra TRIJNTJE
JOOSTEN DE VRIES.
TRIJNTJE
Disturbo ?
De
Vries e Spinoza si sciolgono dall’amplesso.
DE
VRIES
No, per niente. Si
parlava,
tra
l’altro anche di te. Ti vuole molto
bene,
il nostro diletto e solitario
amico.
TRIJNTJE
Gliene voglio molto anch’io.
Mi
basta, inoltre, che ti si dichiari
amico
e per il bene che ti voglio
non
posso non amarlo. Ma venivo
a
chiedervi se gradireste bere
un
boccale di birra.
DE
VRIES
Volentieri.
Anche
tu, Bento?
SPINOZA
Solo
se anche Trijntje
si
unisce a noi.
TRIJNTJE
Sarò felice, Bento,
di
bere anch’io con voi. Sì, vado e torno.
Esce.
DE
VRIES
Ti
ha chiamato per nome.
SPINOZA
Dividiamo
la
stessa casa. Quale meraviglia
se
quasi mi considera un fratello?
Rientra
TRIJNTJE, con
un vassoio sul quale poggiano tre boccali di birra.
TRIJNTIE
Ecco
qua. La migliore del villaggio.
Ciascuno
prende un boccale.
DE
VRIES
alzando
il boccale:
Ma
che felicità trovarci insieme!
Vorrei
che il tempo si arrestasse adesso
alla
perfetta e lieta concordanza
di
questi attimi in cui noi tre sentiamo
pensare
e palpitare insieme i nostri
cuori.
Propongo un brindisi alla strana
e
singolare unione delle nostre
anime.
SPINOZA
alzando
il boccale:
Simon,
Trintje, la delizia
di
udirvi, stare qui con voi, sentire
dall’uno
all’altro scorrere lo stesso
sentimento
di dedizione, udire
nei
nostri cuori battere lo stesso
desiderio
di libertà, di amore,
mi
sembrerebbe, se non la sentissi,
la
fantasia di un ebbro, un sogno strano.
Ma
percepisco invece nella mente
il
flusso interminabile, infinito,
del
pensiero che muove l’universo.
Vi
sembro un esaltato? Ma sapeste
com’è
grande l’amore che mi scorre
nelle
vene per voi. Sì, per voi due,
amici
miei, fratelli miei, delizia
del
mio pensiero. Vi amo più di ogni altra
cosa
al mondo. Brindiamo dunque a questa
perfetta
e inimitabile amicizia.
DE
VRIES
sempre
con il boccale alzato:
Benedetto,
che giusto questo nome!
Tu,
mio maestro, amico, mio modello
di
vita. T’amo per ciò che mi dai,
e
ancora più per quello che mi chiedi,
questa
mia amicizia.
TRIJNTJE
alzando
il boccale:
Ed
io, sorella
di
Simon, t’amo, Benedetto, proprio
per
l’amicizia che hai per mio fratello.
Toccano
tra loro i boccali e bevono.
SPINOZA
Simon,
prendi quei fogli.
Indica
la scrivania.
Devo
ancora
mostrarti
quali nuove riflessioni
m’abbia
ispirato la meditazione
sulla
natura del pensiero.
Trijntje
esce.
Voglio
farti
leggere come vada avanti
il
lavoro dell’Ethica.
La quinta
parte,
l’ultima, stabilisce i nessi
che
intercorrono tra la mente e il corpo,
e
dunque quali sono i presupposti
che
fondano la libertà dell’uomo.
Vorrei
infatti dimostrare quanto
siano
fuori strada tutti quelli
che
cercano una libertà assoluta
per
l’anima, credendo di trovarla
nella
separazione della mente
dal
corpo. Non potrebbe tra la mente
e
il corpo, invece, il nesso dimostrarsi
più
saldo, se si pensa che la mente
è
una funzione stabile del corpo,
e
cessa di pensare quando il corpo
muore,
cessa a quel punto di animarlo.
Il
corpo umano esiste in uno stato
conforme
al semtimento che ne abbiamo.
Nulla,
credimi, è predeterminato
prima
che possa il pensiero pensarlo.
Ma
il pensiero sta nelle cose. Prima dunque
che
il pensiero le pensi. Mi capisci?
Voglio
dire che tutta la Natura,
come
ci appare, come la viviamo,
come
ci assorbe, è già tutta pensiero.
C’è
tuttavia qualcosa, se rifletti,
che
sembra continuare in ogni corpo
una
sostanza eterna che non muore,
qualcosa
che partecipa dei modi
dell’eterna,
infinita intelligenza
che
governa le leggi universali
che
muovono le stelle, e sulla terra
fanno
nascere l’uomo e gli animali,
fanno
scorrere e mescolarsi i fiumi,
agitarsi
gli oceani, sbucare
e
germogliare gli alberi e le piante:
Questa
è la sola parte che rimane,
dopo
la morte, ma non come cosa
che
abbia una vita separata, o cosa
che
abbia una vita singolare, possa
essere
chiusa e organizzata in una
vera
e propria vita individuale,
un’unica
coscienza di se stessa,
vive
invece come una tra le parti
dell’energia
divina, uno tra i modi
dell’intelletto
che conosce il mondo.
Vieni,
leggiamo insieme. Mi dirai
se
la dimostrazione delle nuove
proposizioni
fu da me condotta
con
chiarezza, fu quindi elaborata
con
rigore e corretta distinzione.
5.
La
stessa stanza della scena 4.
Primavera
1965.
SPINOZA,
CHRISTIAAN HUYGENS.
SPINOZA
Qual
buon vento conduce, amico, il vostro
passo
irrequieto in questa inaspettata
villeggiatura,
che m’immaginavo
per
me più fuggitiva, e vedo invece
che
m’obbliga a restare in mezzo al verde
di
questi alberi, frastornato, e perso,
dal
profumo di questi fiori?
HUYGENS
Quello
stesso
vento che a voi il verde ha fatto
scegliere
di questi alberi, il profumo
inseguire
dei fiori del frutteto:
la
peste. L’Aia sembra diventata
un
deserto, o piuttosto un ospedale
di
malati incurabili.
SPINOZA
Peggiori
malattie
ci minacciano la vostra
bella
Parigi, e l’industriosa Londra.
Mi
dicono che avete approfondito
e
precisato le scoperte fatte
sul
moto della luce. E’ sorprendente
già
l’idea che sia corpo anche la luce..
HUYGENS
Un
corpo che si muove nello spazio
come
un’onda, con moto regolato
dalle
leggi del moto di una curva.
Sono
corpi che ruotano, pensate,
anche
gli anelli stessi di Saturno.
Frammenti
d’un satellite, può darsi.
SPINOZA
Questo
conferma ciò che ho sostenuto
sempre,
che il nostro errore è separare
la
materia e il pensiero. Sono invece
un’unica
sostanza che pervade
tutte
le cose. Ormai ne sono certo.
L’infinita
sostanza che chiamiamo
Universo,
è la stessa dappertutto.
E
nello stesso modo, dappertutto,
dovunque
c’è, germoglia e si sviluppa
la
vita. E con la vita anche la morte,
la
decomposizione, o no, piuttosto,
quella
che s’è chiamata, che si chiama
da
troppi ancora decomposizione,
ma
che nei fatti è solo movimento,
mutazione,
trasformazione d’una
sola
materia, che ci sembra inerte
solo
perché la nostra è una durata
più
breve della sua evoluzione.
Ma
ditemi. So che a Parigi avete
conosciuto
Pascal.
HUYGENS
L’illuminato?
Vorrebbe
farlo credere, Ma penso
che
abbia nel suo pensiero assai più spazio
il
dubbio che una qualunque certezza.
SPINOZA
E
perché no? Certezza c’è maggiore
per
chi la verità non la possiede,
ma
la cerca, che dubitare? Basta
non
fermarsi a quel punto, proseguire
anche
quando la strada sembra impervia,
pericolosa.
Sono stato espulso
dai
rabbini di Amsterdam. Si dice
nelle
Università che sono un ateo.
E
le chiese mi attaccano. I seguaci
di
Calvino non sono meno chiusi
dei
luterani, e gli anglicani a Londra
sembrano
intolleranti quanto a Roma
i
cattolici, tutti quanti ormai
mi
vorrebbero morto. Ma una cosa,
e
soprattutto una teoria, non cessa
di
essere verità, per la ragione
che
molti non l’accettano. Un quadrato
non
sarà mai una circofenrenza.
HUYGENS
Siete
l’uomo più amabile del mondo.
Eppure
invece fa rabbrividire
nel
vostro modo di pensare il gelo
d’un
rigore che non concede quiete,
non
ammette eccezioni, non perdona
paure,
debolezze, timidezze.
SPINOZA
Perché
dovrei? Vedrebbe forse un cieco
se
nego che sia cieco? Morirebbe
più
dolcemente il tisico se dico
che
la sua morte per soffocamento
non
sarà lenta, né sarà un sentirsi
soffocare?
HUYGENS
Sì, ma perché chiarirlo?
precisarlo?
spiegarlo?
SPINOZA
E
mascherarlo,
dissimularlo,
nasconderlo, a che scopo?
L’orrore
va guardato in faccia. Solo
così
potremo forse escogitare
qualche
sistema che lo renda meno
pericoloso,
o piuttosto qualche cura
che
ci guarisca dal perverso istinto
di
voltare la faccia da qualunque
parte
per non vederlo. Ogni creatura,
sul
pianeta, non smette di cercare
le
vie di scampo all’estinzione, chiede,
rinviene
forme di sopravvivenza:
soltanto
l’uomo sembra manovrare
per
bloccarne, nel caso, non soltanto
la
scoperta, ma di smontarne l’uso,
disattivare
il suo funzionamento.
L’ignoranza
non è mai stata buona
consigliera
di niente, tanto meno
d’una
salvezza.
HUYGENS
Come
siamo giunti
a
queste conclusioni? Parlavamo
di
Pascal.
SPINOZA
Ne parliamo ancora. Il dubbio
che
dopo non ci sia quel paradiso
che
ci aspettiamo, e che comunque il mondo
in
cui viviamo sia per nostra colpa
già
un inferno, lo ha espresso chiaramente.
A
patto di scommettere sul nostro
appartenerci
e non appartenerci.
E’
probabile che quest’esistenza
non
sia la sola, non comunque quella
che
crediamo di vivere. Vi prego.
Andate
in pace. Molto resta ancora
da
pensare per noi, ma soprattutto
per
me. Fate buon viaggio. E’ quasi sera.
Vedete?
Nel giardino già non sono
che
un’ombra nera i rami del frutteto.
E
incamminarsi soli per la nuda
campagna
in questi tempi di paure
non
è molto sicuro. Dio vi assista.
HUYGENS
Mi
congedate?
SPINOZA
Vi
congeda l’ora,
e
il pericolo della poca strada
che
dovrete percorrere comunque.
Ma
basta per il cuore di chi pensa
che
il male provocato all’altro possa
essere
forse un bene per se stesso.
Ma
della probabilità d’un dio
personale,
o del calcolo che possa
prefigurarlo
parleremo insieme
un’altra
volta. Come parleremo,
se
lo vorrete, della congettura
d’un
calcolo che possa misurare
l’infinito.
Venite spesso. Avremo
modo
di approfondire queste nuove
teorie
e gli strumenti singolari
che
sembrano promettere alla nostra
incessante
ricerca del reale.
Non
della verità, né tanto meno
della
Natura, né questioneremo
di
Dio, se c’è, non c’è. Problemi troppo
vasti
per la pochezza della mia
filosofia.
HUYGENS
Eppure, tanto a Leida
che
a Parigi si dice che scriviate,
o
vi accingiate a farlo, proprio un libro
sulla
Natura e sulla concezione
giusta
di Dio.
SPINOZA
Non
c’è una concezione
che
sia più giusta. C’è la deduzione
dell’intelletto,
l’intuizione esatta
che
lo coglie con l’evidenza stessa
di
ciò che riteniamo vero. Il libro
di
cui parlate è per ora un abbozzo,
un
quaderno di appunti scombinati.
Solo
quando lo riterrò compiuto
sarà
dato alle stampe e siate certo
che
voi allora lo riceverete.
HUYGENS
Ma
di che cosa parla?
SPINOZA
Il
mio pensiero,
almeno
in parte, già lo conoscete.
E’
l’ordine ch’è nuovo. Ma di questo
anche
voi, come gli altri, conoscerete
a
suo tempo la forma e il contenuto.
Scusatemi,
però, se adesso devo
per
forza farvi fretta. A congedarmi
mi
costringe da voi la molatura
d’una
lente che devo consegnare
domani,
voi sapete che non amo
mai
ritardare il mio lavoro. E’ tardi.
Vi
prego: andate. Ritornate presto.
HUYGENS
fa un inchino e esce.
6.
Studio
di Spinoza della casa di Voorburg. 1665.
SPINOZA,
WILLELM BLIJENBURGH.
BLIJENBURGH
Aspettavo
da mesi il grande onore
di
essere ricevuto da Spinoza,
forse
oggi il più famoso, il più erudito,
certo,
tra gli scienziati e tra i sapienti
che
illustrano l’Olanda. Il vostro tempo,
lo
immagino prezioso. Permettete,
perciò,
ch’io prenda appunti delle cose
che
mi direte. Ho letto con profitto
quanto
scrivete di Cartesio, eppure
non
m’è chiaro che cosa in quello scritto
si
debba reputare esposizione
dei
princìpi enunciati da Cartesio
e
che cosa le vostre personali
conclusioni.
SPINOZA
Per un mercante, come
voi
siete, attivo in quasi tutto il mondo,
resta,
suppongo, tra le occupazioni
di
banche e di contratti, tra gli affari
intrapresi
con abili mercanti,
e
lo scambio di merci e di denaro,
poco
tempo da destinare al vaglio
del
pensiero. Ma ditemi che cosa
o
quali punti, a vostro avviso, io debba
chiarirvi.
La mia prosa è molto secca,
viene
subito al nodo dei problemi.
Ma
non per questo credo che si debba
giudicare
difficile o addirttura
poco
chiara.
BLIJENBURGH
Difficile, comunque,
per
uno come me, che non frequenta,
assiduamente,
come voi, starei
per
dire quotidianamente, i testi
dei
filosofi: sono quasi solo
nomi
per me Platone, Cicerone,
Aristotele.
SPINOZA
Dei moderni, dunque,
tranne
gli appunti su Cartesio, scritti
da
me, come un’introduzione ai nuovi
principi
del pensiero e della scienza,
nessun’altra
lettura?
BLIJENBURGH
No, nessuna.
Spero,
però, che questo mio difetto,
o
piuttosto mancanza di occasioni,
non
per mia colpa, nell’approfondire
un
campo del sapere che mi attrae
e
mi appassiona, non costituisca
da
parte vostra un valido pretesto
per
troncare la nostra discussione.
SPINOZA
molto
seccato:
Non
temete. Vi ascolterò comunque.
Parlate.
Ma cercate, ve ne prego,
di
non tergiversare e dilungarvi
in
parentesi, scoli, digressioni.
BLIJENBURGH
Scoli?
SPINOZA
stizzito:
Commenti.
BLIJENBURGH
Grazie. Ora capisco.
scrive
sul taccuino.
SPINOZA
impaziente:
Cominciate
pertanto a espormi i vostri
dubbi.
BLIJENBURGH
Per
prima cosa, non capisco
che
posto attribuiate voi nel piano
della
creazione all’anima dell’uomo.
Se
penso a come sia fugace, breve,
la
vita nella quale aspetto in ogni
momento
di morire, ma dovessi
tuttavia
giudicare di finirla
per
sempre, senza la speranza d’una
continuazione
in altro stato, senza
la
promessa che la Scrittura sembra
garantirmi
della contemplazione
santa
di Dio, mi riterrei davvero
la
più infelice creatura del mondo,
più
in basso delle bestie, ad esse almeno
è
tolta cognizione della fine,
me
invece renderebbe disperato
l’attesa
della fine della vita,
che
non altro per me dunque sarebbe
che
l’attesa del nulla. A questo, sembra,
vorrebbero
condurmi le opinioni
che
leggo esposte in questo vostro libro
sulle
dottrine di Cartesio. Vero
sarebbe,
se non ho capito male,
che
cessando di esistere qua in basso,
io
cesserò di esistere in eterno?
Si
prepara a riempire il taccuino di appunti.
SPINOZA
Vi
figurate un Dio ch’è solo il sogno
della
gente comune, un Dio volgare
che
s’adira, che premia e che castiga.
Ma
le cose del mondo vanno in altro
modo.
Il male non è da Dio causato,
né
difetto di qualche corruzione
della
materia. O d’una colpa antica,
che
abbia commesso l’uomo nel principio
della
sua storia. Il male è privazione
di
stato, come l’acqua che si muta
in
ghiaccio. Se a noi sembra una mancanza
della
natura, ciò si deve solo
al
limite dell’intelletto umano,
circoscritto
in un piccolo orizzonte,
l’angolazione
della sua veduta,
che
non è una veduta universale.
BLIJENBURGH
alzando
gli occhi dal taccuino:
Non
mi avete risposto. La natura
dell’anima
è mortale o immortale?
Non
ho capito bene con che scopo
mi
parlate di un Dio “volgare”. Quello
in
cui crede la gente incolta dunque
non
sarebbe per voi il vero Dio?
il
Dio delle Scritture? di Calvino
e
di Lutero?
SPINOZA
Ma se l’uomo, come
lo
conosciamo, sembra una sostanza
unica,
inseparabile, supporre
perché
dovemmo in lui la coesistenza
di
due sostanze? una sostanza il corpo,
l’altra
sostanza, l’anima. Nel mondo
non
esiste che un’unica sostanza.
Perché
dovrebbe l’uomo possederne
due,
una materiale, che sarebbe
il
corpo, e un’altra, immateriale? il corpo
mortale
e l’altra, l’anima, immortale?
Sono
leggende. La Ragione niente
farebbe
d’una duplice natura
sospettare
o di qualche differenza
tra
l’uomo e gli animali, salvo il fatto
che
l’uomo parla. Per il resto l’uomo
fa
figli come un asino, un cavallo,
un
cane, la sua femmina li allatta
come
fanno le femmine dei lupi,
dei
cervi, delle scimmie, dei maiali.
BLIJENBURGH
alza
gli occhi dal taccuino che ha riempito di appunti:
Mi
pare che sposiate con audacia
le
dubbie e riprovevoli teorie
di
fisici e materialisti.
SPINOZA
Avete letto
almeno
Robert Boyle?
BLIJENBRUGH
Non
so nemmeno
chi
sia costui. Ma dal suo nome sembra
un
inglese.
SPINOZA
Sì, certo, e membro illustre
della
Royal Society. Studioso
dei
gas, del mescolarsi e separarsi
degli
elementi, ne deduce i moti,
le
leggi, le trasformazioni, solo
misurando
la quantità, le fasi
della
materia. A ciò gli basta il solo
calcolo
matematico. Non hanno
bisogno
le sue deduzioni di altre
dimostrazioni.
BLIJENBURGH
E come può provare
la
verità di tali deduzioni
senza
il supporto che gli fornirebbe
la
Scrittura?
SPINOZA
Ma
che bisogno abbiamo
della
Scrittura quando la ricerca
riguarda
la Natura?
BLIJENBURGH
In ogni caso
mi
meraviglio che un patriota, come
voi
certamente siete, legga libri
redatti
da un nemico dell’Olanda.
SPINOZA
La
scienza non ha patrie.
BLIJENBURGH
Ma le patrie
hanno
nemici.
Si
accorge che ha smesso di prendere appunti. Apre il taccuino:
Ma
torniamo al nostro
problema.
Come fate a sostenere
che
l’anima non è immortale, quando
le
Scritture sostengono il contrario?
SPINOZA
Che
pazienza!
Blijenburgh
lo fissa meravigliato.
Voi
mi tirate in ballo
le
Scritture: ma in quale libro, in quale
passo,
ditemi, voi leggete scritto
che
l’anima è immortale? In ogni caso,
nel
contrasto tra la filosofia
e
la Rivelazione, nel dissidio
che
potrebbe crearsi tra Ragione
e
Fede, non dovrà farci da guida
la
Scrittura, ma la Ragione. Il vero
di
cui parla la Bibbia, non è il vero
della
Natura, ma della Morale.
La
Natura ci parla altro linguaggio.
Ditemi:
affidereste voi la cura
di
un malato a qualcuno che non sia
medico,
chiedereste a chi non sia
architetto
la costruzione d’una
chiesa,
la ferratura d’un cavallo
a
chi non sappia fare il maniscalco?
Dunque
perché della Natura tutti
credono
di sapere disquisire,
e
ignorano la fisica, non sanno
niente
di matematica, né tanto
meno
di astronomia, di geometria,
di
chimica, non hanno letto Newton
né
Galilei, Copernico, Keplero?
Quando
si parla di filosofia,
di
scienza, non dobbiamo adoperare
il
gergo dei teologi, dobbiamo
servirci
della lingua della scienza.
La
religione fa di Dio un uomo,
un
uomo potenziato, onnipotente,
onnisciente,
perfetto, trascendente,
ma
sempre con le proprietà di un uomo,
gli
attribuisce infatti sentimenti
umani,
come l’odio, come l’ira,
la
gelosia, l’amore, lo sentiamo
nei
salmi, nei Profeti, nella Legge,
gridare,
maledire, condannare,
scomunicare,
come un fattucchiere.
Ma
per la scienza Dio, o la Natura,
sono
la stessa cosa, e non si addice
attribuire
alla Natura o a Dio
gli
attributi dell’uomo. Mi accadesse
di
sbagliare nella dimostrazione
di
qualche legge un calcolo e trovare
quindi
falso il suo risultato, posso
sempre
riesaminare la questione,
ed
acquisita la dimostrazione
corretta,
non potrà nessuna Bibbia
inficiarne
la verità. Sapete
del
resto molto bene che non cessa
nessuna
verità d’essere vera,
solo
perché da molti è ritenuta
non
vera. Fu bruciato Bruno, venne
Galilei
condannato, non per questo
il
bel pianeta che chiamiamo terra
non
gira intorno al sole.
BLIJENBURGH
Sfoglia
il taccuino, legge qua e là. Non si raccappezza:
Non ricordo
bene
tutte le vostre articolate
dimostrazioni.
Vi dispiacerebbe
ripeterle?
Vi sento un qualche odore
d’eresia.
Ma voglio essere sicuro
di
non avervi può darsi frainteso.
SPINOZA
Frainteso?
No, non credo. Ma non serve.
Blijenburgh
lo fissa meravigliato.
Perché
mi rendo conto che i principi
primi
della filosofia che espongo,
divergono
dai vostri.
Blijnburgh
scrive freneticamente, ma di quando in quando lo fissa in faccia
allibito:
I
nostri mondi
sono
molto diversi. Voi cercate
la
conferma di ciò che già credete
debba
essere la verità. Cercate,
insomma,
una conferma della Bibbia.
Che
verità sarebbe, infatti, quella
semplicemente
imposta da una chiesa,
da
una comunità, o dal consenso
di
banali credenze popolari?
Abbiate
dunque l’accondiscendenza,
Blijenburgh,
d’accomiatarvi. Non abbiamo
niente
da dirci. Fate buon ritorno
ai
vostri affari. E quando, tra un affare
e
l’altro, avrete tempo e andrete in chiesa,
per
pregare, vi prego d’implorare
da
Dio per questo strano peccatore
l’indulgenza
e la grazia di un perdono
che
non merito, ma però confido
accordato
da Dio a un esemplare
credente,
come voi vi dimostrate,
e,
vedo, ci tenete a dimostrarlo.
Sia
felice il ritorno che farete
a
Dordrecht. Ma vogliate perdonarmi,
adesso,
se vi chiedo di lasciarmi
tornare
in pace ai miei diletti studi,
e
scartocciare le sudate carte
di
cui non sembra che nutriate
lo
stesso amore che consuma
la
mia mente e riempie le giornate
che
l’occhio le consulta e le trascorre.
Dio
vi accompagni. Ma chiudete dietro
di
voi la porta della stanza, quando
sarete
uscito, e più non mi cercate.
BLIJNBURGH
esce
sbattendo la porta.
7.
L’Aia.
Atrio nella casa di Hendrick Van der Spyck. 1672.
HENDRICK
VAN DER SPYCK, SPINOZA, SIGNORA VAN DER SPYCK, DUE GIOVANI..
SPINOZA
agita
un cartello con una scritta:
Ultimi
barbarorum!
VAN
DER SPYCK
Per amore
di
Dio, Spinoza, non fate pazzie.
SPINOZA
Assassini,
selvaggi, criminali!
SIGNORA
VAN DER SPYCK
Non
l’ho mai visto così furibondo.
VAN
DER SPYCK
Nessun
altro ha capito, come lui,
che
da questo terribile assassinio
comincia
ormai la fine della nostra
libertà.
SPINOZA
Ma lasciatemi, vi dico!
Questo
crimine ci svergogna tutti.
Qualcuno
a questa ignobile masnada
di
fanatici e stupidi assassini
dovrà
sbattere in faccia l’efferata
sciocchezza
del suo crimine,
dovrà
pure gridare, proclamare
il
disgusto, l’indignazione, il santo
dovere
di sentirsi offeso, vinto,
lui
uomo, dalla bestia snaturata
che
non ha legge, dalla belva
scriteriata
che uccide chi sostiene
la
sua vita, assassini, criminali!
Scendo
in piazza a piantare questa insegna
della
loro vergogna. Hanno ammazzato,
idioti,
la Repubblica d’Olanda,
trucidando
il suo difensore, Johan
de
Witt, ucciso, stupidi! la nostra
libertà.
Presto se ne accorgeranno.
VAN
DER SPYCK
Calmatevi,
Spinoza. Non potete
fare
niente. Né cambieranno idea
solo
perché volete aprire gli occhi
di
una folla selvaggia e imbestialita.
La
folla non ragiona. I vostri insulti
la
faranno infuriare, ammazzeranno
anche
voi. Se assistiamo esterrefatti
alla
fine cruenta della nostra
libertà,
non potrà nessuna forza
ragionevole
opporsi e contrastarla,
nessun
orgoglio più restituirla.
E’
finita l’Olanda. Si è conclusa
oggi,
per noi, la fragile occasione
di
realizzare una grande speranza.
Ma
può darsi che fosse un’ illusione
sperarla
realizzata in questo mondo
di
appetiti feroci e di discordie.
Trattenetelo.
I
due giovani afferrano Spinoza per le braccia. Alla moglie:
E
tu, chiudi la porta
d’ingresso,
spranga tutte le finestre.
La
Signora van der Spyck esegue.
Ma
santo cielo! Sembra posseduto
da
una rabbia infernale. Schiuma bava
dalla
bocca, strabuzza e sgrana gli occhi.
UNO
DEI DUE GIOVANI
Ma
non ha torto. Anch’io vorrei gridare
e
schiumare la rabbia che mi scoppia
in
petto dalla bocca, porco dio!
VAN
DER SPICK
Non
bestemmiare, sciagurato!
IL
GIOVANE
Forse
non
è bestemmia invece assassinare?
macellare,
squartare, come ho visto
per
le strade dell’Aia oggi perfino
fare
ai bambini, incitati dai padri,
bravi
cristiani, buoni cittadini,
olandesi
ubbidienti, come fanno
credere
a tutti, e invece avventurieri,
mercanti,
concussori, trafficanti
di
schiavi, puttanieri, biscazzieri..
SPINOZA
Macellai!
Cannibali!
L’ALTRO
GIOVANE
Ha
ragione.
Sono
peggio che macellai. Peggio
che
selvaggi cannibali. Li ho visti,
li
ho visti coi miei occhi, i due fratelli,
giù
nella strada, spaventati, persi,
scappavano,
ma subito accerchiati
dalla
marmaglia, ho visto quella folla
aggredirli,
legarli, e poi sferzarli,
batterli
con le spranghe, accoltellarli,
per
la strada, condurli, trascinarli
al
patibolo, come bestie, come
buoi
per il macello, per finirli,
per
impiccarli, a testa ingiù, coi piedi
legati
dalla corda, e poi squartarli,
come
si fa fa con le carcasse appese
dei
vitelli. Strapparono le carni
ancora
vive, e prima uno, poi tutti
gli
altri, lupi affamati, belve insane,
mangiarono
le carni ancora calde
e
sanguinanti di quei disgraziati.
Non
ebbe il boia un solo, corpo intatto
da
appendere alla corda. Ecco che cosa
accadde
nella Piazza del Governo,
davanti
al Binnenhof, dopo che li ebbe
sorpresi,
mentre uscivano correndo
dalla
Gevangenpoort, l’imbestialita
teppaglia
nerlandese! Mi vergogno
d’esserci
nato in questa terra e avere visto
con
i miei occhi ciò che m’è toccato
di
vedere. Non c’è peggiore bestia
dell’uomo,
se travolto e sfigurato
dalle
passioni. Dice bene il nostro
caro
maestro. Non vedete come
soffre
per la miseria che quest’oggi
il
popolo olandese ha dimostrato
sulla
pubblica piazza di se stesso?
VAN
DER SPICK
L’orrore
che devasta in questo tempo
d’Apocalissi
il nostro territorio
è
forse orrore di qualcosa molto
più
grande della nostra smisurata
paura.
Abbia pietà del nostro cuore
spaventato,
quel Dio che sembra assente.
SPINOZA
Non
assente! Lasciatemi! Che cosa
potete
voi capire della storia?
Una
sentina di delitti senza
redenzione
né giustificazione.
Lasciatemi,
vi dico! Voglio dire
al
mondo intero che quest’oggi è morta,
forse
per sempre, quella che credevo
libertà
di pensare, e nostra estrema
assegnazione
di sopravvivenza.
Lasciatemi,
vi dico! Voglio uscire!
VAN
DER SPICK
A
Spinoza:
Calmetevi,
Spinoza. Ritornate
nel
vostro studio. Scalderà mia moglie
una
tazza di brodo. Preparate
la
vostra pipa. Una nuova partita
di
tabacco è arrivata ieri nel porto
dalle
colonie. Sembra molto buono.
Seguitemi.
Appoggiatevi al mio braccio.
SPINOZA
scoppia a piangere, si lascia condurre via. Con un filo di voce:
Ultimi
barbarorum. E’ finita.
Oggi
vedemmo con i due fratelli
De
Witt morire in piazza anche la nostra
libertà.
Giorni oscuri di terrore
ci
aspettano. Non c’è peggior tiranno
della
superstizione che s’insedia
nei
Palazzi e si appropria del potere
di
giudicare e separare il giusto
dall’ingiusto,
decidere che cosa
è
bene, e che cos’altro invece male.
Non
è la solitudine che arriva
a
spaventarmi: mi spaventa ancora
di
più la solitudine del mondo
di
domani. Non posso farci niente.
Ed
è la cosa che mi fa soffrire.
Potete
rilassarvi. Non vi faccio
resistenza.
Lasciatemi tornare
nello
studio. Lasciatemi da solo.
Vi
ringrazio se mi farete bere
una
tazza di brodo caldo, come
mi
avevate promesso. Questo è tutto.
Van
der Spyck apre la porta dello studio. Spinoza la oltrepassa e
scompare.
8.
L’Aia.
Lo studio di Spinoza nella casa di Hendrick Van der Spyck. 1672.
SPINOZA,
solo.
SPINOZA
La
paura. C’è sempre la paura
-
di un tiranno, di un popolo - paura
di
una casta, di un demagogo, di una
famiglia
- la paura di cambiare -
un’incondizionata,
irrazionale
paura
che possiede anche i più miti
e
li rende feroci, la paura
scatena
le sventure, i cataclismi
che
l’uomo infligge all’uomo,
è
la paura che tortura l’uomo,
lo
tortura da quando nasce a quando
muore,
ed è da lì che si accanisce
la
tempesta del male che avvelena
la
storia, la cagione degli eccidi,
delle
persecuzioni, è la paura
che
alimenta le invidie, che coltiva
l’odio,
fomenta l’assassinio, invoglia
le
folle imbestialite a liquidare
e
sopprimere il folle che si ostina
a
non pensare come tutti gli altri.
Questo,
instillato ad arte nelle orecchie
dei
popoli dal furbo demagogo,
il
veleno, il cancro che corrode
la
vita di ciascuno: la paura,
nient’altro
che la pura, la bestiale,
animalesca,
torbida paura.
Ecco
a che cosa in fondo si riduce
tutta
la nostra storia, l’avventura
dell’uomo
sulla terra, il suo migrare
di
regione in regione, devastando,
uccidendo,
lasciandosi alle spalle
i
roghi dei cadaveri bruciati
e
un arido deserto di macerie.
Il
male che ci affligge non è quello
delle
belve che seguono una legge
naturale:
se uccidono lo fanno
per
mantenersi in vita. La violenza
degli
uomini è invece innaturale,
non
è per sopravvivere che l’uomo
uccide,
no, ma solo per il gusto
del
sangue, per cupidità di morte,
volontà
di sterminio, bramosia
di
prevaricazione e di dominio.
Naturalmente,
disperare fino
a
tal punto, e con tale declamata
eloquenza,
del corso della storia
è
uno sbaglio di prospettiva. Il mondo
non
ha lo stesso passo del cammino
degli
uomini. Non ruota intorno all’uomo,
ma
intorno al sole. E l’uomo che lo guarda,
xlo
intravede con lente deformata.
Intravede
pertanto anche le proprie
passioni.
Come nel riflesso d’uno
stagno
la luce bianca delle stelle.
Ma
non vede le stelle, tanto meno
la
luce delle stelle. Cupidigia
e
livore, tristezza ed arroganza
non
sono che passioni umane, e sono
passioni
naturali. Non c’è male,
nella
natura, ma soltanto leggi,
processi,
mutamenti, divisioni,
una
legge non è in sé né male
né
bene, ma soltanto una costante
norma
di modificazione. Il male,
meglio:
ciò che ci sembra male, è male
solo
rispetto al singolo, a chi perde,
a
chi soccombe. La ferita è male
per
chi è ferito, non per chi ferisce.
Il
dolore è dolore per chi soffre,
non
lo è per chi lo infligge. Il male è male
soltanto
per la vittima. Vantaggio
sul
più debole, l’oppressione; impronta
di
superiorità, l’atto di forza;
vittoria
del migliore lo sterminio;
e
l’eccidio, diritto di chi vince.
Dunque
un bene, per chi lo infligge, il male,
e
male solo per chi lo subisce.
Ma
se cambio la lente con cui guardo,
e
se la vista parziale oltrepasso
dell’oppresso
e dell’oppressore, di una
vittima
e di un carnefice, se guardo
anche
la storia da una prospettiva
per
così dire meno personale,
più
distaccata, disinteressata,
e
la osservo da più lontano, quasi
da
un punto senza tempo, ciò che chiamo
ancora
male, resta sempre male?
se
no, dalla distanza di quel punto,
che
cosa mi diventa? una variante,
può
darsi, una variabile costante
del
flusso della storia, un accidente
trascurabile
delle circostanze
che
riempiono il tempo, un buco, un niente,
un
insignificante pezzettino
di
realtà, che rispetto al superiore
punto
di osservazione da cui guardo
mi
suggerisce solo un più distante
metodo
di ricerca. Non conosco
del
mondo che una parte, una sezione,
un
segmento. La parte da cui guardo,
la
parte in cui m’annido. Il mio segmento
di
realtà, la sezione di una retta
di
cui non posso per definizione
tracciare
o misurare la lunghezza.
Mi
basta? può bastarmi? C’è, può darsi,
una
legge che non conosco, un segno,
un
senso che mi sfugge, nel dolore
umano,
nella sofferenza senza
consolazione
per chi soffre, senza
castigo
per colui che fa soffrire.
Se
ne resto turbato, è segno forse
che
la mia conoscenza delle cose
non
è ancora una vera conoscenza,
non
è matura, e non si pone come
una
visione chiara e razionale
della
Natura, sono ottenebrato,
confuso
dalle mie passioni, sono
tormentato
dai dubbi, i miei affetti
prevalgono
tuttora sul giudizio
distaccato
dell’intelletto, il cuore
trema
per ciò che vede, la paura
attanaglia
anche il mio intendimento,
intorbida
l’analisi corretta
di
fatti e avvenimenti. La Ragione
che
dovrebbe guidarmi nel lavoro
di
riflessione e di argomentazione
non
accompagna i miei ragionamenti.
Ancora
non riesco a valutare
fatti
e cose, come dovrei, sub specie
aeternitatis.
Ma dimentichiamo
questa
mia debolezza. Voglio andare
adesso
fino in fondo a questa storia.
E’
importante. La morte dei fratelli
De
Witt chiude un fase della storia
d’Olanda.
Forse la superba Francia,
l’arrogante
Inghilterra ne saranno
fieramente,
sconsideratamente
appagate,
ma questo scellerato
assassinio
non mette solo fine
alla
prudenza quasi proverbiale
degli
olandesi, chiude l’esperienza
di
tolleranza e libertà vissuta
da
un popolo orgoglioso della propria
lungimiranza.
Il mondo oggi è peggiore,
l’Europa
perde l’ultima occasione
d’imitarci,
la società ventura
resterà
società di disuguali,
un
mondo d’ingiustizia e di violenza.
E
anch’io, adesso, ne ho paura. Molta
paura.
Forse il mondo non è pronto,
forse
non lo è mai stato, ad affrontare
la
verità, a scandagliare i modi
con
cui possiamo lacerare il velo
d’ignoranza,
di futili passioni,
con
cui si tesse forse dal principio
della
storia la tela di menzogne
e
di scelleratezze che chiamiamo
religione.
Si uccide per un dio,
come
un castigo meritato, un premio
di
fedeltà, la vittima nemica
ostentata
sul palco del giudizio
come
un trofeo di lealtà premiata,
la
prova consacrata del favore
divino.
Mai che l’animo si spezzi,
che
la coscienza soffra e si torturi,
per
l’orrore di un simile misfatto.
Mai
che si colga nelle sorde menti
un
sospetto, un’esitazione, un dubbio,
per
l’empia incongruenza, il controsenso
di
un dio che si divide tra diverse
e
opposte schiere di fedeli, e a tutte
chiede
di steminare la nemica.
Ma
come posso giudicare il danno
della
storia, se ogni atto è necessario
al
suo corso, se quanto accade, accade
per
legge necessaria delle cose
del
mondo, e non potrebbe in altro modo
accadere?
Dell’accaduto, infatti,
sappiamo
riconoscere le cause.
Non
possiamo conoscerle dell’oggi
né
tanto meno del domani. Basta
però
quest’ignoranza, questo cieco
limite
della vista umana, questo
confine
insuperabile del tempo,
perché
si possa presupporre il caso
di
un domani diverso dal domani
che
come l’ieri che ci colse ignari
anch’esso
ci sorprenderà inesperti?
Se
la necessità riconosciamo
del
passato, dobbiamo del futuro
confermarla,
perché lo troveremo
anch’esso
necessario, nel momento
in
cui diventerà per noi passato.
Ma
se ciò mi dichiara la Ragione,
posso,
ascoltando il battito del cuore,
dichiararmene
soddisfatto? posso
riconoscemi
persuaso? Sento
un
tumulto corrodermi il cervello.
Devo
portare a termine il lavoro
dell’Ethica,
ma riannodare i fili
del
mio Trattato,
approfondire i temi
della
responsabilità civile,
del
patto che legittima il potere.
Il
mondo è marcio. E non sarà il mio libro
a
risanarlo. Ma potrebbe un giorno
un
lettore sentirsi stimolato
a
chiedere il rispetto dei diritti
che
fanno dell’ingorda belva umana
un
cittadino uguale tra gli uguali.
E
che può fare poi del cittadino
l’uomo
che guarda in cielo nelle stelle
la
rotazione delle leggi eterne
che
muovono le cose dell’intero
universo,
per cui tornando dopo
ad
avvertire il battito del cuore,
vi
riconoscerà il riflesso interno
di
quella stessa eterna rotazione.
Entra
la SIGNORA
VAN DER SPYCK, con
un vassoio sul quale stanno poggiati una ciotola e un boccale..
SIGNORA
VAN DER SPYCK
timidamente:
Signor
Spinoza, si è calmato?
SPINOZA
Il
male
è
sempre relativo. Ma la storia
dell’Olanda
ha imboccato la peggiore
delle
strade che possa una Nazione
intraprendere:
e soprattutto in questi
tempi
di guerre in cui la religione
sembra
la posta in gioco, quando invece
ciò
che si cerca è solo il predominio
di
un popolo sull’altro, di una classe
sull’altra,
di una chiesa contro tutte
le
altre chiese. Prevedo giorni bui,
di
livido terrore e di soprusi
incontrastati,
e come sempre accade,
il
popolo non solo non capisce,
ma
addirittura appoggia ed asseconda
il
peggio. La Repubblica è finita.
Ci
aspettano, tra le costituzioni,
o
piuttosto le forme di governo
che
pretendono di legittimarsi
con
una farsa di costituzione,
le
peggiori mai viste nella storia:
la
tirannide e la demagogia,
nefaste,
ma invincibili alleate.
SIGNORA
VAN DER SPYCK
Non
capisco ciò che mi dite. Adesso,
però,
bevete un po’ di brodo caldo.
Un
boccale di birra, dopo, quella
buona
di Voorburg, che vi piace tanto,
vi
scalderà le membra.
Poggia
il vassoio sulla tavola. Spinoza beve il brodo dalla ciotola.
Ci vorrebbe
una
donna, Spinoza, che si prenda
cura
di voi.
SPINOZA
Davvero? Grazie. Il brodo
è
buono. Ma i consigli che mi date,
li
date al vento.
SIGNORA
VAN DER SPYCK
Voi parlate come
il
vento, fate un grande chiasso, dite
tante
parole, ma capisco solo
la
confusione della vostra voce.
Mio
marito mi dice che voi dite
invece
cose belle come quelle
che
si leggono scritte nei più belli
tra
i libri che, dopo la Bibbia, scrisse
mai
la penna di un uomo, sarà vero?
più
belle dei sermoni che il pastore
ci
dice la domenica, e che voi
ci
fate raccontare quando a casa
torniamo
dalla chiesa. Non capisco.
Ma
il pastore, lui sì che lo capisco.
E
allora ciò che dite forse è bello
come
i sermoni del pastore. Almeno
a
quanto dice mio marito. Avete
finito
il brodo?
Prende
la ciotola dalle mani di Spinoza e la mette sul vassoio, gli porge il
boccale di birra.
Vi è piaciuto?
Spinoza
fa cenno di sì.
Dunque,
bevete
ora la birra.
Spinoza
beve.
Ci vorrebbe
una
moglie, vi dico. Siete sempre
solo.
Tranne se vengono a trovarvi
i
vostri amici. Ma non fanno al caso
vostro,
non sono donne. Perdonate
la
confidenza, ma dovevo dirlo,
una
volta. E scusate se vi ho offeso.
SPINOZA
Ma
voi potete dirmi tutto quello
che
volete. Potreste anzi perfino
dire
il vero. Ma – lo vedete? – donne
non
ne passano molte per venire
a
trovarmi. Si annoiano, può darsi,
quando
parlo, o piuttosto, come voi,
non
capiscono, forse addirittura
non
vogliono capirmi, se non dico
loro
ciò che vorrebero sentire.
Posa
il boccale sul vassoio.
SIGNORA
VAN DER SPYCK
Voi
mi burlate. Siete stanco. Avete
bisogno
di riposo. Ma fumate
un
po’ di questo buon tabacco, prima.
Mio
marito non crede che possiate
fumarne
di migliore. Buona notte.
Esce
con il vassoio. Spinoza prepara la pipa e fuma.
9.
L’Aia.
Stanza nella casa di Hendrick Van der Spyck. 1673
JOHANN
LUDWIG FABRICIUS,
SPINOZA.
FABRICIUS
Difenderete,
immagino, Spinoza,
pubblicamente,
in aula, se accettate
la
richiesta del Principe Elettore,
difenderete,
dico, come tutti,
le
radici cristiane dell’Europa.
SPINOZA
Le
radici cristiane dell’Europa?
E
quelle dei Romani, degli Ebrei,
degli
Arabi, dei Greci, sono forse
meno
radici, o meno decisive?
O,
prima ancora, fuori dell’Impero
Romano
d’Occidente, le radici
dei
Galli, dei Germani, delle genti
che
abitavano le foreste lungo
il
corso della Vistola, del Reno,
del
Danubio, dell’Ebro, della Drava?
FABRICIUS
Ma
tutti questi popoli, in un modo
o
in un altro, Cattolici, Ortodossi,
Luterani,
Hussiti,
Calvinisti,
si
sono convertiti, hanno abbracciato
la
vera fede, e sono diventati
anche
loro Cristiani. Non sarebbe
mai
stato concepibile il contrario.
SPINOZA
Su,
tralasciamo queste vecchie storie.
Veniamo
ai nostri tempi di discordie
insanabili
e di odi furibondi.
Credo
che proprio quelle che chiamiamo
nostre
radici, vale a dire quelle
che
sono le credenze degli Ebrei,
dei
Turchi, dei Cristiani, tradizioni
nate
e cresciute dalla storia, miti,
superstizioni,
stupide leggende,
non
una verità che qualche dio
abbia
dettato all’eletto di turno,
ma
l’illusione di esserne in possesso,
la
pervicacia di considerarla
l’unica
verità non confutata,
e
imporla con la forza, con la guerra,
le
distruzioni, i tribunali, i roghi
credo
che proprio in queste malintese
radici
dell’Europa le radici
debbano
riconoscersi del male
che
affligge il nostro tempo, che devasta
stupidamente
il vecchio Continente.
Ah
no, non dalla scienza viene il male.
FABRICIUS
Solo
la fede imporre può nel mondo
la
vera pace, ai popoli additare
la
via della giustizia e la concordia.
SPINOZA
La
fede? E’ sempre stata la cagione
principale
tra i popoli di guerre,
devastazioni,
ignobili stermini,
e
nel corpo di un’unica Nazione,
di
scomuniche e di persecuzioni.
FABRICIUS
Ecco
perché l’imposizione di una
sola
fede potrebbe ricondurre
le
genti ad una stabile concordia.
SPINOZA
L’unica
qualità dell’uomo che forse
potrebbe
imporre in terra la concordia
sarebbe
l’attributo che con Dio
noi
uomini condividiamo, vale
a
dire la Ragione. Credo un sogno
la
sua realizzazione sulla terra.
Coloro
che ritengono che al mondo
la
massa delle plebi o i magistrati,
a
capo degli affari del governo,
spesso
in lite tra loro, per invidia
o
cupidigia del potere, un giorno,
diventati
inopinatamente sapienti
e
consci del valore della vita,
potrebbero
ubbidire finalmente
a
norme razionali, sono come
i
poeti che sognano cantando
l’età
dell’oro o come le vecchiette
che
narrano le favole ai bambini.
FABRICIUS
Come
potete disperare fino
a
tal punto del nobile valore
della
fede? del fulgido potere
che
ha la religione di placare
le
tempeste del cuore?
SPINOZA
Le tempeste
si
placano se i venti stanno calmi.
La
religione non si calma mai.
E’
un vento micidiale e tempestoso.
Credo
anzi, ed è per me quasi certezza,
una
certezza che lo studio attento
della
storia mi ha sempre confermato,
credo
proprio che da una cieca fede
nei
miti e nelle favole dei preti
si
generi nel mondo la discordia
che
lo divide, il male che lo sfregia
e
lo devasta, queste, credo, sono
le
radici che imbrigliano la nostra
conoscenza
del vero, qui s’accampa
l’arroganza
proterva delle chiese,
qui
le sciocchezze, i dogmi, che non hanno
fondamenti
scientifici o divini,
qui
allignano fecondi per venire
imposti
come Fede rivelata,
Sapienza
inconfutabile, Parola
prununciata
da Dio, Emanazione
ineffabile
della sua Essenza.
Eccola
la radice di ogni male,
di
ogni odio, di ogni prevaricazione,
l’incitamento
alla sopraffazione
di
un popolo sull’altro, di una setta
sull’altra,
ecco l’istigazione all’odio,
al
sopruso, all’intolleranza,
al
rancore che intossica dovunque
le
folle dei credenti, ogni fedele
vi
s’improvvisa pubblico guardiano
di
una privata religione, a tutti
prescritta
come l’unica custode
di
un’autentica fede, come sola
garante
della verità. Ciascuno
di
costoro mi sembra un portinaio,
un
ottuso e bigotto portinaio
del
santuario della tradizione,
ma
che veracemente dovrei dire
immondezzaio,
beccheria, latrina
della
conservazione. Tutto il male,
non
nel senso assoluto, ma nel senso
dell’infinita
sofferenza umana
che
dall’inizio della storia inflitta
fu
vanamente dalla religione,
e
che ancora s’infligge, tutto il male
io
lo vedo prodotto, seminato
nel
mondo proprio dalla religione,
dall’odio,
dal fanatico livore,
e
dall’intolleranza suscitati
per
ogni dove dalla religione.
FABRICIUS
Come
vi permettete? come osate
sostenere
l’infamia di calunnie
che
infangano la fede dei Cristiani?
Che
vita un’esistenza senza il nome
di
Cristo? che sapienza una dottrina
che
ignori Dio, la sua onnipotenza?
SPINOZA
Si
tortura, si uccide, si condanna
chi
la legge di Dio ci obbligherebbe
ad
amare, si confuta e diffama,
senza
nemmeno averlo letto, il libro
che
non collima con la propria idea
di
verità. O piuttosto con la propria
volontà
di potenza, con la propria
irriducibile
superstizione.
O,
chi sa, con il proprio tornaconto.
FABRICIUS
Ditemi:
devo interpretare come
rifiuto
l’incredibile insolenza
delle
vostre paole?
SPINOZA
Interpretate
le
mie parole come più vi piace.
Non
so, lo ammetto, in che confini debba
intendersi
compresa, nella vostra,
lo
riconosco, generosa offerta
di
una cattedra di filosofia
a
Heidelberg,
la concessione di una
libertà
di filosofare, “a patto”,
però,
se intendo bene, la riserva
di
non turbare con il mio pensiero
la
sola religione dello Stato.
FABRICIUS
E’
vero. Il clementissimo Signore
non
impone nessuna restrizione
alla
vostra ricerca, ma confida
che
non perturberete la sincera
fede
pubblicamente professata
dai
suoi sudditi, e che rispetterete
la
fede riformata di Lutero,
ch’è
quella dichiarata e confermata
vera
dall’Elettore Palatino.
SPINOZA
Non
potrei né dovrei pertanto entrare
in
conflitto con questa religione.
FABRICIUS
Certo
che no. Ci mancherebbe. Come
osereste
inficiare, contrastare,
o
insinuare anche il minimo dubbio
sulla
Rivelazione? Immaginate
lo
scandalo, lo sdegno dei credenti.
SPINOZA
Ma
come mi sarebbe consentito
effettuare
allora una ricerca
scientifica
del vero, se quel vero
da
conoscere io mi vedrei costretto,
invece
di cercarlo, a dichiararlo
già
prefissato dalla religione?
da
un dio che come l’uomo ha preferenze,
da
un dio che nutre odi e rancori, un dio
che
si adira, che impreca e maledice,
che
condanna e distrugge chi resiste
all’arbitrio
dei suoi comandamenti?
FABRICIUS
Voi
bestemmiate! Oppure, oso sperarlo,
forse
è solo per mettermi alla prova,
che
mi parlate in questo modo indegno
di
un cristiano. Se osaste proclamare
dalla
cattedra idee come queste,
enunciare
teorie così blasfeme,
non
potremmo rispondere di come
reagirebbe
il Consiglio dei Docenti.
Dovreste
anzi perfino paventare
l’indignata
rivolta dei colleghi,
l’indignazione
che suscitereste
nella
città di Heidelberg, tremare
come
una foglia per la vostra vita.
SPINOZA
La
mia vita? Non temo le minacce.
In
che modo potrebbe intimorirmi
il
Consiglio Accademico? o impaurirmi
la
Chiesa di Lutero? Non li temo.
Non
amo le discordie. Mi disgusta
la
disputa settaria. Come posso,
mi
sforzo di evitare le contese.
Ma
credetemi, tutte le discordie,
gli
scismi, si riscontrano più spesso
tra
teologi e preti, tra pastori
e
rabbini, che tra i ricercatori
delle
leggi del mondo, leggi eterne
della
Ragione, e non dell’ignoranza,
della
credulità, della paura,
della
superstizione.
FABRICIUS
Chiamereste
superstizione
anche la fede
nella
divinità del Cristo?
SPINOZA
Certo,
che
prove abbiamo della sua vantata
divinità?
che si chiamasse Figlio
di
Dio non è che un modo di parlare,
lo
siamo tutti, non dimostra quindi
che
Gesù Cristo fosse dio. La fede,
se
priva di radici veritiere,
comprovate
non solo dalla Bibbia,
ch’è
libro umano, e non libro divino,
ma
da fatti, esperienze analizzati
e
dimostrati dall’osservazione
scientifica
del vero, è poca cosa,
un
fumo di parole. E’ questo il modo
che
dovrebbe tenere chi persegue
soltanto
l’interesse della scienza.
FABRICIUS
Un
modo di guardare il mondo, il vostro,
come
se al mondo non ci fosse un Dio.
SPINOZA
Il
mondo stesso è Dio. Chi lo conosce
conosce
Dio. Vi sembro astratto, astruso?
Non
sono un ateo. Ma il mio Dio non parla,
non
si rivela che attraverso il nodo
che
stringe insieme la realtà del mondo,
leggi
che lo governano da sempre.
FABRICIUS
Mi
spaventate.
SPINOZA
La paura, certo,
è
spesso la radice della fede.
Di
quale solitudine la vita
abbia
bisogno, per approfondire
la
conoscenza della vita, forse
non
riuscite a supporlo, tuttavia
se
poteste anche solo sospettarlo,
la
sola idea già vi spaventerebbe.
In
Olanda, perfino in questi tempi
di
guerra, nonostante molte voci
di
dissenso, e contrasti tra le chiese,
nonostante
l’ostilità rabbiosa
dei
Calvinisti per chiunque pensi
in
altro modo e, peggio, nonostante
il
barbaro assassinio dei fratelli
De
Witt, io sento, nonostante tutto,
contro
la mia paura, che la mia
solitudine
è ancora rispettata,
ammirata
la mia autonomia,
additata
a modello la mia vita.
Io
non credo che nel Palatinato
godrei
la stessa libertà, la stessa
sicurezza,
la stessa rispettata
autonomia
per scrivere i miei libri,
vivere
la mia vita, e per pensare,
nel
modo in cui lo penso, il mio pensiero.
FABRICIUS
Mi
congedo scontento, ma i peggiori
timori
che nutrivo sulla vostra
affidabilità
li riconosco
confermati
da un’empia e pertinace
arroganza.
Se il Principe Elettore
commise
l’imprudenza di chiamarvi,
questo
vostro rifiuto mi solleva
dal
disgusto di udire dalla vostra bocca
pronunciate
in un’aula le parole
irriverenti
che sfrontatamente
mi
avete appena dichiarato in faccia.
SPINOZA
Al
mondo non c’è cosa dalla quale
più
volentieri e lieto mi congedi.
Ma
leggo dalla vostra supponenza
un’opportuna
ipocrisia: la fede
osservata
dai più, nel vostro Stato,
e
soprattutto ingiunta dal Potere,
in
ubbidienza stretta del trattato
di
Westfalia, voi la osservate, credo,
solo
perché è la fede del Sovrano.
Non
invidio, perciò, né il vostro ufficio
né
il destino di futile etichetta,
di
banderuola spaventata e fida,
che
guida e svolge le vostre giornate,
e
gira al vento di qualunque guerra,
potendo
un giorno svaporare in aria.
Auguro
lunga vita all’Elettore
e
all’Università, che mi addolora
di
non riuscire oggi ad accontentare,
auspico
una gloriosa rinomanza.
FABRICIUS
Spinoza,
vi ho ingannato. Come siete
ingenuo,
se pensate che la fama
di
libertà, che circola di voi,
potrebbe
garatirvi anche in un’aula
illustre
d’università la stessa
libertà
di parola che sprecate
nei
vostri libri. Ma per quale dono,
se
non di Dio, di umana condizione,
pretendereste
voi la garanzia
di
simile eccezione? Che superbia
la
vostra. Vi credete superiore
all’esperienza
di consolidata
diplomazia
che da un millenio ed oltre
protegge
il nostro culto? E lo protegge
qualunque
sia la Chiesa dei cristiani
nel
vecchio e nuovo mondo a professarlo.
La
Chiesa, amico, ha superato prove
ben
più insidiose della vostra sconcia,
esagerata
fantasmagoria!
Se
vi sembra perduta la Ragione
della
fede, sì, la Ragione! e vano
scopo
di una supremazia sconfitta
la
sua missione al mondo, fate
pure,
scrivete quello che vi pare.
Ma
finché vivo vi sarà impedito
di
sbugiardarla clamrosamente,
come
fate in Olanda, anche in Germania.
Forse
questa partita è ancora tutta
da
giocare, Spinoza. Giocheremo.
Il
Principe Elettore Palatino,
magnanimo
Signore dello Stato
di
cui mi vanto e sono servitore,
non
ha mai posto una limitazione
al
vostro insegnamento, ma chiedeva
che
la vostra parola testimonio
soltanto
fosse della vostra scienza.
Avevate
la libertà di dire
e
di scrivere ciò che volevate.
Ma
io, che sono ancora il suo ministro,
l’occhio,
la mente, il vigile gendarme
del
suo governo: ditemi, potrebbe
la
mia coscienza dunque tollerare
che
un suddito, e per giunta anche un ebreo,
tra
l’altro rinnegato, approfittasse
di
tale libertà? Fu mia l’idea,
pertanto,
d’introdurre la dovuta
limitazione:
che l’insegnamento
non
contrastasse mai, né criticasse,
in
alcun modo, la Rivelazione,
la
fede luterana, fondamento
della
legislazione Palatina.
Avete
ormai per sempre rinunziato
alla
cattedra, Ve ne ringrazio.
Di
voi più saggio, un dì saprà qualcuno
approfittarne
e farne l’uso giusto.
FABRICIUS
esce
senza salutarlo.
10.
Università
di Leida. Un’aula gremita di studenti. 1674.
BLIJENBURGH.
PROFESSORI. STUDENTI.
BLIJENBURGH
mostrando
a tutti un libro:
Ecco
la mia risposta di cristiano
alle
infami bestemmie ed eresie
di
un ateo.
PROFESSORI,
STUDENTI
urlando:
Sì,
bravo! Viva Blijenburgh!
Sul
fondale appare proiettato il frontespizio di un libro:
LA
VERITA’ DELLA RELIGIONE CRISTIANA E L’AUTORITA’ DELLE SACRE
SCRITTURE AFFERMATE CONTRO GLI ARGOMENTI DELL’EMPIO, OVVERO UNA
CONFUTAZIONE DEL LIBRO BLASFEMO INTITOLATO
TRACTATUS
THOLOGICO-POLITICUS.
11.
Studio
di Spinoza nella casa di Hendrick Van der Spyck, all’Aia. 1676.
SPINOZA,
LEIBNIZ.
LEIBNIZ
Davvero
ritenete che lo studio
delle
cose si possa senz’alcuna
idea
di Dio considerare? e basta
la
sola matematica a spiegare
i
fenomeni?
SPINOZA
Se poté bastare
a
Galilei, perché mai non dovrebbe
bastare
a Newton?
LEIBNIZ
Vedo che anche voi
conquista
questo giovane scienziato
inglese
che non ha lasciato scritto
ancora
un solo rigo delle sue
famigerate
e rivoluzionarie
teorie
di matematici principi
sui
moti dei pianeti. Propugnate
una
fisica che si fondi solo
su
calcoli, teoremi e deduzioni
matematiche?
SPINOZA
Non propugno niente.
Ma
constato anzi che una spiegazione
della
natura può considerarsi
vera
solo se le dimostrazioni
sono
dimostrazioni delle leggi
che
governano la natura. Solo,
infatti,
la natura può donarci
la
certezza di coglierne l’essenza,
se
nell’esame dei suoi elementi,
il
metodo adottato non trascende
l’oggetto
che studiamo, il che vuol dire
che
i fenomeni stessi che osserviamo
possono
riprodursi sotto i nostri
occhi
solo se seguono le leggi
della
natura, l’ordine costante
che
produce e che regola le cose.
LEIBNIZ
Ma
la legge che il calcolo deduce
non
sarà stata immessa nelle cose
da
un ignoto alchimista, né da sempre
un
infinito moto muove il mondo
in
cui viviamo. O penserete come
Aristotele
che non abbia tempo
l’universo?
SPINOZA
Se fosse l’universo
stesso
il tempo?
LEIBNIZ
Ma immaginate dunque
prodotta
questa macchina del cosmo
da
se stessa, creatasi dal nulla
senz’alcun
intervento di divina
intelligenza?
insomma, senza un dio?
SPINOZA
Certo
che no. Volete astutamente
farmi
dire ciò che non penso. Dire
che
non esiste un dio. Non penso questo.
Non
l’ho mai sostenuto. Dico solo
che
spiegare con argomenti estranei
ai
fenomeni quanto si produce
nella
natura è un metodo sbagliato,
che
non spiega i fenomeni, ma serve
solo
a tenere buone le diverse
chiese
del mondo, per le quali tutte
è
motivo di scandalo e stupore,
che
uno scienziato spieghi la natura
con
metodo scientifico, la illustri
senza
cause divine, senza un fine
trascendente
che ne motivi il moto.
Quanto
a supporre, come da più parti
non
soltanto si vuole, ma s’impone,
che
Dio abbia interesse a motivare
con
un suo intervento, a sigillarlo,
con
un marchio di ceralacca, un segno,
anche
il calcolo infinitesimale,
non
è solo puerile, ma dimostra
un’ignoranza
dei procedimenti
scientifici,
che sembra rasentare
addirittura
l’idiozia, e inoltre
ostenta
una blasfema confusione
sull’essenza
di Dio e gli attributi
che
della sua sostanza si convenga
predicare.
Ma non mi meraviglia.
LEIBNIZ
Aspetto
dove mi vorrà condurre
questo
vostro discorso. Continuate.
SPINOZA
Non
sembra che fosse un cattivo
cristiano
Galilei, benché scrivesse
che
se la Bibbia parla con la lingua
simbolica
di Dio, con altra lingua
ci
parla invece il libro spalancato
davanti
a noi del mondo, ed è una lingua
di
circoli e quadrati, di segmenti
e
di rette, di numeri e di cifre.
LEIBNIZ
Ve
lo concedo. Spesso, lo sapete,
si
riscontra negli uomini di chiesa
poca
dimestichezza con la scienza.
SPINOZA
Del
resto anche l’analisi corretta
delle
Scritture non si può condurre
con
metodi e principi esterni al testo
che
si vuole spiegare e commentare.
E’
un principio di metodo fondante
per
qualunque filologia: non vedo
perché
ubbidirvi non dovrebbe solo
la
Bibbia. Per qualunque testo, infatti,
vale
il principio che l’esame debba
condursi
senza uscire dal tessuto
linguistico
del testo. E se non sbaglio,
è
un testo anche la Bibbia. Ricaviamo,
anzi,
da quest’analisi condotta
con
metodo corretto, vale a dire
storico
e filologico, che scritta
anche
la Bibbia fu dall’uomo, e scritta
in
epoche diverse con diverse
opinioni
degli uomini e di Dio.
LEIBNIZ
Ho
letto il vostro libro singolare
su
Dio, sulle Scritture, e sullo Stato.
Una
lettura sconvolgente, eppure,
ve
lo ripeto, affascinante. Certo,
non
condivido tutte le teorie,
che
vi esponete, e tanto meno approvo
talune
deduzioni e conclusioni.
Ma
la lettura stimola il pensiero,
e
dalle vostre idee nascono idee
che
aiutano a chiarire le questioni.
SPINOZA
Non
pretendo di possedere il nodo
che
stringa in sé tutti i problemi posti
dalla
filosofia, e non conosco
la
risposta che li risolva. Cerco
un
metodo corretto di studiarli,
e
che non presupponga le risposte.
LEIBNIZ
La
vostra idea di un’unica sostanza
mi
affascina, e probabilmente avete
ragione.
Ma per questo escluderemo
che
possa Dio trascendersi?
SPINOZA
C’è forse
bisogno
d’una trascendenza, quando
basta
a spiegare il mondo l’immanenza?
Voi
siete un matematico, e sapete
che
la dimostrazione più evidente
è
sempre la più semplice: che è anche
la
più vera, perché chiara e distina.
LEIBNIZ
Ammiro
questa vostra correttezza,
e
credetemi, invidio questa vostra
quasi
unica onestà intellettuale.
Ma
in tempi come i nostri la schiettezza
è
rischiosa. Nessuno più professa
pubblicamente
concezioni, idee
che
potrebbero procurargli prima
o
poi contrasti con la chiesa o, peggio,
alienargli
l’autorità civile.
E
fingere pertanto remissione,
dimostrare
accondiscendenza, dare
credito
alla vulgata del potere,
ai
dogmi delle chiese, vi potrebbe
garantire
una vita più tranquilla
di
studio e di ricerca. Chi, del resto,
ditemi,
amico, se ne accorgerebbe?
SPINOZA
Io.
Mentire a se stessi non è cosa
facile,
non credete? O con il tempo
ci
si abitua, e magari ci si crede?
Ma
dovreste conoscere, del resto,
quanto
difficilmente scende a patti
una
vera amicizia, con l’amico,
e
soprattutto quanto discordante
sia
sempre da ingannevoli entimemi
la
severa amicizia di se stessi.
Sono
comunque più prudente, Leibniz,
di
quanto supponiate. Un libro al quale
tengo
molto, e che forse è il più completo
riepilogo
del mio pensiero, aspetta
di
essere pubblicato ormai da molti
anni.
Ma dato che il peggiore vizio
del
nostro tempo è prendere a pretesto
qualche
frase isolata da qualunque
libro
per calunniarne e diffamarne
l’autore,
e fargli dire le peggiori
sconcezze
e infamie che non ha mai detto,
rinvio
ancora la pubblicazione
del
mio libro. La gente legge spesso
in
un libro non quello che c’è scritto,
ma
quello che vorrebbe e dunque crede
di
leggervi: potrà così appagare
più
facilmente la malsana brama
di
calunniare e liquidare in breve
il
suo malcapitato autore, e dire
di
difendere la morale. Giusto
motivo,
se non altro, per odiarlo.
E
voi sapete bene quanto male
possa
fare la maldicenza, e come
non
sia creduta che assai raramente
l’innocenza,
la quale è disarmata
contro
chi la calunnia, e mai non ebbe
del
chiasso maldicente della folla
la
voce della verità più forza
a
contrastarla, soprattutto quando
alimentato
è il chiasso scaltramente
da
ogni tipo di chiesa e rinforzato
astutamente
dal potere.
LEIBNIZ
Approvo
questa
vostra prudenza, tuttavia
confesso
che mi piacerebbe molto
leggere
questo libro.
SPINOZA
Non dispongo
per
ora di una copia. Ma più presto
di
quanto voi pensiate, le riserve
politiche
da parte dello Stato,
che
mie, di pura mia sopravvivenza,
per
la pubblicazione, ancora forti,
potrebbero
cadere, e forse un giorno
voi
potreste trovarlo nel negozio
di
un libraio di Monaco o Berlino,
o
Amsterdam. Ma prima di quel giorno,
io
stesso ve ne manderò una copia.
LEIBNIZ
Ve
ne ringrazio. Ma se non vi spiace
del
tutto la conversazione che ora
intratteniamo,
non potreste, prima
di
quel giorno, sia pure per inciso,
per
sommi capi, di quel vostro libro
anticiparmi
adesso il contenuto?
SPINOZA
Mi
piacerà parlare a lungo, e spesso,
con
voi, di matematica. Vi prego,
però,
di non parlami più di Dio.
Vedo
che questo termine, pur troppo,
non
denota per voi la stessa idea
di
sostanza, che il mio pensiero esprime,
quando
nomino la sostanza. E il libro,
che
non ho ancora pubblicato, parla
soprattuto
di Dio.
LEIBNIZ
M’incuriosite.
Sono
sicuro che ne parlerete
in
modo originale, nuovo, come
nessuno
ne ha parlato ancora. Forse
diciamo
cose simili, e cerchiamo
sicuramente
tutti e due la stessa
cosa,
la via di dimostrare in atto
nella
Natura un’unica coesione,
un’unità
che solo dalla scienza
può
essere indagata.
SPINOZA
Forse: credo
anzi
che sia così. Ma affidereste
alla
scienza la sola spiegazione
che
renda comprensibile, distinta,
l’enunciazione
rigorosa d’una
simile
verità, da molti ancora
non
solo giudicata assai rischiosa
per
la concordia dei credenti, quanto,
e
più, anche dannosa per lo Stato,
per
il mantenimento del potere
costituito,
per l’ottemperanza
dei
patti tra le classi, l’osservanza
universale
delle odierne leggi?
Sembra
a costoro che da sé la scienza,
non
rispettando autorità nessuna,
salvo
la correttezza delle proprie
dimostrazioni
e delle proprie leggi,
abbia
il potere di scalzare sotto
i
piedi dei potenti la certezza
di
quel potere. Non potrei venire
a
patti con nessuna religione,
con
nessuna Repubblica che osasse
proibire,
o anche soltanto limitare,
la
libertà di questa mia ricerca.
LEIBNIZ
La
libertà? Ma chi nel vostro studio
potrebbe
controllare la ricerca
che
state conducendo? Nel pensiero
chi
leggere le vostre deduzioni?
Per
la tranquillità dei vostri studi,
l’ossequio
alle ingiunzioni del potere
che
potrebbe qualcuno giudicare
ipocrisia,
è un atto necessario
se
garantisce per i vostri studi
una
tranquilla segretezza.
SPINOZA
Come
però
tranquilla, come riservata,
sarebbe
la ricerca se potrei
l’irruzione
aspettarmi in ogni istante
di
controllori dello Stato o, peggio,
della
Chiesa? la libertà che cerco
non
ammette nessuna condizione,
che
possa limitarne l’esercizio.
LEIBNIZ
Cercatela
nel mondo di Utopia,
codesta
libertà.
SPINOZA
Mi piacerebbe
possibile
saperla in questo mondo.
LEIBNIZ
Qui
sorgono i miei dubbi più fondati.
Sembra
che nella considerazione
che
voi fate del mondo, della storia,
non
ci si possa attendere nessuna
redenzione
del male, del dolore
che
affliggono la vita sulla terra
dell’uomo,
anzi nessun risarcimento
all’ingiustizia,
alla sopraffazione.
Nessun
fine, nessuna provvidenza,
nessuna
volontà che ci disegni
un
percorso, un progetto del destino
che
noi subiamo. Come si potrebbe
il
cumulo di tanta sofferenza
viverlo,
motivarlo, sopportarlo?
SPINOZA
Ma
basterebbe dunque l’illusione
di
un Dio che la prevede, la redime,
e
la ripaga, per giustificarla?
LEIBNIZ
Non
ritenete, dunque, voi perfetta
la
macchina dell’universo?
SPINOZA
Certo.
Perfetta.
Perfettissima. Se vista,
come
dire? sub specie aeternitatis.
Ma
si parlava adesso della storia.
E
non dell’universo. L’occhio umano
di
vista non dispone così lunga
né
così acuta che una sola legge
possa
individuare nei diversi
e
molteplici casi della vita:
la
regolarità di norme e leggi
che
governano le manifestazioni
della
Natura, invano noi, può darsi,
nel
disordine delle azioni umane
le
cercheremmo e le distingueremmo.
Solo
per noi disordine, privati
della
vista che legga oltre gli aspetti,
le
forme, i modi delle azioni umane,
il
permanere di comportamenti,
la
regola costante che presiede
allo
sviluppo ed all’intersecarsi,
scontrarsi,
combinarsi ed esaurirsi
delle
passioni. C’è sicuramente
una
necessità che sovrintende
al
decorrere degli avvenimenti.
Ma
delle cause, non certo dei fini.
La
storia non ha scopo. Necessario
è
il susseguirsi degli eventi. Niente,
però,
fa prevedere nella storia
un
progetto, un programma o, per capirci,
il
disegno di qualche provvidenza:
di
un Dio, della Natura, fa lo stesso.
Avete
bene inteso il mio pensiero.
LEIBNIZ
Ma
gettereste gli uomini in un cupo,
profondo
abisso di disperazione!
SPINOZA
Furono
gli argomenti di un bigotto,
molti
anni fa. Ma ditemi: gradita
o
sgradita che sia, l’enunciazione
di
quella verità che toglie il velo
a
una realtà di fatto, che nessuno
vuole
vedere, resta meno vera
la
verità solo perché nessuno
vuole
vederla? O preferite dare
all’uomo
l’illusione che la vita
abbia
un destino, un senso, una missione
prefissata
da Dio? chi garantisce
la
verità dell’illusione contro
l’evidenza,
che l’intelletto svela,
di
una realtà di fatto? La Natura
non
si affatica né si angustia certo
per
soddisfare i desideri umani.
Non
esiste per l’uomo. L’uomo è solo
una
parte tra tante. Come il cane,
la
scimmia, la formica. L’intelletto,
ci
differenzia, forse, dalle bestie,
proprio
per questo è qui, nell’intelletto,
l’unica
fonte della nostra gioia:
perché
cercarla altrove? in altro mondo,
di
cui non conosciamo l’esistenza?
in
altra vita, che come una nebbia
vive
nei nostri sogni, e che nessuno
mai
è tornato indietro a raccontarla?
LEIBNIZ
Capisco
bene le argomentazioni
della
vostra teoria. Ma non potrei
abbracciarne
l’atroce, spaventosa
durezza.
Come, infatti, consigliare
all’uomo
di sbarrare alla speranza
le
porte del suo cuore, di strapparsi
l’illusione
che avrà per lui la vita
un
futuro diverso, meno amaro,
del
doloroso passo tra gli stenti
ch’è
il suo destino odierno?
SPINOZA
L’uomo
che
m’offre qui ricetto da molti anni
è
un uomo pio, devoto, e non gli tolgo
nessuna
delle sue speranze, chiedo,
anzi,
quando ritornano qui a casa
dalla
chiesa, che cosa abbia spiegato
il
giovane pastore nel sermone.
E’
un prete intelligente, colto, buono.
I
suoi consigli aiutano i fedeli
a
condurre una vita di Cristiani
tolleranti.
Perché dovrei negare
o
rintuzzare idee che fanno stare
bene?
LEIBNIZ
La
verità sarebbe allora
privilegio
di pochi?
SPINOZA
E quando mai
lo
fu di molti? Privilegio, inoltre,
perché?
se mai fatica, obbligo, impegno.
La
conoscenza non è via per tutti.
LEIBNIZ
Anche
una mente illuminata, credo,
durerebbe
fatica a seguitare
l’impervia
strada che additate come
via
della conoscenza.
SPINOZA
Seguitarla,
non
è un dovere, un obbligo. Ciascuno
è
libero di andarci o di ritrarsi.
Lo
diventa, una volta che si sceglie
d’intraprenderla,
un obbligo dal quale
non
si può più tornare indietro. Invece
la
libertà, non è affatto una scelta,
nemmeno
un privilegio, che si possa
o
non si possa prendere o donare.
La
libertà è un obbligo, un dovere,
lo
è sempre, non si può mentire, oppure
evitarla
con una scorciatoia,
la
libertà si deve imporre a tutti.
12.
L’Aia.
Lo studio di Spinoza nella casa di Hendrick van der Spyck. 21
febbraio 1677.
SPINOZA
La
pipa non aveva oggi lo stesso
sapore.
Mi sentivo soffocare
perfino
dall’odore del tabacco.
Forse,
perché sentivo troppo freddo.
L’opera
principale è terminata.
Di
che cosa ho paura? Sono stanco.
Mi
stenderò per poco, sento freddo.
Sì,
sento ancora freddo. E sono stanco.
Si
sdraia sul letto, supino. Si copre le gambe e il petto con una
coperta di lana colorata. E resterà così fino alla fine, guardando
il soffitto.
Mi
piacerebbe ora vedere un ragno
infagottare
lentamente il corpo
di
una mosca, fasciarlo con la bava
come
un bozzolo, e quindi come un baco
da
seta scartocciarlo, e a poco a poco,
ancora
vivo, divorarlo. Il gioco
della
vita è crudele. Come il gioco
della
morte. La differenza esiste
per
chi muore. Ma per chi vive resta
la
paura. Che strano! Non ricordo
più
la faccia, la voce di mia madre.
Scomparsa,
eliminata, quale parte
di
lei resta nel mondo a ricordarla?
Apparenza
di che sostanza il soffio
della
vita? il suo soffio, non ricordo
che
odore avesse. Non ricordo il tatto
delle
sue labbra, mangiavamo insieme
nell’oscuro
tinello che puzzava
di
muffa, alle pareti i grandi arazzi
di
Brussels, il piancito a cassettoni,
lo
scricchiolio del legno, quando entravo
nella
stanza, e vedevo i loro grandi
occhi
alzarsi dal tavolo e fissarmi,
e
continuava sempre ad ogni passo
a
scricchiolare il pavimento. Muto
raggiungevo
il mio posto e mi sedevo.
Mamma,
ricordo quasi solo quelle
nostre
cene, di te. Ricordo l’acqua
gelata
del canale sotto casa,
il
ponte che dovevo attraversare
per
andare a studiare in sinagoga,
il
puzzo acre dei ceri appena spenti.
E
l’alfabeto che magicamente
mi
parve allora il senso rivelarmi
della
lingua di Dio. Ma come sono
arrivato
a lasciarmene alle spalle
non
solo il senso, ma perfino ormai
anche
il bisogno di quel senso? Sono
pago
così. Non ne ho bisogno. Come
non
ho bisogno di nessun conforto,
di
nessuna speranza. Ma conforto
di
che, speranza di che cosa? Sono
quello
che sono, quello che ho voluto,
di
me, gli affetti, le amicizie, tutto
fu
vivo, fu vissuto. E fu vissuta
la
letizia: impensabile, sublime
letizia
di pensare. Ogni concetto
come
una riscoperta del pensiero,
un
rifondare, quasi, da principio,
la
conoscenza. E l’intima, profonda,
intemerata
consapevolezza
di
conoscere il senso delle cose,
l’ultima
verità della Natura,
la
sostanza insondabile di Dio.
Coloro
che mi chiamano blasfemo,
che
mi credono un criminale, un ateo,
sapessero
il legame con cui sento
avvinghiarmi
dal mondo che mi assorbe,
conoscessero
il nesso che m’avvince
anche
solo alla luce che attraversa
gli
oggetti, li delimita, li bagna
in
un diluvio di colori, oppure
percepissero
il filo della lama
che
sento penetrarmi, quando guardo
un
albero d’inverno nudi contro
il
cielo azzurro stendere i suoi rami,
avvertissero
nel sangue la violenza
del
gorgo che m’ingoia, la dolcezza
di
tuffarmi in un mare di concetti
e
là dentro annegarmi, sprofondare
nell’immensa
voragine d’amore
che
m’aspira, e sentirmi possedere,
confondermi
con Dio, con il Tutto!
La
verità non piace. Non soddisfa,
Troppo
semplice. Troppo limitata.
Eppure
è tutto qua. Si vive. E questo
è
Dio, parte di Dio, questo è Natura.
E
poi, quando si muore, che cos’altro
si
diventa se non un’altra parte
di
Dio, della Natura? O ciò che sembra
una
trasformazione, il decadere
da
uno stato vitale alla figura
inerte
della pietra, il degradarsi
del
corpo e del cervello a poco a poco
dal
fertile prodursi e dalla vita
della
materia ad una corruzione
che
trasforma l’organico nel modo
fermo
dell’inorganico. Ma fermo,
perché?
Si vede un limite, là dove
l’occhio
non oltrepassa l’orizzonte.
Il
desiderio che attanaglia il cuore,
lo
sospinge sull’orlo del dolore,
la
ferita di vivere ignorando
la
fine della vita, il muro sordo
che
separa la voce dal silenzio.
Si
vorrebbe sapere. Oltrepassare
il
muro. Ma perché? perché la morte
dovrebbe
essere fine di un’attesa
e
non semplicemente solo fine?
che
paura del dopo? e quale dopo?
La
paura consiglia sempre il peggio.
Costruisce
fantasmi, scalda in petto
vane
speranze, fabbrica illusioni.
Continuare,
vorrebbero soltanto
continuare.
E di fatti si continua,
ma
non come si spera. Non c’è niente
che
possa indurci a sospirare, dopo
il
tramonto dell’ultimo repsiro,
l’alba
di un nuovo giorno. Proprio niente.
Ma
ti basta saperlo? e sei sicuro
di
saperlo? Tra il niente e il tutto, parte
di
ciò che sono resta sempre parte
di
ciò che è. Non posso uscirne fuori.
Restarne
dentro è tutto ciò che sono.
Comunque
accada, accade come deve
accadere.
Non posso ritoccarne
il
percorso. Se grido quale nuovo
angelo
mi risponderà? Se imploro
la
goccia che disseti l’assetato,
quale
voce diversa dal silenzio,
che
sempre mi ha seguito, avrà risposta
per
la preghiera incautamente uscita
dalla
mia bocca? Se Baruch
poteva
sperarlo,
come se lo auspicherebbe
Benedetto?
Di tutte le figure
che
dalla mia disordinata infanzia
mi
arrivano a quest’ora, che già sento
per
ultima toccarmi, una per una
le
sento conficcarsi l’una dentro
l’altra,
ma tutte interminabilmente,
anello
per anello d’una lunga
e
incompiuta catena di ricordi,
a
presentarmi questo mio congedo
dalla
vita come ultima occasione
di
un unico e dolcissimo congedo
da
me stesso. Respiro ancora. Forse
non
ancora per molto. Mi dispiace
di
lasciare incompiuto il mio Trattato
Politico.
Ma l’Ethica
fu scritta
per
intero, parola per parola,
fino
all’ultima, quella conclusiva.
Non
muoio interamente. E questo, solo
questo,
mi dà coraggio di lasciare
la
vita e il mondo senza pentimento.
Muore.
La
scena resta per qualche minuto vuota. Spinoza giace morto nel suo
letto. Entra LODEWIJCK
MEYER.
Si arresta, fissa il morto. Si avvicina al letto, chiude gli occhi di
Spinoza. Va alla scrivania, fruga nei cassetti. Raccoglie tutte le
carte, le mette dentro una borsa di cuoio, s’infila nel taschino
del giubotto l’orologio d’argento che Spinoza ha lasciato sulla
scrivania, ed esce.
Roma,
Tor Lupara, Nomentana Hospital, sabato 6 ottobre - Monte Caminetto,
Sacrofano, Roma, domenica 16 dicembre 2007.
Revisione,
aggiunte e modifiche (colloquio con Huygens, scena del linciaggio dei
fratelli De Witt), Sacrofano, Monte Caminetto, Roma, domenica 16
marzo 2008 (Domenica delle Palme).
INDICE
PERSONAGGI pag.
3
Scena
1. “ 6
Scena
2. “ 7
Scena
3. “ 13
Scena
4. “ 24
Scena
5. “ 48
Scena
6. “ 55
Scena
7. “ 68
Scena
8. “ 75
Scena
9. “ 87
Scena
10. “ 102
Scena
11 “ 103
Scena
12. “ 120