DINO VILLATICO
Appunti per una meditazione sulla vita
Scene dalla vita di Spinoza
“... una cosa non cessa di essere verità, solo perché non è accettata da molti.”
SPINOZA, Breve trattato su Dio, l’uomo e il suo bene.
“Se gli uomini fossero in grado di governare secondo un preciso disegno tutte le circostanze della loro vita, o se la fortuna fosse loro sempre favorevole, essi non sarebbero schiavi della superstizione”.
SPINOZA, Tractatus theologico-politicus.
“Dalle cose dette risulta quanto il saggio sia più forte e più capace dell’ignorante, che è mosso solo dalla libidine. Infatti l’ignorante, a parte il fatto che è sballottato in molti modi da cause esterne e non raggiunge mai una vera soddisfazione dell’animo vive, inoltre, quasi inconsapevole di sé, di Dio e delle cose; e appena cessa di patire cessa anche di esistere”.
SPINOZA, Ethica, parte V, scolio alla proposizione XLII.
“Give me that man
That is not passion’s slave, and I will wear him
In my heart’s core, ay, in my hearth of hearth,
As I do thee. Something too much of this”.
SHAKESPEARE, Hamlet, III, 2.
PERSONAGGI
(in ordine di entrata)
PRIMO RABBINO
SECONDO RABBINO
SPINOZA1
JOHAN DE WITT2
UN SEGRETARIO
SIMON JOOSTEN DE VRIES3
TRIJNTJE JOOSTEN DE VRIES4
CHRISTIAAN HUYGENS5
WILLELM BLIJENBURGH6
HENDRICK VAN DER SPYCK7
SIGNORA VAN DER SPYCK
DUE GIOVANI, apprendisti nella bottega di van der Spyck.
JOHANN LUDWIG FABRICIUS8
CORO DI PROFESSORI E STUDENTI DELL’UNIVERSITA’ DI HEIDELBERG
LODEWIJCK MEYER9, che non parla.
Città e villaggi dell’Olanda dal 1656 al 1677.
1.
Sinagoga di Amsterdam sul Houtgracht10. Il rabbino legge la scomunica di Baruch (Bento) de Espinosa. 27 luglio 1656.
PRIMO RABBINO
I Signori del ma’amad da lungo tempo a conoscenza delle opinioni e delle azioni malvagie di Baruch11 de Spinoza, hanno cercato in vari modi e con diverse promesse di farlo tornare sulla retta via. Ma non essendo riusciti in alcun modo a correggerlo e continuando viceversa a ricevere quotidianamente informazioni accreditate sulle abominevoli eresie che egli ha elaborato e insegnato nonché sui suoi atti mostruosi, e avendo numerosi testimoni credibili di tutto questo che hanno deposto e testimoniato a tale proposito al cospetto del suddetto Espinoza, sono giunti alla conclusione della verità di tali fatti; e dopo avere preso in esame la questione in presenza degli onorevoli chachamim, hanno deciso, con il loro consenso, che il suddetto Espinoza sia scomunicato ed espulso dal popolo d’Israele.
SECONDO RABBINO
Su decreto degli angeli e su ordine dei Santi, noi pertanto scomunichiamo, espelliamo, malediciamo e danniamo Baruch de Espinoza, con il consenso di Dio, sia Egli lodato, e con il consenso dell’intera santa congregazione, e di fronte a questi rotoli che recano scritti al loro interno i 613 precetti; maledicendolo con la scomunica con la quale Joshua mise al bando Gerico e con la maledizione con cui Elisha maledisse i fanciulli e con tutti i castighi che sono scritti nel Libro della Legge. Che egli sia maledetto di giorno e maledetto nella notte, maledetto quando si sdraia e maledetto quando si alza, maledetto quando esce e maledetto quando rientra. Il Signore non lo risparmierà; al contrario, la collera del Signore e la sua gelosia si abbatteranno su quest’uomo e tutte le maledizioni scritte in questo libro penderanno su di lui, e il Signore cancellerà il suo nome da sotto il cielo. Il Signore lo allontanerà con tutto il male dalle tribù d’Israele, in obbedienza a tutte le maledizioni scritte in questo libro della Legge. Ma voi, voi che siete fedeli al Signore vostro Dio, voi tutti siate benedetti: ciascuno di voi è vivo quest’oggi. Noi ordiniamo inoltre che nessuno abbia rapporti orali o scritti con lui, che nessuno lo soccorra, che nessuno rimanga con lui sotto lo stesso tetto, che nessuno gli si avvicini più di quattro passi, che nessuno legga uno scritto redatto o pubblicato da lui.
2.
Studio di Spinoza a Rijnsburg12. 1660.
SPINOZA, seduto davanti a un desco, a molare una lente.
SPINOZA
L’occhio è un filtro speciale per guardare
il mondo. Avrebbe a Galileo Saturno
mostrato i suoi anelli e Giove i suoi
satelliti? Chi sa perché si crede
altrove la realtà del nostro mondo,
e altrove il senso della nostra vita.
Doloroso non fu per me il distacco
dalla Keter-Torah13, da Menasseh14 ben
Israèl, da Saùl Levi Morteira,
quanto forse traumatico per loro
scomunicarmi, espellermi, cacciarmi
dalla comunità. Gli Ebrei non sanno,
però, che non mi sono dalla Legge
di Mosè liberato, perché in faccia
mi fu sprangato dai rabbini l’uscio
non solo della sinagoga, e tolto
dei fratelli il saluto, e poi scacciato
dal mio quartiere, come un criminale,
e bandito da Amsterdam, bandito
dalla città, e lo avessero potuto,
m’avrebbero bandito dall’Olanda
o perfino dal mondo intero. Forse
possono ancora crederlo i rabbini,
che non leggono i libri dell’indegno
che li ha traditi, possono supporlo
Andrade, mia sorella, mio fratello,
per non macchiarsi della colpa infame
d’interpellare uno scomunicato.
Ma no. Non solo fu per questo. Solo
l’apostasia di un miscredente? o di una
testa calda? una bega di giudei?
Tutto sommato quella brava gente
di rabbini e devoti Ebrei aveva
ragione. Come avevano ragione
i fedeli insegnanti della scuola
di Morteira. Ci avevano sperato,
puntato su di me. Già predisposto
a guidare i fratelli, a sostenere
la tradizione di famiglia. Invece
non ero più un Ebreo. Non uno, almeno,
che rispettasse, come si doveva,
una per una le disposizioni
della Legge. Non ero Ebreo, non ero,
anzi, un credente, non comunque il tipo
che avrebbero voluto. E per un colmo
di arroganza, li abbandonavo senza
voltarmi indietro, a viso aperto, e questo
li imbestialiva, li infuriava. Come
abiurare potessi alla mia fede,
alla fede dei padri, e non provare
esitazione, non sentirmi escluso
dalla missione che Dio stesso aveva
affidato al mio popolo. L’eletto
di un popolo che dice di se stesso
d’essere lui tra i popoli l’eletto
da Dio, da quel momento giovinastro
arrogante mi svincolavo, davo
scandalo, mi slacciavo dalla Legge,
mi scacciavo da me. Ma qui sta il punto:
con quell’atto li costringevo, io stesso,
ufficialmente a espellermi, a dannarmi,
scomunicarmi. Colpa loro? Quanta
ingenuità mi dimostrava il chiasso
di quella sicurezza, e che tremenda
pena mi suscitava la certezza,
da parte loro, che l’errore fosse
solo mio, e che quella che lasciavo
era la verità, l’unica casa
in cui la verità si custodisse
gelosamente da millenni. Peggio,
dichiarare di non potere, ormai,
tornare sui miei passi. Non volevo.
L’ostinazione era, per loro, quasi
peggiore dell’abiura, più tremenda,
insoffribile, un vero e proprio insulto.
Un abominio. Come se sputassi
sulla faccia di Dio. E in qualche modo
lo avevo fatto. Ma non sulla faccia
di Dio. Lo avevo fatto sulla faccia
del loro Dio. La Legge mi pareva,
come ancora mi pare, un’invenzione
umana, un libro scritto da più mani,
per più secoli, e tutte mani umane.
Averlo detto, scritto, predicato,
fu la mia colpa. Ma ciò che gli Ebrei,
non videro, non sanno, è che il distacco
dalla Legge non era solo il taglio
ombelicale dai patriarchi, colpa
ch’essi temono più di ogni altra cosa,
e non era nemmeno la scrollata
di spalle alle parole dei profeti,
lo sberleffo finale alle lezioni
del Talmùd, era invece il primo passo
del distacco da tutte le altre fedi,
da tutte le altre religioni. Tutte,
da quel momento, io le consideravo
un ostacolo per la conoscenza.
La Ragione m’avrebbe da quel punto
guidato nell’analisi del mondo.
La battaglia che avevo cominciato
non era una battaglia per me stesso,
ma per la conoscenza, la mia scelta
di vita era la scelta di sondare
le radici del vero, il solo modo
che conoscevo di essere me stesso:
scandagliare i segreti delle cose,
analizzare metodi e stumenti
della ricerca che conduce senza
errori irreversibili alla scienza.
E sono un uomo libero. Un alunno
della Ragione, non come tiranna
delle passioni, ma piuttosto come
guida della ricerca. E costruisco
io stesso gli strumenti della mia
libertà, me li fabbrico da solo,
senza l’aiuto di una fede, senza
inopportuni appigli trascendenti,
senza la provvisoria scappatoia
di una Rivelazione, li produco
da me, con le mie mani: mi ripaga
la nuda trasparenza del cristallo
per guardare con occhio più preciso
la Natura, e da prìncipi mi salva,
da chiese, scuole, giudici, ministri,
garantisce la mia indipendenza,
l’indipendenza, anzi, del mio pensiero;
mi guadagno il mio tetto e il mio riposo,
molando lenti per i cannocchiali,
con queste lenti guardo l’universo,
e affino la mia vista sulle cose.
Con la chiarezza e con la distinzione
della argomentazioni apro la strada,
e insieme rimodello gli strumenti
per il pensiero che analizza il mondo.
Quest’unica realtà che ci spaventa,
al punto di cercarne altrove il senso,
è la realtà che avvince il mio pensiero.
Voglio cercarlo qui, l’unico nodo
che in sé stringe le cose, e voglio inoltre
riconoscerlo qui, crederlo il solo
che possa avere il nome di Natura,
il solo che, nascosto, inabissato
nel mare non ancora mai solcato
dell’essere infinito, sembra Dio.
3.
Amsterdam. Sala del Consiglio Cittadino. 1663.
JOHAN DE WITT, UN SEGRETARIO.
DE WITT
Spinoza? ma che vuole, adesso, questo
seccatore?
SEGRETARIO
Sostiene che l’abbiate
voi stesso qui per oggi convocato
in questa Sala del Consiglio. Dunque
qualcosa di ufficiale. Ricordate?
Volevate proporgli…
DE WITT
Sì, ricordo.
Quel fanatico è ormai in tutta Europa
diventato famoso tanto come
filosofo che come scrupoloso
molatore di lenti, che pagliaccio!
Ma l’Olanda ha bisogno di figure
come lui, soprattutto in un momento
di crisi come questo. Noi dobbiamo
trattenerlo, impedire che abbandoni
la Repubblica e vada ad insediarsi
in qualche altra Nazione. Si direbbe
che le menti migliori del paese
scappano via, non sono soddisfatte
del trattamento ricevuto, forse
perfino si direbbe che vantiamo
a parole la libertà che invece
non vogliamo concedere a Spinoza
e a quelli come lui. Già l’Inghilterra
fa propaganda, in questo senso, e molti
sono quelli che brigano a Parigi
per screditarci agli occhi dell’Europa.
Be’, sbrighiamoci, allora. Aspetto gente
più importante proprio dall’Inghilterra.
Venga pure da me questo Spinoza.
Ma farò presto. Su, fatelo entrare.
Entra SPINOZA.
DE WITT
Oltre i confini ormai la vostra fama
si estende dell’Olanda. La Nazione
vorrebbe dunque dimostrarvi quanto
riescano graditi i vostri studi
sulla natura delle cose, come
ci riempia d’orgoglio riscontrare
l’unanime consenso dei cervelli
d’Europa sull’analisi del nuovo
pensiero di Cartesio, che nessuno
di noi si sogna più di giudicare
nemico della fede. Già saprete,
immagino, che a Leida si permette
di spiegarlo, diffonderlo, insegnarlo.
SPINOZA
Ringrazio, con il cuore, l’Eccellenza
Vostra. Credo, del resto, che dei moti
di questa gratitudine voi siate,
non solo il diligente spettatore,
ma il primo ed entusiasta promotore.
Ringrazio soprattutto l’Eccellenza
Vostra d’essere stato il messaggero
del nuovo corso apertosi al pensiero
nell’Università di Leida.
DE WITT
In parte,
è anche merito vostro. Come vostra
la nobiltà della ricerca. E vostra
l’importanza dei risultati. Almeno
per quanto sento dire in tutta Europa
dai sapienti che ammirano la vostra
scienza. Sapete, inoltre, che ci tengo
molto al vostro lavoro. Che ne sono,
anzi, più che orgoglioso. Non nascondo,
infatti, che la fama che vi onora
nel mondo onora anche l’Olanda. Come
per il grande van Rijn15, come per Bruegel16,
così, anche per Spinoza, è garanzia
già solo il nome, celebrato in tutto
il mondo, di una perfezione, di una
eccellenza di tale compiutezza,
da collocare la Nazione intera,
dal Giappone all’America, dall’India
alla Cina, dovunque l’Olandese
attracchi le sue navi, esporti stoffe,
arazzi, quadri, porcellane, fiori,
e importi spezie, argento, oro, diamanti,
tra le prime del mondo, anche s’è solo
una modesta e giovane Nazione.
SPINOZA
Frutto di una politica moderna,
che rispetta la libertà d’ognuno,
vanto d’una Repubblica ch’esalta,
come specchio del vero, l’esercizio
dell’arte e della scienza. Tuttavia,
stringendo il nodo, per venire al dunque,
senza tergiversare, quale il segno
di questa gratitudine sarebbe?
E che me ne verrebbe? Perdonate
la mia franchezza. Mi spaventerebbe
una munificenza smisurata.
Sapete che non amo né ricerco
né mai feci manovre o petizioni
per ottenere una onorificienza
o guadagnare qualche donazione.
DE WITT
Vorremmo destinarvi una pensione.
Cambierebbe lo stile della vostra
vita, e potreste più liberamente,
senza problemi più di sussistenza,
dedicarvi al lavoro che vi avvince.
Vi occupereste solo delle vostre
ricerche, e non dovreste il giorno intero
curvare il capo e gli occhi sulle lenti
da molare, lisciare, smerigliare.
In quest’ufficio vi si riconosce
un’eccelsa perizia, ineguagliata
in Olanda, ma forse anche in Europa.
Tale impiego però distrae la vostra
mente dall’occuparvi della scienza,
alla quale dovreste dedicarvi.
Ecco perché lo Stato ha ritenuto
un suo dovere finanziare il vostro
lavoro di scienziato. Avrete il tempo
che vorrete, né quindi più costretto
vi vedrete a cercare sussistenza,
o preoccuparvi ancora del denaro
per l’acquisto di libri e di strumenti.
SPINOZA
Di quale importo?
DE WITT
Duemila fiorini.
SPINOZA
Troppi.
DE WITT
Ma renderebbe finalmente
libero il vostro studio, non dovrete
intagliare cristalli, per il vostro
quotidiano sostentamento.
SPINOZA
Devo
molto a questo lavoro. Più di quanto
possiate immaginare. La ricerca
del vero spazia in molti campi, passa
per umili funzioni, può abbassarsi
a compiti che l’ignorante crede
indegni di chi si occupa di scienza.
Ma riflettete: l’ottica è uno stadio
basilare non solo per lo studio
della fisica, ma per il sistema
che ne fonda i criteri di ricerca.
Esige, infatti, una tale esattezza
di osservazione, e doti di costanza
così estreme da indurre alla modestia
l’osservatore e stimolarne, quasi
costringerne la mente ad affinare
il metodo d’indagine.
DE WITT
Venite
al dunque. Quale somma ritenete
sufficiente?
SPINOZA
Lasciatemi spiegare,
però, vi prego, come vivo, e scelto
perché da me fu con ostinazione
lo stile di una vita solitaria.
Non me ne pento.
DE WITT
Bene. Ma vi prego,
anch’io, di misurare le parole.
Non mi resta, credetemi, più tempo
di quanto programmato nell’agenda
dei miei colloqui, al docile piacere
di ascoltarvi, né quanto v’indurrebbe
forse a sperare qui la confidenza
nel mio noto interesse per le scienze.
Sarebbe ingenuo crederlo. Non penso
che lo pensiate. Per venire al sodo,
e per non farmi perdere più tempo:
come certo saprete, sono molti,
nel momento difficile che incombe
sulla nostra Repubblica, gli impegni
di un ministro che voglia risparmiare
alla Nazione il cataclisma di una
guerra che certo perderemmo.
SPINOZA
Vi capisco e vi approvo. Non intendo
abusare del vostro garbo. E’ noto
a tutti, che dovete contrastare
feroci opposizioni alla mitezza
della vostra politica. Ma siete,
proprio per questo, a tutti necessario.
Ecco in breve, ciò che di me dovreste
conoscere, e per quali altre ragioni,
che forse ancora non vi sono chiare.
DE WITT
Scusatemi, Spinoza, la mia rude
schiettezza. Ma da voi verrà capita,
suppongo.
SPINOZA
Un segno della vostra stima.
DE WITT
Avrete tutto il tempo che vi serve.
SPINOZA
La vista indaga leggi sostanziali
della natura, e se ne avessi il tempo -
come per un politico, misura
anche per lo scienziato un tempo
insufficiente l’invida avarizia
degli orologi - se ne avessi il tempo,
mi piacerebbe estendere lo studio
anche alla percezione dell’udito,
all’acustica. Non immaginate
il profitto che dalla conoscenza
della musica si potrebbe trarre
per comprendere meglio la natura.
Inoltre credo che non ignoriate
quanto frugale e sobria sia la vita
che conduco, modesta la dimora
in cui passo le mie giornate, resto
quasi sempre rinchiuso nello studio
dove molo le lenti e dove leggo
gli ultimi scritti e le ultime invenzioni
di filosofi e di scienziati d’ogni
parte del mondo. Vivo lieto, solo,
e non m’importa se di fuori s’alza
la solenne grandezza d’un palazzo,
o mi racchiude la modesta calma
di un’umile dimora. Le esperienze
del mondo non m’intrigano, mi basta
conoscerne le leggi. Tuttavia
non mancano i momenti di serena
e direi lieta fuga nel rumore
del mondo, non mi mancano occasioni
di festa conviviale, e questo accade
quando esco per raggiungere gli amici
con cui confronto gli esiti raggiunti
dai miei studi o riscontro e scambio i nuovi
progetti, le ricerche, le opinioni
concordi, le possibili discordie. -
Mi basta molto meno.
DE WITT
Cinquecento?
SPINOZA
Mi bastano duecento.
DE WITT
Ma è una cifra
irrisoria!
SPINOZA
Mi basteranno.
DE WITT
Avrete
quanto chiedete, nobile Spinoza.
La Repubblica non potrebbe meglio
dimostrarvi la stima che coltiva
per voi, se non appunto favorendo
le condizioni in cui svilupperete
tranquillo quegli studi, che nel mondo
vi hanno reso famoso e rispettato.
SPINOZA
Ma l’esempio, però, di tolleranza,
di libertà, che date al mondo intero,
suscita ammirazione, la cagiona
perfino in quegli Stati che dell’uomo
non nutrono nessun rispetto: inferno
sulla terra, la libertà dell’uomo
è messa in ceppi, torturata, uccisa,
incenerita nelle piazze, e spesso
se ne bruciano i libri, e cancellata
dal mondo n’è perfino la scrittura
che la tramanda. Solo qui si ascolta
ancora la sua voce. Ma per quanto?
DE WITT
La Repubblica vi ringrazia. Addio.
Spinoza esce.
4.
Una stanza nella fattoria De Lange Boogert a Schiedam, vicino a Rotterdam. Inverno 1664-1665.
SPINOZA, SIMON JOOSTEN DE VRIES.
SPINOZA
Simon, amico più del mio pensiero,
di quanto già tu non lo sia del breve
corso che il mio destino ha misurato
per l’alito di vita che respiro,
respiro non più mio, se non respira
con te, ci sono volte nella mia
giornata di viandante sradicato
dalla vita del mondo delle genti,
e perfino dal mondo della scienza
e del pensiero, in cui mi perdo, e chiedo
se la mia solitudine abbia un senso,
e s’aprono momenti, in cui mi sembra
di percepirmi addosso una stanchezza
del tutto nuova, la fatica ingrata
di durare una lotta che fallisce
il suo bersaglio prima di mirarlo,
provo allora, guardandomi nel cuore,
uno sconforto mai provato prima
di natura così selvaggia e quando
odo tutte le voci che da molte parti
mi giungono in quest’angolo remoto
dell’Olanda, da tutte ho la conferma
d’essere, prima ancora che incompreso,
detestato.
DE VRIES
Non hai mai dato troppo
conto a pettegolezzi e maldicenze.
SPINOZA
E’ vero, ma la guerra non va bene
per noi.
DE VRIES
Per noi? parlare non ti ho mai
sentito in questi termini di fatti
che solo di traverso, e leggermente,
ci riguardano. Come può pertanto
una qualunque guerra preoccuparti?
SPINOZA
Questa non è, per noi, una qualunque
guerra. Ma fosse per le nostre truppe
l’esito del conflitto fortunato,
quale vantaggio, vincitori o vinti,
per noi che ricerchiamo il vero senso
delle vicende umane, ci sarebbe
dalla guerra? S’inasprirebbe, credo,
anche il contrasto con i Calvinisti,
e in loro crescerebbe la paura,
il sospetto che noi, atei confessi,
li tradiremmo. Si verrebbe, quindi,
calunniati, perseguitati e infine
barbaramente trucidati. Questa
non sarebbe la prima volta. Come
l’Inquisizione in Spagna, anche Calvino
ha istituito tribunali. Il primo
eretico bruciato, fu bruciato
a Ginevra, non a Toledo. Tutte
le chiese si assomigliano. E Calvino
ha fondato una chiesa più severa,
più dura e intransigente della chiesa
di Roma. Non si può dimenticarlo.
Non ho paura, ma resisterebbe
chi tra di noi alla caccia dell’ateo?
DE VRIES
Vuoi dunque ancora rinviare il giorno
in cui vedremo pubblicati i libri
dell’Ethica?
SPINOZA
Lo devo rinviare.
Non è maturo il tempo, ancora è presto,
anche in Olanda, per chi parla o scrive
la lingua della verità, ch’è poi
la lingua della libertà. In Italia,
a Roma, fu bruciato Bruno, a Roma
fu condannato Galilei. Ma credi
che qui con me sarebbero più miti
i Calvinisti? Anch’essi hanno princìpî
e dogmi da difendere, che credi?
E non perdoneranno l’imprudente
che ne rimuove i presupposti. Questo
accade in ogni chiesa. Anche in Olanda.
DE VRIES
Non è ancora accaduto che in Olanda
fosse perseguitato per il suo
pensiero o per la sua filosofia
qualcuno e che l’autorità civile
lo condannasse.
SPINOZA
Non tra i Calvinisti,
ancora. Ma più di una volta, invece,
tra gli Ebrei.
DE VRIES
Ma il tuo caso non fa testo.
SPINOZA
Perché? Non sono il solo.
DE VRIES
Di chi parli?
SPINOZA
Hai già dimenticato Urièl da Costa?
Ed altri ce ne furono. Ma il punto
non è questo. L’esempio degli Ebrei
potrebbe funzionare da richiamo
e da modello anche per i Cristiani,
e non solo per Amsterdam. Le chiese
d’Olanda non aspettano nient’altro
che l’episodio giusto nel momento
giusto per scatenarsi. E lo faranno.
I Calvinisti aspettano il momento.
E’ una sfida d’intransigenza. Come
gli Ebrei, anch’essi vogliono lo scontro,
e amerebbero sbandierare in piazza
anch’essi uno scomunicato, forse
perfino alzare com’esempio un rogo
Non l’hanno osato, ancora. Ma è cambiato
oggi il clima politico. Potrebbe
ormai pur troppo simile sciagura
capitarci anche qui. Del resto sembra
che ciascuno si forzi anche in Olanda
di non vedere in ciò che scrivo e dico
il mio vero pensiero, ma soltanto
le fandonie che vuole e che suppone
di leggervi abbozzate il più imbecille
dei lettori. Non ci capisce niente,
ed allora per rabbia mi calunnia,
mi condanna. Mi accusa di ateismo.
DE VRIES
abbracciandolo:
Bento, che dici? la tua vita stessa,
la tua condotta, il tuo abbigliamento,
la tua frugalità, la tua misura
a tavola, la sobrietà nel bere,
dimostrano lo stile di un asceta:
un boccale di birra, una tirata
di pipa sono i massimi piaceri
che ti concedi. Chi potrebbe dunque
rimproverarti eccessi, o rinfacciarti
dissolutezze? Esempio la tua vita
di morigeratezza, di equilibrio,
sarebbe per Democrito, Epicuro.
Di letizia, serenità, gaiezza.
SPINOZA
Ma chi guarda, per giudicare un uomo,
la vita che si vive, il bene che si compie,
gli amici che si vedono con lui?
La vita di un filosofo conferma
quasi sempre la pessima opinione
che il volgo presuppone del pensiero
di cui l’autorità lo accusa: sembra
una persona onesta, che conduce
una vita frugale? Certamente
è un ipocrita, un dissimulatore,
che cela una natura depravata.
Beve vini francesi, si drappeggia
in abiti di Spagna? E’ un debosciato.
Comunque si comporti, la sua vita
è additata ad esempio di condotta
perversa, di carattere malvagio.
Perfino l’amicizia è sospettata
di attrazioni viziose, di complotti
criminali. Il giudizio è proferito
senza processo, senza comprovarlo,
la prova di verifica raccolta
dal pregiudizio che l’ha giudicato.
Quasi una petizione di principio.
Una prova ontologica del male,
una farsa teologica, l’inferno
assicurato in terra, per negargli
qualunque accesso all’estasi divina,
proprietà personale della chiesa.
Malvagio, in quanto lo si crede tale.
Peccatore perché se ne sconosce
il peccato.
DE VRIES
Noi ti difederemmo.
SPINOZA
Amico mio, diletto, amato Simon,
nessuno può difendermi dall’odio
di chi odia di me non il pensiero,
ma l’audacia e l’orgoglio di pensarlo,
e dunque l’insoffribile arroganza
della mia libertà. Peggio ancora,
l’insolenza di chiederla per tutti,
quest’esecrata libertà. La chiesa
ne ha paura, la crede una minaccia
per la sua sussistenza. Forse è vero.
Chi presterebbe fede alle sciocchezze
dei teologi, quando a tutti fosse
illustrata, insegnata, la sostanza
delle nuove scoperte della scienza?
Non troverei più scampo. Chi potrebbe
difendermi, se finalmente tutti
d’accordo, lo stadhouder17, i rabbini,
la nuova gerarchia dei Calvinisti,
decidessero insieme di annientarmi?
Nessuno può difendermi dall’odio
di Cristiani ed Ebrei coalizzati
contro la mia depravazione di ateo,
di mestatore infido dei credenti.
DE VRIES
Ma Bento! non potrai dal nostro amore
difenderti.
SPINOZA
Dal vostro amore, Simon?
è la fonte per me d’ogni letizia,
lo è come nessun’altra cosa al mondo.
Più sereno le mie giornate vivo,
se percepisco, anche lontani, il vostro
amore confortarmi, e rafforzare
il mio spirito, indurlo con dolcezza
a non piegarsi, anzi a perseverare
sulla via intrapresa di ricerca
del vero. Nei momenti di sconforto,
che spesso, amico mio, all’improvviso
mi aggrediscono proprio quando sembra
che il mondo intero mi contrasti, e credo
allora di lasciarmi dominare
dalla malinconia, ecco che invece
il ricordo dolcissimo di voi,
della vostra amicizia, del comune
sentire e del pensare, mi ridesta
di nuovo alla mia gioia.
DE VRIES
Lo sappiamo.
E’ lo stesso, che credi? anche per noi,
quando pensiamo a te.
SPINOZA
Chi si ricorda
di una cosa che gli ha una volta dato
piacere, ardentemente brama quindi
ripossederla come quella prima
volta, per trarne un’altra volta quello
stesso piacere. Come non potrei
ricordarmi, perciò, di te, mio Simon,
e ricordarmi insieme del piacere
che mi regala la tua amicizia?
DE VRIES
Non passa giorno, che pensando ai nostri
gioiosi incontri di filosofia,
alle lunghe giornate di ricerca
sui principi e le leggi delle cose,
alle nostre continue riflessioni
sul senso di quei moti che sentiamo
turbare i sensi ed inquietare spesso
anche la mente, tutto ciò che ancora
chiami meditazione della vita,
com’era ed è, per noi, la discussione
con te d’ogni problema, un conversare
di noi stessi, non passa giorno, quando
penso a questi pensieri, a queste cose,
ch’io non mi senta un tremito nel petto
per la strada percorsa tutti insieme
sulla via della conoscenza e quindi
della via che conduce alla letizia,
di che si riconforta e gode sempre
la mente di chi sonda la natura,
e conosce le cause delle cose.
SPINOZA
Non adularmi, Simon. Contentezza
non si prova per la virtù premiata,
ma premio alla virtù ci viene dato
con l’essere virtuosi. E questa è vera
beatitudine. In questo, e non in altro,
sta per l’uomo la vera conoscenza.
DE VRIES
Non volevo adularti. I miei pensieri,
quando parlo con te, li lascio andare
liberi come vengono dal cuore.
SPINOZA
Dovresti, almeno qualche volta,
farli venire anche dall’intelletto.
Ride. De Vries gli stringe una mano.
Sapessi, Simon, come sono grato
al tuo cuore! Perché nella tua mente
non nascono pensieri più profondi
dei pensieri che nutri nel tuo cuore.
Di te fu presto l’animo sereno
che attrasse la mia mente. Dammi un uomo
che non sia schiavo delle sue passioni,
e lo custodirò dentro il mio cuore,
anzi nel cuore del mio cuore,
e questo sei per me, per questo ti amo.
DE VRIES
Ora sei tu che cerchi di adularmi.
Ma non ci casco. E ti ricambio, ti amo
anch’io. Ma ritorniamo ai dolorosi
discorsi che ci facevamo prima.
SPINOZA
Considero le azioni e i desideri
umani come fossero nient’altro
che superfici, corpi, punti, linee,
volumi. Questo mi scatena contro
il livore dei preti, l’astio e l’odio
dei teologi. Simon, tu sapessi
in questa lotta come mi sostiene
la tua fiducia, la condivisione
dei miei pensieri, la tua amicizia.
DE VRIES
Che fai? ripeti cose che hai già dette?
Insisti ad adularmi? Ti ripago
con la stessa moneta, l’hai voluto.
E come un personaggio di Terenzio.
Sono un uomo, e di ciò ch’è umano niente
m’è estraneo. Ti dico dunque questo:
non fu per Aristotele Menandro
allievo più affettuoso, per Platone
Aristotele, o chi vorrai degli altri,
come di gratitudine il mio cuore
batte per te, che mi scegliesti amico,
e allievo a condividere la tua
filosofia, la nuova scienza d’una
verità che non viene rivelata
da qualche dio, ma con fatica invece
indagata, cercata, analizzata.
SPINOZA
Sì, questa fu la mia lezione e vedo
che l’hai perfettamente intesa, Simon.
Ma sai anche di quali e quanti dubbi
sia seminata questa nostra strada,
come non si conosca mai la meta
che toccheremo, mai la fine in cui
completarsi vedremo la ricerca,
ammesso che una fine possa darsi
di qualunque ricerca che si ponga
come scopo la conoscenza certa
delle cose. Le favole le lascio
volentieri ai devoti ed ai credenti
di qualsiasi religione e fede.
DE VRIES
Anche questa è una fede. Lo concedi?
SPINOZA
Non ha miti.
DE VRIES
Ma metodi, sicuro,
per sgominarli. Ed ultima sua meta
la chiarezza con cui si guarda il mondo,
la precisione con cui si scompone
il mistero dell’universo. Forse
mai veramente disvelato, eppure
tenacemente, faticosamente,
indagato, cercato, analizzato.
SPINOZA
Altra lingua non parla la natura
che questa, ed è la lingua con cui parla
Dio, che nella natura si nasconde,
o piuttoso si manifesta, sola
verità che una scienza può capire,
e fuori della quale non c’è scienza,
l’uomo non può né deve oltepassarla.
DE VRIES
Eppure un dubbio, amico, qualche volta
mi turba, mi sospende a riflessioni
che fanno vacillare la certezza
di un’unica sostanza. Soprattutto
la certezza che necessariamente esista.
Se di Dio l’esistenza è la sua stessa
essenza, e non sarebbe in nessun modo
concepibile un Dio che non esiste,
di quale Dio parliamo, del Dio vero
che affermiamo esistente, o non piuttosto
di un concetto di Dio teorizzato
e presupposto da noi stessi? Sembra
un circolo vizioso, dimostrare
qualcosa, l’esistenza di qualcosa,
con l’idea stessa che si ha della cosa.
SPINOZA
Ed è così, se si ha di Dio l’idea
che hanno i Cristiani. Che hanno anche gli Ebrei.
Un’idea mitologica, irreale.
Se invece Dio è l’unica sostanza,
è la Natura in cui viviamo, se anzi
è la Realtà di cui facciamo parte,
e che non è possibile negare,
puoi pensare che qualche cosa esista
al di fuori, al di là, di questa sola
ed unica sostanza, nella quale
immersi e dalla quale assimilati
conduciamo la nostra intera vita?
Dopo di questa vita, per ciascuno
di noi non c’è più nulla che di noi
serbi una traccia. Ritorniamo dentro
la macchina perfetta che produce
e distrugge la vita. Diventiamo
un granello, un minuscolo granello,
della polvere che nel cosmo ruota
e si volve in un vortice infinito
di momento in momento in uno spazio
di tempo senza origine né fine.
Si spalanca un abisso. Ti spaventa
la possibilità di scomparire
per sempre?
DE VRIES
No. Ma mi spaventerebbe
di più la previsione di sbagliare
sia l’analisi che l’argomentazione.
Sono malato. Nel mio testamento
ti lascio erede d’ogni mia ricchezza.
SPINOZA
No, non farlo. Mi basta un vitalizio.
E tua sorella Trijntje, sono certo,
onorerà l’incarico. Non sono
per lei solo l’amico del fratello.
M’ama come se fossi suo fratello
anch’io. Ma che ti prende? Scaccia, queste
cupe premonizioni. Allieterai
a lungo ancora, Simon, le giornate
che mi restano, delle tue, può darsi,
anche più brevi. Assai più solitarie,
certamente.
DE VRIES
Non credere che io parli
a vanvera. Davvero non sto bene.
Sono malato. C’è la peste. Il corpo
indebolito dalla malattia
potrebbe abbandonarmi, ed il tuo Simon,
contagiato dal morbo, ci metterebbe
poco anche lui a prendere congedo
dagli amici, e da te, mio dolce Bento.
SPINOZA
Ma spero, in ogni caso, e voglio, e bramo,
che simile sciagura, la più nera
che mai potrebbe capitarmi, accada
il più tardi possibile.
DE VRIES
Più nera
della peste che abbatte tanti figli
della nobile Olanda, soprattutto
i più giovani, e che anche te costringe
a cercare rifugio in una casa
di campagna?
SPINOZA
Non so pensare, Simon,
alla mia vita, ai nostri studi, senza
il conforto di te, senza il tuo sguardo
che segue sulla pagina le righe
ch’io sto con te leggendo, senza il grido
familiare, da sotto, sulla strada,
della tua bella voce che mi chiama,
quando capiti all’improvviso a Voorburg,
o là fuori, quando entri nel giardino,
e vieni a visitarmi nel Frutteto18
di Schiedam, dove vive tua sorella,
non so pensarmi, Simon, non so proprio
pensarmi né pensare un giorno solo
senza l’attesa d’un corriere, oppure
d’un amico comune che mi rechi
tue notizie, tue lettere, pensarmi
senza il costante, vigile pensiero,
che mi correggi, segui il mio lavoro,
mi consigli, sostieni, m’incoraggi.
Ah! non lasciarmi, Simon, mi potrei
dimenticare di me stesso e darmi
alla disperazione.
DE VRIES
Ti conosco
troppo bene, mi sopravviverai
con dolore, ma tuttavia sereno.
Accetterai la mia scomparsa, come
vivrai la tua: non ti sarà permesso
di evitare nessuna delle due.
E ciò ch’è necessario, non possiamo
impedirlo. Sarebbe dunque vano
lamentarsene, ed inasprire il pianto
con puerili ululati. Detto questo,
so che però non mi dimenticherai.
E che vivrò nel tuo ricordo. Il solo
modo che abbiamo di restare in vita
dopo la morte. Ti amo, Bento. E sai
che l’amicizia che ci lega forse
può sciogliere tra noi solo una cosa:
lo sparire dell’ultimo ricordo
di quello di noi due che sopravvive
all’altro. Il soffio del sopravvissuto
con l’estinguersi estinguerà per sempre
della nostra amicizia anche il ricordo.
SPINOZA
No. Sopravviverà nei miei pensieri,
nei miei scritti, che non avrei pensato
senza di te, così come li ho scritti,
anzi pensati come li ho pensati.
Si abbracciano. Entra TRIJNTJE JOOSTEN DE VRIES.
TRIJNTJE
Disturbo ?
De Vries e Spinoza si sciolgono dall’amplesso.
DE VRIES
No, per niente. Si parlava,
tra l’altro anche di te. Ti vuole molto
bene, il nostro diletto e solitario
amico.
TRIJNTJE
Gliene voglio molto anch’io.
Mi basta, inoltre, che ti si dichiari
amico e per il bene che ti voglio
non posso non amarlo. Ma venivo
a chiedervi se gradireste bere
un boccale di birra.
DE VRIES
Volentieri.
Anche tu, Bento?
SPINOZA
Solo se anche Trijntje
si unisce a noi.
TRIJNTJE
Sarò felice, Bento,
di bere anch’io con voi. Sì, vado e torno.
Esce.
DE VRIES
Ti ha chiamato per nome.
SPINOZA
Dividiamo
la stessa casa. Quale meraviglia
se quasi mi considera un fratello?
Rientra TRIJNTJE, con un vassoio sul quale poggiano tre boccali di birra.
TRIJNTIE
Ecco qua. La migliore del villaggio.
Ciascuno prende un boccale.
DE VRIES
alzando il boccale:
Ma che felicità trovarci insieme!
Vorrei che il tempo si arrestasse adesso
alla perfetta e lieta concordanza
di questi attimi in cui noi tre sentiamo
pensare e palpitare insieme i nostri
cuori. Propongo un brindisi alla strana
e singolare unione delle nostre
anime.
SPINOZA
alzando il boccale:
Simon, Trintje, la delizia
di udirvi, stare qui con voi, sentire
dall’uno all’altro scorrere lo stesso
sentimento di dedizione, udire
nei nostri cuori battere lo stesso
desiderio di libertà, di amore,
mi sembrerebbe, se non la sentissi,
la fantasia di un ebbro, un sogno strano.
Ma percepisco invece nella mente
il flusso interminabile, infinito,
del pensiero che muove l’universo.
Vi sembro un esaltato? Ma sapeste
com’è grande l’amore che mi scorre
nelle vene per voi. Sì, per voi due,
amici miei, fratelli miei, delizia
del mio pensiero. Vi amo più di ogni altra
cosa al mondo. Brindiamo dunque a questa
perfetta e inimitabile amicizia.
DE VRIES
sempre con il boccale alzato:
Benedetto, che giusto questo nome!
Tu, mio maestro, amico, mio modello
di vita. T’amo per ciò che mi dai,
e ancora più per quello che mi chiedi,
questa mia amicizia.
TRIJNTJE
alzando il boccale:
Ed io, sorella
di Simon, t’amo, Benedetto, proprio
per l’amicizia che hai per mio fratello.
Toccano tra loro i boccali e bevono.
SPINOZA
Simon, prendi quei fogli.
Indica la scrivania.
Devo ancora
mostrarti quali nuove riflessioni
m’abbia ispirato la meditazione
sulla natura del pensiero.
Trijntje esce.
Voglio
farti leggere come vada avanti
il lavoro dell’Ethica. La quinta
parte, l’ultima, stabilisce i nessi
che intercorrono tra la mente e il corpo,
e dunque quali sono i presupposti
che fondano la libertà dell’uomo.
Vorrei infatti dimostrare quanto
siano fuori strada tutti quelli
che cercano una libertà assoluta
per l’anima, credendo di trovarla
nella separazione della mente
dal corpo. Non potrebbe tra la mente
e il corpo, invece, il nesso dimostrarsi
più saldo, se si pensa che la mente
è una funzione stabile del corpo,
e cessa di pensare quando il corpo
muore, cessa a quel punto di animarlo.
Il corpo umano esiste in uno stato
conforme al semtimento che ne abbiamo.
Nulla, credimi, è predeterminato
prima che possa il pensiero pensarlo.
Ma il pensiero sta nelle cose. Prima dunque
che il pensiero le pensi. Mi capisci?
Voglio dire che tutta la Natura,
come ci appare, come la viviamo,
come ci assorbe, è già tutta pensiero.
C’è tuttavia qualcosa, se rifletti,
che sembra continuare in ogni corpo
una sostanza eterna che non muore,
qualcosa che partecipa dei modi
dell’eterna, infinita intelligenza
che governa le leggi universali
che muovono le stelle, e sulla terra
fanno nascere l’uomo e gli animali,
fanno scorrere e mescolarsi i fiumi,
agitarsi gli oceani, sbucare
e germogliare gli alberi e le piante:
Questa è la sola parte che rimane,
dopo la morte, ma non come cosa
che abbia una vita separata, o cosa
che abbia una vita singolare, possa
essere chiusa e organizzata in una
vera e propria vita individuale,
un’unica coscienza di se stessa,
vive invece come una tra le parti
dell’energia divina, uno tra i modi
dell’intelletto che conosce il mondo.
Vieni, leggiamo insieme. Mi dirai
se la dimostrazione delle nuove
proposizioni fu da me condotta
con chiarezza, fu quindi elaborata
con rigore e corretta distinzione.
5.
La stessa stanza della scena 4. Primavera 1965.
SPINOZA, CHRISTIAAN HUYGENS.
SPINOZA
Qual buon vento conduce, amico, il vostro
passo irrequieto in questa inaspettata
villeggiatura, che m’immaginavo
per me più fuggitiva, e vedo invece
che m’obbliga a restare in mezzo al verde
di questi alberi, frastornato, e perso,
dal profumo di questi fiori?
HUYGENS
Quello
stesso vento che a voi il verde ha fatto
scegliere di questi alberi, il profumo
inseguire dei fiori del frutteto:
la peste. L’Aia sembra diventata
un deserto, o piuttosto un ospedale
di malati incurabili.
SPINOZA
Peggiori
malattie ci minacciano la vostra
bella Parigi, e l’industriosa Londra.
Mi dicono che avete approfondito
e precisato le scoperte fatte
sul moto della luce. E’ sorprendente
già l’idea che sia corpo anche la luce..
HUYGENS
Un corpo che si muove nello spazio
come un’onda, con moto regolato
dalle leggi del moto di una curva.
Sono corpi che ruotano, pensate,
anche gli anelli stessi di Saturno.
Frammenti d’un satellite, può darsi.
SPINOZA
Questo conferma ciò che ho sostenuto
sempre, che il nostro errore è separare
la materia e il pensiero. Sono invece
un’unica sostanza che pervade
tutte le cose. Ormai ne sono certo.
L’infinita sostanza che chiamiamo
Universo, è la stessa dappertutto.
E nello stesso modo, dappertutto,
dovunque c’è, germoglia e si sviluppa
la vita. E con la vita anche la morte,
la decomposizione, o no, piuttosto,
quella che s’è chiamata, che si chiama
da troppi ancora decomposizione,
ma che nei fatti è solo movimento,
mutazione, trasformazione d’una
sola materia, che ci sembra inerte
solo perché la nostra è una durata
più breve della sua evoluzione.
Ma ditemi. So che a Parigi avete
conosciuto Pascal.
HUYGENS
L’illuminato?
Vorrebbe farlo credere, Ma penso
che abbia nel suo pensiero assai più spazio
il dubbio che una qualunque certezza.
SPINOZA
E perché no? Certezza c’è maggiore
per chi la verità non la possiede,
ma la cerca, che dubitare? Basta
non fermarsi a quel punto, proseguire
anche quando la strada sembra impervia,
pericolosa. Sono stato espulso
dai rabbini di Amsterdam. Si dice
nelle Università che sono un ateo.
E le chiese mi attaccano. I seguaci
di Calvino non sono meno chiusi
dei luterani, e gli anglicani a Londra
sembrano intolleranti quanto a Roma
i cattolici, tutti quanti ormai
mi vorrebbero morto. Ma una cosa,
e soprattutto una teoria, non cessa
di essere verità, per la ragione
che molti non l’accettano. Un quadrato
non sarà mai una circofenrenza.
HUYGENS
Siete l’uomo più amabile del mondo.
Eppure invece fa rabbrividire
nel vostro modo di pensare il gelo
d’un rigore che non concede quiete,
non ammette eccezioni, non perdona
paure, debolezze, timidezze.
SPINOZA
Perché dovrei? Vedrebbe forse un cieco
se nego che sia cieco? Morirebbe
più dolcemente il tisico se dico
che la sua morte per soffocamento
non sarà lenta, né sarà un sentirsi
soffocare?
HUYGENS
Sì, ma perché chiarirlo?
precisarlo? spiegarlo?
SPINOZA
E mascherarlo,
dissimularlo, nasconderlo, a che scopo?
L’orrore va guardato in faccia. Solo
così potremo forse escogitare
qualche sistema che lo renda meno
pericoloso, o piuttosto qualche cura
che ci guarisca dal perverso istinto
di voltare la faccia da qualunque
parte per non vederlo. Ogni creatura,
sul pianeta, non smette di cercare
le vie di scampo all’estinzione, chiede,
rinviene forme di sopravvivenza:
soltanto l’uomo sembra manovrare
per bloccarne, nel caso, non soltanto
la scoperta, ma di smontarne l’uso,
disattivare il suo funzionamento.
L’ignoranza non è mai stata buona
consigliera di niente, tanto meno
d’una salvezza.
HUYGENS
Come siamo giunti
a queste conclusioni? Parlavamo
di Pascal.
SPINOZA
Ne parliamo ancora. Il dubbio
che dopo non ci sia quel paradiso
che ci aspettiamo, e che comunque il mondo
in cui viviamo sia per nostra colpa
già un inferno, lo ha espresso chiaramente.
A patto di scommettere sul nostro
appartenerci e non appartenerci.
E’ probabile che quest’esistenza
non sia la sola, non comunque quella
che crediamo di vivere. Vi prego.
Andate in pace. Molto resta ancora
da pensare per noi, ma soprattutto
per me. Fate buon viaggio. E’ quasi sera.
Vedete? Nel giardino già non sono
che un’ombra nera i rami del frutteto.
E incamminarsi soli per la nuda
campagna in questi tempi di paure
non è molto sicuro. Dio vi assista.
HUYGENS
Mi congedate?
SPINOZA
Vi congeda l’ora,
e il pericolo della poca strada
che dovrete percorrere comunque.
Ma basta per il cuore di chi pensa
che il male provocato all’altro possa
essere forse un bene per se stesso.
Ma della probabilità d’un dio
personale, o del calcolo che possa
prefigurarlo parleremo insieme
un’altra volta. Come parleremo,
se lo vorrete, della congettura
d’un calcolo che possa misurare
l’infinito. Venite spesso. Avremo
modo di approfondire queste nuove
teorie e gli strumenti singolari
che sembrano promettere alla nostra
incessante ricerca del reale.
Non della verità, né tanto meno
della Natura, né questioneremo
di Dio, se c’è, non c’è. Problemi troppo
vasti per la pochezza della mia
filosofia.
HUYGENS
Eppure, tanto a Leida
che a Parigi si dice che scriviate,
o vi accingiate a farlo, proprio un libro
sulla Natura e sulla concezione
giusta di Dio.
SPINOZA
Non c’è una concezione
che sia più giusta. C’è la deduzione
dell’intelletto, l’intuizione esatta
che lo coglie con l’evidenza stessa
di ciò che riteniamo vero. Il libro
di cui parlate è per ora un abbozzo,
un quaderno di appunti scombinati.
Solo quando lo riterrò compiuto
sarà dato alle stampe e siate certo
che voi allora lo riceverete.
HUYGENS
Ma di che cosa parla?
SPINOZA
Il mio pensiero,
almeno in parte, già lo conoscete.
E’ l’ordine ch’è nuovo. Ma di questo
anche voi, come gli altri, conoscerete
a suo tempo la forma e il contenuto.
Scusatemi, però, se adesso devo
per forza farvi fretta. A congedarmi
mi costringe da voi la molatura
d’una lente che devo consegnare
domani, voi sapete che non amo
mai ritardare il mio lavoro. E’ tardi.
Vi prego: andate. Ritornate presto.
HUYGENS fa un inchino e esce.
6.
Studio di Spinoza della casa di Voorburg. 1665.
SPINOZA, WILLELM BLIJENBURGH.
BLIJENBURGH
Aspettavo da mesi il grande onore
di essere ricevuto da Spinoza,
forse oggi il più famoso, il più erudito,
certo, tra gli scienziati e tra i sapienti
che illustrano l’Olanda. Il vostro tempo,
lo immagino prezioso. Permettete,
perciò, ch’io prenda appunti delle cose
che mi direte. Ho letto con profitto
quanto scrivete di Cartesio, eppure
non m’è chiaro che cosa in quello scritto
si debba reputare esposizione
dei princìpi enunciati da Cartesio
e che cosa le vostre personali
conclusioni.
SPINOZA
Per un mercante, come
voi siete, attivo in quasi tutto il mondo,
resta, suppongo, tra le occupazioni
di banche e di contratti, tra gli affari
intrapresi con abili mercanti,
e lo scambio di merci e di denaro,
poco tempo da destinare al vaglio
del pensiero. Ma ditemi che cosa
o quali punti, a vostro avviso, io debba
chiarirvi. La mia prosa è molto secca,
viene subito al nodo dei problemi.
Ma non per questo credo che si debba
giudicare difficile o addirttura
poco chiara.
BLIJENBURGH
Difficile, comunque,
per uno come me, che non frequenta,
assiduamente, come voi, starei
per dire quotidianamente, i testi
dei filosofi: sono quasi solo
nomi per me Platone, Cicerone,
Aristotele.
SPINOZA
Dei moderni, dunque,
tranne gli appunti su Cartesio, scritti
da me, come un’introduzione ai nuovi
principi del pensiero e della scienza,
nessun’altra lettura?
BLIJENBURGH
No, nessuna.
Spero, però, che questo mio difetto,
o piuttosto mancanza di occasioni,
non per mia colpa, nell’approfondire
un campo del sapere che mi attrae
e mi appassiona, non costituisca
da parte vostra un valido pretesto
per troncare la nostra discussione.
SPINOZA
molto seccato:
Non temete. Vi ascolterò comunque.
Parlate. Ma cercate, ve ne prego,
di non tergiversare e dilungarvi
in parentesi, scoli, digressioni.
BLIJENBURGH
Scoli?
SPINOZA
stizzito:
Commenti.
BLIJENBURGH
Grazie. Ora capisco.
scrive sul taccuino.
SPINOZA
impaziente:
Cominciate pertanto a espormi i vostri
dubbi.
BLIJENBURGH
Per prima cosa, non capisco
che posto attribuiate voi nel piano
della creazione all’anima dell’uomo.
Se penso a come sia fugace, breve,
la vita nella quale aspetto in ogni
momento di morire, ma dovessi
tuttavia giudicare di finirla
per sempre, senza la speranza d’una
continuazione in altro stato, senza
la promessa che la Scrittura sembra
garantirmi della contemplazione
santa di Dio, mi riterrei davvero
la più infelice creatura del mondo,
più in basso delle bestie, ad esse almeno
è tolta cognizione della fine,
me invece renderebbe disperato
l’attesa della fine della vita,
che non altro per me dunque sarebbe
che l’attesa del nulla. A questo, sembra,
vorrebbero condurmi le opinioni
che leggo esposte in questo vostro libro
sulle dottrine di Cartesio. Vero
sarebbe, se non ho capito male,
che cessando di esistere qua in basso,
io cesserò di esistere in eterno?
Si prepara a riempire il taccuino di appunti.
SPINOZA
Vi figurate un Dio ch’è solo il sogno
della gente comune, un Dio volgare
che s’adira, che premia e che castiga.
Ma le cose del mondo vanno in altro
modo. Il male non è da Dio causato,
né difetto di qualche corruzione
della materia. O d’una colpa antica,
che abbia commesso l’uomo nel principio
della sua storia. Il male è privazione
di stato, come l’acqua che si muta
in ghiaccio. Se a noi sembra una mancanza
della natura, ciò si deve solo
al limite dell’intelletto umano,
circoscritto in un piccolo orizzonte,
l’angolazione della sua veduta,
che non è una veduta universale.
BLIJENBURGH
alzando gli occhi dal taccuino:
Non mi avete risposto. La natura
dell’anima è mortale o immortale?
Non ho capito bene con che scopo
mi parlate di un Dio “volgare”. Quello
in cui crede la gente incolta dunque
non sarebbe per voi il vero Dio?
il Dio delle Scritture? di Calvino
e di Lutero?
SPINOZA
Ma se l’uomo, come
lo conosciamo, sembra una sostanza
unica, inseparabile, supporre
perché dovemmo in lui la coesistenza
di due sostanze? una sostanza il corpo,
l’altra sostanza, l’anima. Nel mondo
non esiste che un’unica sostanza.
Perché dovrebbe l’uomo possederne
due, una materiale, che sarebbe
il corpo, e un’altra, immateriale? il corpo
mortale e l’altra, l’anima, immortale?
Sono leggende. La Ragione niente
farebbe d’una duplice natura
sospettare o di qualche differenza
tra l’uomo e gli animali, salvo il fatto
che l’uomo parla. Per il resto l’uomo
fa figli come un asino, un cavallo,
un cane, la sua femmina li allatta
come fanno le femmine dei lupi,
dei cervi, delle scimmie, dei maiali.
BLIJENBURGH
alza gli occhi dal taccuino che ha riempito di appunti:
Mi pare che sposiate con audacia
le dubbie e riprovevoli teorie
di fisici e materialisti.
SPINOZA
Avete letto
almeno Robert Boyle?
BLIJENBRUGH
Non so nemmeno
chi sia costui. Ma dal suo nome sembra
un inglese.
SPINOZA
Sì, certo, e membro illustre
della Royal Society. Studioso
dei gas, del mescolarsi e separarsi
degli elementi, ne deduce i moti,
le leggi, le trasformazioni, solo
misurando la quantità, le fasi
della materia. A ciò gli basta il solo
calcolo matematico. Non hanno
bisogno le sue deduzioni di altre
dimostrazioni.
BLIJENBURGH
E come può provare
la verità di tali deduzioni
senza il supporto che gli fornirebbe
la Scrittura?
SPINOZA
Ma che bisogno abbiamo
della Scrittura quando la ricerca
riguarda la Natura?
BLIJENBURGH
In ogni caso
mi meraviglio che un patriota, come
voi certamente siete, legga libri
redatti da un nemico dell’Olanda.
SPINOZA
La scienza non ha patrie.
BLIJENBURGH
Ma le patrie
hanno nemici.
Si accorge che ha smesso di prendere appunti. Apre il taccuino:
Ma torniamo al nostro
problema. Come fate a sostenere
che l’anima non è immortale, quando
le Scritture sostengono il contrario?
SPINOZA
Che pazienza!
Blijenburgh lo fissa meravigliato.
Voi mi tirate in ballo
le Scritture: ma in quale libro, in quale
passo, ditemi, voi leggete scritto
che l’anima è immortale? In ogni caso,
nel contrasto tra la filosofia
e la Rivelazione, nel dissidio
che potrebbe crearsi tra Ragione
e Fede, non dovrà farci da guida
la Scrittura, ma la Ragione. Il vero
di cui parla la Bibbia, non è il vero
della Natura, ma della Morale.
La Natura ci parla altro linguaggio.
Ditemi: affidereste voi la cura
di un malato a qualcuno che non sia
medico, chiedereste a chi non sia
architetto la costruzione d’una
chiesa, la ferratura d’un cavallo
a chi non sappia fare il maniscalco?
Dunque perché della Natura tutti
credono di sapere disquisire,
e ignorano la fisica, non sanno
niente di matematica, né tanto
meno di astronomia, di geometria,
di chimica, non hanno letto Newton19
né Galilei, Copernico, Keplero?
Quando si parla di filosofia,
di scienza, non dobbiamo adoperare
il gergo dei teologi, dobbiamo
servirci della lingua della scienza.
La religione fa di Dio un uomo,
un uomo potenziato, onnipotente,
onnisciente, perfetto, trascendente,
ma sempre con le proprietà di un uomo,
gli attribuisce infatti sentimenti
umani, come l’odio, come l’ira,
la gelosia, l’amore, lo sentiamo
nei salmi, nei Profeti, nella Legge,
gridare, maledire, condannare,
scomunicare, come un fattucchiere.
Ma per la scienza Dio, o la Natura,
sono la stessa cosa, e non si addice
attribuire alla Natura o a Dio
gli attributi dell’uomo. Mi accadesse
di sbagliare nella dimostrazione
di qualche legge un calcolo e trovare
quindi falso il suo risultato, posso
sempre riesaminare la questione,
ed acquisita la dimostrazione
corretta, non potrà nessuna Bibbia
inficiarne la verità. Sapete
del resto molto bene che non cessa
nessuna verità d’essere vera,
solo perché da molti è ritenuta
non vera. Fu bruciato Bruno, venne
Galilei condannato, non per questo
il bel pianeta che chiamiamo terra
non gira intorno al sole.
BLIJENBURGH
Sfoglia il taccuino, legge qua e là. Non si raccappezza:
Non ricordo
bene tutte le vostre articolate
dimostrazioni. Vi dispiacerebbe
ripeterle? Vi sento un qualche odore
d’eresia. Ma voglio essere sicuro
di non avervi può darsi frainteso.
SPINOZA
Frainteso? No, non credo. Ma non serve.
Blijenburgh lo fissa meravigliato.
Perché mi rendo conto che i principi
primi della filosofia che espongo,
divergono dai vostri.
Blijnburgh scrive freneticamente, ma di quando in quando lo fissa in faccia allibito:
I nostri mondi
sono molto diversi. Voi cercate
la conferma di ciò che già credete
debba essere la verità. Cercate,
insomma, una conferma della Bibbia.
Che verità sarebbe, infatti, quella
semplicemente imposta da una chiesa,
da una comunità, o dal consenso
di banali credenze popolari?
Abbiate dunque l’accondiscendenza,
Blijenburgh, d’accomiatarvi. Non abbiamo
niente da dirci. Fate buon ritorno
ai vostri affari. E quando, tra un affare
e l’altro, avrete tempo e andrete in chiesa,
per pregare, vi prego d’implorare
da Dio per questo strano peccatore
l’indulgenza e la grazia di un perdono
che non merito, ma però confido
accordato da Dio a un esemplare
credente, come voi vi dimostrate,
e, vedo, ci tenete a dimostrarlo.
Sia felice il ritorno che farete
a Dordrecht. Ma vogliate perdonarmi,
adesso, se vi chiedo di lasciarmi
tornare in pace ai miei diletti studi,
e scartocciare le sudate carte
di cui non sembra che nutriate
lo stesso amore che consuma
la mia mente e riempie le giornate
che l’occhio le consulta e le trascorre.
Dio vi accompagni. Ma chiudete dietro
di voi la porta della stanza, quando
sarete uscito, e più non mi cercate.
BLIJNBURGH esce sbattendo la porta.
7.
L’Aia. Atrio nella casa di Hendrick Van der Spyck. 1672.
HENDRICK VAN DER SPYCK, SPINOZA, SIGNORA VAN DER SPYCK, DUE GIOVANI..
SPINOZA
agita un cartello con una scritta:
Ultimi barbarorum!
VAN DER SPYCK
Per amore
di Dio, Spinoza, non fate pazzie.
SPINOZA
Assassini, selvaggi, criminali!
SIGNORA VAN DER SPYCK
Non l’ho mai visto così furibondo.
VAN DER SPYCK
Nessun altro ha capito, come lui,
che da questo terribile assassinio
comincia ormai la fine della nostra
libertà.
SPINOZA
Ma lasciatemi, vi dico!
Questo crimine ci svergogna tutti.
Qualcuno a questa ignobile masnada
di fanatici e stupidi assassini
dovrà sbattere in faccia l’efferata
sciocchezza del suo crimine,
dovrà pure gridare, proclamare
il disgusto, l’indignazione, il santo
dovere di sentirsi offeso, vinto,
lui uomo, dalla bestia snaturata
che non ha legge, dalla belva
scriteriata che uccide chi sostiene
la sua vita, assassini, criminali!
Scendo in piazza a piantare questa insegna
della loro vergogna. Hanno ammazzato,
idioti, la Repubblica d’Olanda,
trucidando il suo difensore, Johan
de Witt, ucciso, stupidi! la nostra
libertà. Presto se ne accorgeranno.
VAN DER SPYCK
Calmatevi, Spinoza. Non potete
fare niente. Né cambieranno idea
solo perché volete aprire gli occhi
di una folla selvaggia e imbestialita.
La folla non ragiona. I vostri insulti
la faranno infuriare, ammazzeranno
anche voi. Se assistiamo esterrefatti
alla fine cruenta della nostra
libertà, non potrà nessuna forza
ragionevole opporsi e contrastarla,
nessun orgoglio più restituirla.
E’ finita l’Olanda. Si è conclusa
oggi, per noi, la fragile occasione
di realizzare una grande speranza.
Ma può darsi che fosse un’ illusione
sperarla realizzata in questo mondo
di appetiti feroci e di discordie.
Trattenetelo.
I due giovani afferrano Spinoza per le braccia. Alla moglie:
E tu, chiudi la porta
d’ingresso, spranga tutte le finestre.
La Signora van der Spyck esegue.
Ma santo cielo! Sembra posseduto
da una rabbia infernale. Schiuma bava
dalla bocca, strabuzza e sgrana gli occhi.
UNO DEI DUE GIOVANI
Ma non ha torto. Anch’io vorrei gridare
e schiumare la rabbia che mi scoppia
in petto dalla bocca, porco dio!
VAN DER SPICK
Non bestemmiare, sciagurato!
IL GIOVANE
Forse
non è bestemmia invece assassinare?
macellare, squartare, come ho visto
per le strade dell’Aia oggi perfino
fare ai bambini, incitati dai padri,
bravi cristiani, buoni cittadini,
olandesi ubbidienti, come fanno
credere a tutti, e invece avventurieri,
mercanti, concussori, trafficanti
di schiavi, puttanieri, biscazzieri..
SPINOZA
Macellai! Cannibali!
L’ALTRO GIOVANE
Ha ragione.
Sono peggio che macellai. Peggio
che selvaggi cannibali. Li ho visti,
li ho visti coi miei occhi, i due fratelli,
giù nella strada, spaventati, persi,
scappavano, ma subito accerchiati
dalla marmaglia, ho visto quella folla
aggredirli, legarli, e poi sferzarli,
batterli con le spranghe, accoltellarli,
per la strada, condurli, trascinarli
al patibolo, come bestie, come
buoi per il macello, per finirli,
per impiccarli, a testa ingiù, coi piedi
legati dalla corda, e poi squartarli,
come si fa fa con le carcasse appese
dei vitelli. Strapparono le carni
ancora vive, e prima uno, poi tutti
gli altri, lupi affamati, belve insane,
mangiarono le carni ancora calde
e sanguinanti di quei disgraziati.
Non ebbe il boia un solo, corpo intatto
da appendere alla corda. Ecco che cosa
accadde nella Piazza del Governo,
davanti al Binnenhof, dopo che li ebbe
sorpresi, mentre uscivano correndo
dalla Gevangenpoort, l’imbestialita
teppaglia nerlandese! Mi vergogno
d’esserci nato in questa terra e avere visto
con i miei occhi ciò che m’è toccato
di vedere. Non c’è peggiore bestia
dell’uomo, se travolto e sfigurato
dalle passioni. Dice bene il nostro
caro maestro. Non vedete come
soffre per la miseria che quest’oggi
il popolo olandese ha dimostrato
sulla pubblica piazza di se stesso?
VAN DER SPICK
L’orrore che devasta in questo tempo
d’Apocalissi il nostro territorio
è forse orrore di qualcosa molto
più grande della nostra smisurata
paura. Abbia pietà del nostro cuore
spaventato, quel Dio che sembra assente.
SPINOZA
Non assente! Lasciatemi! Che cosa
potete voi capire della storia?
Una sentina di delitti senza
redenzione né giustificazione.
Lasciatemi, vi dico! Voglio dire
al mondo intero che quest’oggi è morta,
forse per sempre, quella che credevo
libertà di pensare, e nostra estrema
assegnazione di sopravvivenza.
Lasciatemi, vi dico! Voglio uscire!
VAN DER SPICK
A Spinoza:
Calmetevi, Spinoza. Ritornate
nel vostro studio. Scalderà mia moglie
una tazza di brodo. Preparate
la vostra pipa. Una nuova partita
di tabacco è arrivata ieri nel porto
dalle colonie. Sembra molto buono.
Seguitemi. Appoggiatevi al mio braccio.
SPINOZA
scoppia a piangere, si lascia condurre via. Con un filo di voce:
Ultimi barbarorum. E’ finita.
Oggi vedemmo con i due fratelli
De Witt morire in piazza anche la nostra
libertà. Giorni oscuri di terrore
ci aspettano. Non c’è peggior tiranno
della superstizione che s’insedia
nei Palazzi e si appropria del potere
di giudicare e separare il giusto
dall’ingiusto, decidere che cosa
è bene, e che cos’altro invece male.
Non è la solitudine che arriva
a spaventarmi: mi spaventa ancora
di più la solitudine del mondo
di domani. Non posso farci niente.
Ed è la cosa che mi fa soffrire.
Potete rilassarvi. Non vi faccio
resistenza. Lasciatemi tornare
nello studio. Lasciatemi da solo.
Vi ringrazio se mi farete bere
una tazza di brodo caldo, come
mi avevate promesso. Questo è tutto.
Van der Spyck apre la porta dello studio. Spinoza la oltrepassa e scompare.
8.
L’Aia. Lo studio di Spinoza nella casa di Hendrick Van der Spyck. 1672.
SPINOZA, solo.
SPINOZA
La paura. C’è sempre la paura
- di un tiranno, di un popolo - paura
di una casta, di un demagogo, di una
famiglia - la paura di cambiare -
un’incondizionata, irrazionale
paura che possiede anche i più miti
e li rende feroci, la paura
scatena le sventure, i cataclismi
che l’uomo infligge all’uomo,
è la paura che tortura l’uomo,
lo tortura da quando nasce a quando
muore, ed è da lì che si accanisce
la tempesta del male che avvelena
la storia, la cagione degli eccidi,
delle persecuzioni, è la paura
che alimenta le invidie, che coltiva
l’odio, fomenta l’assassinio, invoglia
le folle imbestialite a liquidare
e sopprimere il folle che si ostina
a non pensare come tutti gli altri.
Questo, instillato ad arte nelle orecchie
dei popoli dal furbo demagogo,
il veleno, il cancro che corrode
la vita di ciascuno: la paura,
nient’altro che la pura, la bestiale,
animalesca, torbida paura.
Ecco a che cosa in fondo si riduce
tutta la nostra storia, l’avventura
dell’uomo sulla terra, il suo migrare
di regione in regione, devastando,
uccidendo, lasciandosi alle spalle
i roghi dei cadaveri bruciati
e un arido deserto di macerie.
Il male che ci affligge non è quello
delle belve che seguono una legge
naturale: se uccidono lo fanno
per mantenersi in vita. La violenza
degli uomini è invece innaturale,
non è per sopravvivere che l’uomo
uccide, no, ma solo per il gusto
del sangue, per cupidità di morte,
volontà di sterminio, bramosia
di prevaricazione e di dominio.
Naturalmente, disperare fino
a tal punto, e con tale declamata
eloquenza, del corso della storia
è uno sbaglio di prospettiva. Il mondo
non ha lo stesso passo del cammino
degli uomini. Non ruota intorno all’uomo,
ma intorno al sole. E l’uomo che lo guarda,
xlo intravede con lente deformata.
Intravede pertanto anche le proprie
passioni. Come nel riflesso d’uno
stagno la luce bianca delle stelle.
Ma non vede le stelle, tanto meno
la luce delle stelle. Cupidigia
e livore, tristezza ed arroganza
non sono che passioni umane, e sono
passioni naturali. Non c’è male,
nella natura, ma soltanto leggi,
processi, mutamenti, divisioni,
una legge non è in sé né male
né bene, ma soltanto una costante
norma di modificazione. Il male,
meglio: ciò che ci sembra male, è male
solo rispetto al singolo, a chi perde,
a chi soccombe. La ferita è male
per chi è ferito, non per chi ferisce.
Il dolore è dolore per chi soffre,
non lo è per chi lo infligge. Il male è male
soltanto per la vittima. Vantaggio
sul più debole, l’oppressione; impronta
di superiorità, l’atto di forza;
vittoria del migliore lo sterminio;
e l’eccidio, diritto di chi vince.
Dunque un bene, per chi lo infligge, il male,
e male solo per chi lo subisce.
Ma se cambio la lente con cui guardo,
e se la vista parziale oltrepasso
dell’oppresso e dell’oppressore, di una
vittima e di un carnefice, se guardo
anche la storia da una prospettiva
per così dire meno personale,
più distaccata, disinteressata,
e la osservo da più lontano, quasi
da un punto senza tempo, ciò che chiamo
ancora male, resta sempre male?
se no, dalla distanza di quel punto,
che cosa mi diventa? una variante,
può darsi, una variabile costante
del flusso della storia, un accidente
trascurabile delle circostanze
che riempiono il tempo, un buco, un niente,
un insignificante pezzettino
di realtà, che rispetto al superiore
punto di osservazione da cui guardo
mi suggerisce solo un più distante
metodo di ricerca. Non conosco
del mondo che una parte, una sezione,
un segmento. La parte da cui guardo,
la parte in cui m’annido. Il mio segmento
di realtà, la sezione di una retta
di cui non posso per definizione
tracciare o misurare la lunghezza.
Mi basta? può bastarmi? C’è, può darsi,
una legge che non conosco, un segno,
un senso che mi sfugge, nel dolore
umano, nella sofferenza senza
consolazione per chi soffre, senza
castigo per colui che fa soffrire.
Se ne resto turbato, è segno forse
che la mia conoscenza delle cose
non è ancora una vera conoscenza,
non è matura, e non si pone come
una visione chiara e razionale
della Natura, sono ottenebrato,
confuso dalle mie passioni, sono
tormentato dai dubbi, i miei affetti
prevalgono tuttora sul giudizio
distaccato dell’intelletto, il cuore
trema per ciò che vede, la paura
attanaglia anche il mio intendimento,
intorbida l’analisi corretta
di fatti e avvenimenti. La Ragione
che dovrebbe guidarmi nel lavoro
di riflessione e di argomentazione
non accompagna i miei ragionamenti.
Ancora non riesco a valutare
fatti e cose, come dovrei, sub specie
aeternitatis. Ma dimentichiamo
questa mia debolezza. Voglio andare
adesso fino in fondo a questa storia.
E’ importante. La morte dei fratelli
De Witt chiude un fase della storia
d’Olanda. Forse la superba Francia,
l’arrogante Inghilterra ne saranno
fieramente, sconsideratamente
appagate, ma questo scellerato
assassinio non mette solo fine
alla prudenza quasi proverbiale
degli olandesi, chiude l’esperienza
di tolleranza e libertà vissuta
da un popolo orgoglioso della propria
lungimiranza. Il mondo oggi è peggiore,
l’Europa perde l’ultima occasione
d’imitarci, la società ventura
resterà società di disuguali,
un mondo d’ingiustizia e di violenza.
E anch’io, adesso, ne ho paura. Molta
paura. Forse il mondo non è pronto,
forse non lo è mai stato, ad affrontare
la verità, a scandagliare i modi
con cui possiamo lacerare il velo
d’ignoranza, di futili passioni,
con cui si tesse forse dal principio
della storia la tela di menzogne
e di scelleratezze che chiamiamo
religione. Si uccide per un dio,
come un castigo meritato, un premio
di fedeltà, la vittima nemica
ostentata sul palco del giudizio
come un trofeo di lealtà premiata,
la prova consacrata del favore
divino. Mai che l’animo si spezzi,
che la coscienza soffra e si torturi,
per l’orrore di un simile misfatto.
Mai che si colga nelle sorde menti
un sospetto, un’esitazione, un dubbio,
per l’empia incongruenza, il controsenso
di un dio che si divide tra diverse
e opposte schiere di fedeli, e a tutte
chiede di steminare la nemica.
Ma come posso giudicare il danno
della storia, se ogni atto è necessario
al suo corso, se quanto accade, accade
per legge necessaria delle cose
del mondo, e non potrebbe in altro modo
accadere? Dell’accaduto, infatti,
sappiamo riconoscere le cause.
Non possiamo conoscerle dell’oggi
né tanto meno del domani. Basta
però quest’ignoranza, questo cieco
limite della vista umana, questo
confine insuperabile del tempo,
perché si possa presupporre il caso
di un domani diverso dal domani
che come l’ieri che ci colse ignari
anch’esso ci sorprenderà inesperti?
Se la necessità riconosciamo
del passato, dobbiamo del futuro
confermarla, perché lo troveremo
anch’esso necessario, nel momento
in cui diventerà per noi passato.
Ma se ciò mi dichiara la Ragione,
posso, ascoltando il battito del cuore,
dichiararmene soddisfatto? posso
riconoscemi persuaso? Sento
un tumulto corrodermi il cervello.
Devo portare a termine il lavoro
dell’Ethica, ma riannodare i fili
del mio Trattato, approfondire i temi
della responsabilità civile,
del patto che legittima il potere.
Il mondo è marcio. E non sarà il mio libro
a risanarlo. Ma potrebbe un giorno
un lettore sentirsi stimolato
a chiedere il rispetto dei diritti
che fanno dell’ingorda belva umana
un cittadino uguale tra gli uguali.
E che può fare poi del cittadino
l’uomo che guarda in cielo nelle stelle
la rotazione delle leggi eterne
che muovono le cose dell’intero
universo, per cui tornando dopo
ad avvertire il battito del cuore,
vi riconoscerà il riflesso interno
di quella stessa eterna rotazione.
Entra la SIGNORA VAN DER SPYCK, con un vassoio sul quale stanno poggiati una ciotola e un boccale..
SIGNORA VAN DER SPYCK
timidamente:
Signor Spinoza, si è calmato?
SPINOZA
Il male
è sempre relativo. Ma la storia
dell’Olanda ha imboccato la peggiore
delle strade che possa una Nazione
intraprendere: e soprattutto in questi
tempi di guerre in cui la religione
sembra la posta in gioco, quando invece
ciò che si cerca è solo il predominio
di un popolo sull’altro, di una classe
sull’altra, di una chiesa contro tutte
le altre chiese. Prevedo giorni bui,
di livido terrore e di soprusi
incontrastati, e come sempre accade,
il popolo non solo non capisce,
ma addirittura appoggia ed asseconda
il peggio. La Repubblica è finita.
Ci aspettano, tra le costituzioni,
o piuttosto le forme di governo
che pretendono di legittimarsi
con una farsa di costituzione,
le peggiori mai viste nella storia:
la tirannide e la demagogia,
nefaste, ma invincibili alleate.
SIGNORA VAN DER SPYCK
Non capisco ciò che mi dite. Adesso,
però, bevete un po’ di brodo caldo.
Un boccale di birra, dopo, quella
buona di Voorburg, che vi piace tanto,
vi scalderà le membra.
Poggia il vassoio sulla tavola. Spinoza beve il brodo dalla ciotola.
Ci vorrebbe
una donna, Spinoza, che si prenda
cura di voi.
SPINOZA
Davvero? Grazie. Il brodo
è buono. Ma i consigli che mi date,
li date al vento.
SIGNORA VAN DER SPYCK
Voi parlate come
il vento, fate un grande chiasso, dite
tante parole, ma capisco solo
la confusione della vostra voce.
Mio marito mi dice che voi dite
invece cose belle come quelle
che si leggono scritte nei più belli
tra i libri che, dopo la Bibbia, scrisse
mai la penna di un uomo, sarà vero?
più belle dei sermoni che il pastore
ci dice la domenica, e che voi
ci fate raccontare quando a casa
torniamo dalla chiesa. Non capisco.
Ma il pastore, lui sì che lo capisco.
E allora ciò che dite forse è bello
come i sermoni del pastore. Almeno
a quanto dice mio marito. Avete
finito il brodo?
Prende la ciotola dalle mani di Spinoza e la mette sul vassoio, gli porge il boccale di birra.
Vi è piaciuto?
Spinoza fa cenno di sì.
Dunque,
bevete ora la birra.
Spinoza beve.
Ci vorrebbe
una moglie, vi dico. Siete sempre
solo. Tranne se vengono a trovarvi
i vostri amici. Ma non fanno al caso
vostro, non sono donne. Perdonate
la confidenza, ma dovevo dirlo,
una volta. E scusate se vi ho offeso.
SPINOZA
Ma voi potete dirmi tutto quello
che volete. Potreste anzi perfino
dire il vero. Ma – lo vedete? – donne
non ne passano molte per venire
a trovarmi. Si annoiano, può darsi,
quando parlo, o piuttosto, come voi,
non capiscono, forse addirittura
non vogliono capirmi, se non dico
loro ciò che vorrebero sentire.
Posa il boccale sul vassoio.
SIGNORA VAN DER SPYCK
Voi mi burlate. Siete stanco. Avete
bisogno di riposo. Ma fumate
un po’ di questo buon tabacco, prima.
Mio marito non crede che possiate
fumarne di migliore. Buona notte.
Esce con il vassoio. Spinoza prepara la pipa e fuma.
9.
L’Aia. Stanza nella casa di Hendrick Van der Spyck. 1673
JOHANN LUDWIG FABRICIUS20, SPINOZA.
FABRICIUS
Difenderete, immagino, Spinoza,
pubblicamente, in aula, se accettate
la richiesta del Principe Elettore,
difenderete, dico, come tutti,
le radici cristiane dell’Europa.
SPINOZA
Le radici cristiane dell’Europa?
E quelle dei Romani, degli Ebrei,
degli Arabi, dei Greci, sono forse
meno radici, o meno decisive?
O, prima ancora, fuori dell’Impero
Romano d’Occidente, le radici
dei Galli, dei Germani, delle genti
che abitavano le foreste lungo
il corso della Vistola, del Reno,
del Danubio, dell’Ebro, della Drava?
FABRICIUS
Ma tutti questi popoli, in un modo
o in un altro, Cattolici, Ortodossi,
Luterani, Hussiti21, Calvinisti,
si sono convertiti, hanno abbracciato
la vera fede, e sono diventati
anche loro Cristiani. Non sarebbe
mai stato concepibile il contrario.
SPINOZA
Su, tralasciamo queste vecchie storie.
Veniamo ai nostri tempi di discordie
insanabili e di odi furibondi.
Credo che proprio quelle che chiamiamo
nostre radici, vale a dire quelle
che sono le credenze degli Ebrei,
dei Turchi, dei Cristiani, tradizioni
nate e cresciute dalla storia, miti,
superstizioni, stupide leggende,
non una verità che qualche dio
abbia dettato all’eletto di turno,
ma l’illusione di esserne in possesso,
la pervicacia di considerarla
l’unica verità non confutata,
e imporla con la forza, con la guerra,
le distruzioni, i tribunali, i roghi
credo che proprio in queste malintese
radici dell’Europa le radici
debbano riconoscersi del male
che affligge il nostro tempo, che devasta
stupidamente il vecchio Continente.
Ah no, non dalla scienza viene il male.
FABRICIUS
Solo la fede imporre può nel mondo
la vera pace, ai popoli additare
la via della giustizia e la concordia.
SPINOZA
La fede? E’ sempre stata la cagione
principale tra i popoli di guerre,
devastazioni, ignobili stermini,
e nel corpo di un’unica Nazione,
di scomuniche e di persecuzioni.
FABRICIUS
Ecco perché l’imposizione di una
sola fede potrebbe ricondurre
le genti ad una stabile concordia.
SPINOZA
L’unica qualità dell’uomo che forse
potrebbe imporre in terra la concordia
sarebbe l’attributo che con Dio
noi uomini condividiamo, vale
a dire la Ragione. Credo un sogno
la sua realizzazione sulla terra.
Coloro che ritengono che al mondo
la massa delle plebi o i magistrati,
a capo degli affari del governo,
spesso in lite tra loro, per invidia
o cupidigia del potere, un giorno,
diventati inopinatamente sapienti
e consci del valore della vita,
potrebbero ubbidire finalmente
a norme razionali, sono come
i poeti che sognano cantando
l’età dell’oro o come le vecchiette
che narrano le favole ai bambini.
FABRICIUS
Come potete disperare fino
a tal punto del nobile valore
della fede? del fulgido potere
che ha la religione di placare
le tempeste del cuore?
SPINOZA
Le tempeste
si placano se i venti stanno calmi.
La religione non si calma mai.
E’ un vento micidiale e tempestoso.
Credo anzi, ed è per me quasi certezza,
una certezza che lo studio attento
della storia mi ha sempre confermato,
credo proprio che da una cieca fede
nei miti e nelle favole dei preti
si generi nel mondo la discordia
che lo divide, il male che lo sfregia
e lo devasta, queste, credo, sono
le radici che imbrigliano la nostra
conoscenza del vero, qui s’accampa
l’arroganza proterva delle chiese,
qui le sciocchezze, i dogmi, che non hanno
fondamenti scientifici o divini,
qui allignano fecondi per venire
imposti come Fede rivelata,
Sapienza inconfutabile, Parola
prununciata da Dio, Emanazione
ineffabile della sua Essenza22.
Eccola la radice di ogni male,
di ogni odio, di ogni prevaricazione,
l’incitamento alla sopraffazione
di un popolo sull’altro, di una setta
sull’altra, ecco l’istigazione all’odio,
al sopruso, all’intolleranza,
al rancore che intossica dovunque
le folle dei credenti, ogni fedele
vi s’improvvisa pubblico guardiano
di una privata religione, a tutti
prescritta come l’unica custode
di un’autentica fede, come sola
garante della verità. Ciascuno
di costoro mi sembra un portinaio,
un ottuso e bigotto portinaio
del santuario della tradizione,
ma che veracemente dovrei dire
immondezzaio, beccheria, latrina
della conservazione. Tutto il male,
non nel senso assoluto, ma nel senso
dell’infinita sofferenza umana
che dall’inizio della storia inflitta
fu vanamente dalla religione,
e che ancora s’infligge, tutto il male
io lo vedo prodotto, seminato
nel mondo proprio dalla religione,
dall’odio, dal fanatico livore,
e dall’intolleranza suscitati
per ogni dove dalla religione.
FABRICIUS
Come vi permettete? come osate
sostenere l’infamia di calunnie
che infangano la fede dei Cristiani?
Che vita un’esistenza senza il nome
di Cristo? che sapienza una dottrina
che ignori Dio, la sua onnipotenza?
SPINOZA
Si tortura, si uccide, si condanna
chi la legge di Dio ci obbligherebbe
ad amare, si confuta e diffama,
senza nemmeno averlo letto, il libro
che non collima con la propria idea
di verità. O piuttosto con la propria
volontà di potenza, con la propria
irriducibile superstizione.
O, chi sa, con il proprio tornaconto.
FABRICIUS
Ditemi: devo interpretare come
rifiuto l’incredibile insolenza
delle vostre paole?
SPINOZA
Interpretate
le mie parole come più vi piace.
Non so, lo ammetto, in che confini debba
intendersi compresa, nella vostra,
lo riconosco, generosa offerta
di una cattedra di filosofia
a Heidelberg23, la concessione di una
libertà di filosofare, “a patto”,
però, se intendo bene, la riserva
di non turbare con il mio pensiero
la sola religione dello Stato.
FABRICIUS
E’ vero. Il clementissimo Signore
non impone nessuna restrizione
alla vostra ricerca, ma confida
che non perturberete la sincera
fede pubblicamente professata
dai suoi sudditi, e che rispetterete
la fede riformata di Lutero,
ch’è quella dichiarata e confermata
vera dall’Elettore Palatino.
SPINOZA
Non potrei né dovrei pertanto entrare
in conflitto con questa religione.
FABRICIUS
Certo che no. Ci mancherebbe. Come
osereste inficiare, contrastare,
o insinuare anche il minimo dubbio
sulla Rivelazione? Immaginate
lo scandalo, lo sdegno dei credenti.
SPINOZA
Ma come mi sarebbe consentito
effettuare allora una ricerca
scientifica del vero, se quel vero
da conoscere io mi vedrei costretto,
invece di cercarlo, a dichiararlo
già prefissato dalla religione?
da un dio che come l’uomo ha preferenze,
da un dio che nutre odi e rancori, un dio
che si adira, che impreca e maledice,
che condanna e distrugge chi resiste
all’arbitrio dei suoi comandamenti?
FABRICIUS
Voi bestemmiate! Oppure, oso sperarlo,
forse è solo per mettermi alla prova,
che mi parlate in questo modo indegno
di un cristiano. Se osaste proclamare
dalla cattedra idee come queste,
enunciare teorie così blasfeme,
non potremmo rispondere di come
reagirebbe il Consiglio dei Docenti.
Dovreste anzi perfino paventare
l’indignata rivolta dei colleghi,
l’indignazione che suscitereste
nella città di Heidelberg, tremare
come una foglia per la vostra vita.
SPINOZA
La mia vita? Non temo le minacce.
In che modo potrebbe intimorirmi
il Consiglio Accademico? o impaurirmi
la Chiesa di Lutero? Non li temo.
Non amo le discordie. Mi disgusta
la disputa settaria. Come posso,
mi sforzo di evitare le contese.
Ma credetemi, tutte le discordie,
gli scismi, si riscontrano più spesso
tra teologi e preti, tra pastori
e rabbini, che tra i ricercatori
delle leggi del mondo, leggi eterne
della Ragione, e non dell’ignoranza,
della credulità, della paura,
della superstizione.
FABRICIUS
Chiamereste
superstizione anche la fede
nella divinità del Cristo?
SPINOZA
Certo,
che prove abbiamo della sua vantata
divinità? che si chiamasse Figlio
di Dio non è che un modo di parlare,
lo siamo tutti, non dimostra quindi
che Gesù Cristo fosse dio. La fede,
se priva di radici veritiere,
comprovate non solo dalla Bibbia,
ch’è libro umano, e non libro divino,
ma da fatti, esperienze analizzati
e dimostrati dall’osservazione
scientifica del vero, è poca cosa,
un fumo di parole. E’ questo il modo
che dovrebbe tenere chi persegue
soltanto l’interesse della scienza.
FABRICIUS
Un modo di guardare il mondo, il vostro,
come se al mondo non ci fosse un Dio.
SPINOZA
Il mondo stesso è Dio. Chi lo conosce
conosce Dio. Vi sembro astratto, astruso?
Non sono un ateo. Ma il mio Dio non parla,
non si rivela che attraverso il nodo
che stringe insieme la realtà del mondo,
leggi che lo governano da sempre.
FABRICIUS
Mi spaventate.
SPINOZA
La paura, certo,
è spesso la radice della fede.
Di quale solitudine la vita
abbia bisogno, per approfondire
la conoscenza della vita, forse
non riuscite a supporlo, tuttavia
se poteste anche solo sospettarlo,
la sola idea già vi spaventerebbe.
In Olanda, perfino in questi tempi
di guerra, nonostante molte voci
di dissenso, e contrasti tra le chiese,
nonostante l’ostilità rabbiosa
dei Calvinisti per chiunque pensi
in altro modo e, peggio, nonostante
il barbaro assassinio dei fratelli
De Witt, io sento, nonostante tutto,
contro la mia paura, che la mia
solitudine è ancora rispettata,
ammirata la mia autonomia,
additata a modello la mia vita.
Io non credo che nel Palatinato
godrei la stessa libertà, la stessa
sicurezza, la stessa rispettata
autonomia per scrivere i miei libri,
vivere la mia vita, e per pensare,
nel modo in cui lo penso, il mio pensiero.
FABRICIUS
Mi congedo scontento, ma i peggiori
timori che nutrivo sulla vostra
affidabilità li riconosco
confermati da un’empia e pertinace
arroganza. Se il Principe Elettore
commise l’imprudenza di chiamarvi,
questo vostro rifiuto mi solleva
dal disgusto di udire dalla vostra bocca
pronunciate in un’aula le parole
irriverenti che sfrontatamente
mi avete appena dichiarato in faccia.
SPINOZA
Al mondo non c’è cosa dalla quale
più volentieri e lieto mi congedi.
Ma leggo dalla vostra supponenza
un’opportuna ipocrisia: la fede
osservata dai più, nel vostro Stato,
e soprattutto ingiunta dal Potere,
in ubbidienza stretta del trattato
di Westfalia, voi la osservate, credo,
solo perché è la fede del Sovrano.
Non invidio, perciò, né il vostro ufficio
né il destino di futile etichetta,
di banderuola spaventata e fida,
che guida e svolge le vostre giornate,
e gira al vento di qualunque guerra,
potendo un giorno svaporare in aria.
Auguro lunga vita all’Elettore
e all’Università, che mi addolora
di non riuscire oggi ad accontentare24,
auspico una gloriosa rinomanza.
FABRICIUS
Spinoza, vi ho ingannato. Come siete
ingenuo, se pensate che la fama
di libertà, che circola di voi,
potrebbe garatirvi anche in un’aula
illustre d’università la stessa
libertà di parola che sprecate
nei vostri libri. Ma per quale dono,
se non di Dio, di umana condizione,
pretendereste voi la garanzia
di simile eccezione? Che superbia
la vostra. Vi credete superiore
all’esperienza di consolidata
diplomazia che da un millenio ed oltre
protegge il nostro culto? E lo protegge
qualunque sia la Chiesa dei cristiani
nel vecchio e nuovo mondo a professarlo.
La Chiesa, amico, ha superato prove
ben più insidiose della vostra sconcia,
esagerata fantasmagoria!
Se vi sembra perduta la Ragione
della fede, sì, la Ragione! e vano
scopo di una supremazia sconfitta
la sua missione al mondo, fate
pure, scrivete quello che vi pare.
Ma finché vivo vi sarà impedito
di sbugiardarla clamrosamente,
come fate in Olanda, anche in Germania.
Forse questa partita è ancora tutta
da giocare, Spinoza. Giocheremo.
Il Principe Elettore Palatino,
magnanimo Signore dello Stato
di cui mi vanto e sono servitore,
non ha mai posto una limitazione
al vostro insegnamento, ma chiedeva
che la vostra parola testimonio
soltanto fosse della vostra scienza.
Avevate la libertà di dire
e di scrivere ciò che volevate.
Ma io, che sono ancora il suo ministro,
l’occhio, la mente, il vigile gendarme
del suo governo: ditemi, potrebbe
la mia coscienza dunque tollerare
che un suddito, e per giunta anche un ebreo,
tra l’altro rinnegato, approfittasse
di tale libertà? Fu mia l’idea,
pertanto, d’introdurre la dovuta
limitazione: che l’insegnamento
non contrastasse mai, né criticasse,
in alcun modo, la Rivelazione,
la fede luterana, fondamento
della legislazione Palatina.
Avete ormai per sempre rinunziato
alla cattedra, Ve ne ringrazio.
Di voi più saggio, un dì saprà qualcuno
approfittarne e farne l’uso giusto.
FABRICIUS esce senza salutarlo.
10.
Università di Leida. Un’aula gremita di studenti. 1674.
BLIJENBURGH. PROFESSORI. STUDENTI.
BLIJENBURGH
mostrando a tutti un libro:
Ecco la mia risposta di cristiano
alle infami bestemmie ed eresie
di un ateo.
PROFESSORI, STUDENTI
urlando:
Sì, bravo! Viva Blijenburgh!
Sul fondale appare proiettato il frontespizio di un libro:
LA VERITA’ DELLA RELIGIONE CRISTIANA E L’AUTORITA’ DELLE SACRE SCRITTURE AFFERMATE CONTRO GLI ARGOMENTI DELL’EMPIO, OVVERO UNA CONFUTAZIONE DEL LIBRO BLASFEMO INTITOLATO
TRACTATUS THOLOGICO-POLITICUS.
11.
Studio di Spinoza nella casa di Hendrick Van der Spyck, all’Aia. 1676.
SPINOZA, LEIBNIZ.
LEIBNIZ
Davvero ritenete che lo studio
delle cose si possa senz’alcuna
idea di Dio considerare? e basta
la sola matematica a spiegare
i fenomeni?
SPINOZA
Se poté bastare
a Galilei, perché mai non dovrebbe
bastare a Newton?
LEIBNIZ
Vedo che anche voi
conquista questo giovane scienziato
inglese che non ha lasciato scritto
ancora un solo rigo delle sue
famigerate e rivoluzionarie
teorie di matematici principi
sui moti dei pianeti. Propugnate
una fisica che si fondi solo
su calcoli, teoremi e deduzioni
matematiche?
SPINOZA
Non propugno niente.
Ma constato anzi che una spiegazione
della natura può considerarsi
vera solo se le dimostrazioni
sono dimostrazioni delle leggi
che governano la natura. Solo,
infatti, la natura può donarci
la certezza di coglierne l’essenza,
se nell’esame dei suoi elementi,
il metodo adottato non trascende
l’oggetto che studiamo, il che vuol dire
che i fenomeni stessi che osserviamo
possono riprodursi sotto i nostri
occhi solo se seguono le leggi
della natura, l’ordine costante
che produce e che regola le cose.
LEIBNIZ
Ma la legge che il calcolo deduce
non sarà stata immessa nelle cose
da un ignoto alchimista, né da sempre
un infinito moto muove il mondo
in cui viviamo. O penserete come
Aristotele che non abbia tempo
l’universo?
SPINOZA
Se fosse l’universo
stesso il tempo?
LEIBNIZ
Ma immaginate dunque
prodotta questa macchina del cosmo
da se stessa, creatasi dal nulla
senz’alcun intervento di divina
intelligenza? insomma, senza un dio?
SPINOZA
Certo che no. Volete astutamente
farmi dire ciò che non penso. Dire
che non esiste un dio. Non penso questo.
Non l’ho mai sostenuto. Dico solo
che spiegare con argomenti estranei
ai fenomeni quanto si produce
nella natura è un metodo sbagliato,
che non spiega i fenomeni, ma serve
solo a tenere buone le diverse
chiese del mondo, per le quali tutte
è motivo di scandalo e stupore,
che uno scienziato spieghi la natura
con metodo scientifico, la illustri
senza cause divine, senza un fine
trascendente che ne motivi il moto.
Quanto a supporre, come da più parti
non soltanto si vuole, ma s’impone,
che Dio abbia interesse a motivare
con un suo intervento, a sigillarlo,
con un marchio di ceralacca, un segno,
anche il calcolo infinitesimale,
non è solo puerile, ma dimostra
un’ignoranza dei procedimenti
scientifici, che sembra rasentare
addirittura l’idiozia, e inoltre
ostenta una blasfema confusione
sull’essenza di Dio e gli attributi
che della sua sostanza si convenga
predicare. Ma non mi meraviglia.
LEIBNIZ
Aspetto dove mi vorrà condurre
questo vostro discorso. Continuate.
SPINOZA
Non sembra che fosse un cattivo
cristiano Galilei, benché scrivesse
che se la Bibbia parla con la lingua
simbolica di Dio, con altra lingua
ci parla invece il libro spalancato
davanti a noi del mondo, ed è una lingua
di circoli e quadrati, di segmenti
e di rette, di numeri e di cifre.
LEIBNIZ
Ve lo concedo. Spesso, lo sapete,
si riscontra negli uomini di chiesa
poca dimestichezza con la scienza.
SPINOZA
Del resto anche l’analisi corretta
delle Scritture non si può condurre
con metodi e principi esterni al testo
che si vuole spiegare e commentare.
E’ un principio di metodo fondante
per qualunque filologia: non vedo
perché ubbidirvi non dovrebbe solo
la Bibbia. Per qualunque testo, infatti,
vale il principio che l’esame debba
condursi senza uscire dal tessuto
linguistico del testo. E se non sbaglio,
è un testo anche la Bibbia. Ricaviamo,
anzi, da quest’analisi condotta
con metodo corretto, vale a dire
storico e filologico, che scritta
anche la Bibbia fu dall’uomo, e scritta
in epoche diverse con diverse
opinioni degli uomini e di Dio.
LEIBNIZ
Ho letto il vostro libro singolare
su Dio, sulle Scritture, e sullo Stato.
Una lettura sconvolgente, eppure,
ve lo ripeto, affascinante. Certo,
non condivido tutte le teorie,
che vi esponete, e tanto meno approvo
talune deduzioni e conclusioni.
Ma la lettura stimola il pensiero,
e dalle vostre idee nascono idee
che aiutano a chiarire le questioni.
SPINOZA
Non pretendo di possedere il nodo
che stringa in sé tutti i problemi posti
dalla filosofia, e non conosco
la risposta che li risolva. Cerco
un metodo corretto di studiarli,
e che non presupponga le risposte.
LEIBNIZ
La vostra idea di un’unica sostanza
mi affascina, e probabilmente avete
ragione. Ma per questo escluderemo
che possa Dio trascendersi?
SPINOZA
C’è forse
bisogno d’una trascendenza, quando
basta a spiegare il mondo l’immanenza?
Voi siete un matematico, e sapete
che la dimostrazione più evidente
è sempre la più semplice: che è anche
la più vera, perché chiara e distina.
LEIBNIZ
Ammiro questa vostra correttezza,
e credetemi, invidio questa vostra
quasi unica onestà intellettuale.
Ma in tempi come i nostri la schiettezza
è rischiosa. Nessuno più professa
pubblicamente concezioni, idee
che potrebbero procurargli prima
o poi contrasti con la chiesa o, peggio,
alienargli l’autorità civile.
E fingere pertanto remissione,
dimostrare accondiscendenza, dare
credito alla vulgata del potere,
ai dogmi delle chiese, vi potrebbe
garantire una vita più tranquilla
di studio e di ricerca. Chi, del resto,
ditemi, amico, se ne accorgerebbe?
SPINOZA
Io. Mentire a se stessi non è cosa
facile, non credete? O con il tempo
ci si abitua, e magari ci si crede?
Ma dovreste conoscere, del resto,
quanto difficilmente scende a patti
una vera amicizia, con l’amico,
e soprattutto quanto discordante
sia sempre da ingannevoli entimemi
la severa amicizia di se stessi.
Sono comunque più prudente, Leibniz,
di quanto supponiate. Un libro al quale
tengo molto, e che forse è il più completo
riepilogo del mio pensiero, aspetta
di essere pubblicato ormai da molti
anni. Ma dato che il peggiore vizio
del nostro tempo è prendere a pretesto
qualche frase isolata da qualunque
libro per calunniarne e diffamarne
l’autore, e fargli dire le peggiori
sconcezze e infamie che non ha mai detto,
rinvio ancora la pubblicazione
del mio libro. La gente legge spesso
in un libro non quello che c’è scritto,
ma quello che vorrebbe e dunque crede
di leggervi: potrà così appagare
più facilmente la malsana brama
di calunniare e liquidare in breve
il suo malcapitato autore, e dire
di difendere la morale. Giusto
motivo, se non altro, per odiarlo.
E voi sapete bene quanto male
possa fare la maldicenza, e come
non sia creduta che assai raramente
l’innocenza, la quale è disarmata
contro chi la calunnia, e mai non ebbe
del chiasso maldicente della folla
la voce della verità più forza
a contrastarla, soprattutto quando
alimentato è il chiasso scaltramente
da ogni tipo di chiesa e rinforzato
astutamente dal potere.
LEIBNIZ
Approvo
questa vostra prudenza, tuttavia
confesso che mi piacerebbe molto
leggere questo libro.
SPINOZA
Non dispongo
per ora di una copia. Ma più presto
di quanto voi pensiate, le riserve
politiche da parte dello Stato,
che mie, di pura mia sopravvivenza,
per la pubblicazione, ancora forti,
potrebbero cadere, e forse un giorno
voi potreste trovarlo nel negozio
di un libraio di Monaco o Berlino,
o Amsterdam. Ma prima di quel giorno,
io stesso ve ne manderò una copia.
LEIBNIZ
Ve ne ringrazio. Ma se non vi spiace
del tutto la conversazione che ora
intratteniamo, non potreste, prima
di quel giorno, sia pure per inciso,
per sommi capi, di quel vostro libro
anticiparmi adesso il contenuto?
SPINOZA
Mi piacerà parlare a lungo, e spesso,
con voi, di matematica. Vi prego,
però, di non parlami più di Dio.
Vedo che questo termine, pur troppo,
non denota per voi la stessa idea
di sostanza, che il mio pensiero esprime,
quando nomino la sostanza. E il libro,
che non ho ancora pubblicato, parla
soprattuto di Dio.
LEIBNIZ
M’incuriosite.
Sono sicuro che ne parlerete
in modo originale, nuovo, come
nessuno ne ha parlato ancora. Forse
diciamo cose simili, e cerchiamo
sicuramente tutti e due la stessa
cosa, la via di dimostrare in atto
nella Natura un’unica coesione,
un’unità che solo dalla scienza
può essere indagata.
SPINOZA
Forse: credo
anzi che sia così. Ma affidereste
alla scienza la sola spiegazione
che renda comprensibile, distinta,
l’enunciazione rigorosa d’una
simile verità, da molti ancora
non solo giudicata assai rischiosa
per la concordia dei credenti, quanto,
e più, anche dannosa per lo Stato,
per il mantenimento del potere
costituito, per l’ottemperanza
dei patti tra le classi, l’osservanza
universale delle odierne leggi?
Sembra a costoro che da sé la scienza,
non rispettando autorità nessuna,
salvo la correttezza delle proprie
dimostrazioni e delle proprie leggi,
abbia il potere di scalzare sotto
i piedi dei potenti la certezza
di quel potere. Non potrei venire
a patti con nessuna religione,
con nessuna Repubblica che osasse
proibire, o anche soltanto limitare,
la libertà di questa mia ricerca.
LEIBNIZ
La libertà? Ma chi nel vostro studio
potrebbe controllare la ricerca
che state conducendo? Nel pensiero
chi leggere le vostre deduzioni?
Per la tranquillità dei vostri studi,
l’ossequio alle ingiunzioni del potere
che potrebbe qualcuno giudicare
ipocrisia, è un atto necessario
se garantisce per i vostri studi
una tranquilla segretezza.
SPINOZA
Come
però tranquilla, come riservata,
sarebbe la ricerca se potrei
l’irruzione aspettarmi in ogni istante
di controllori dello Stato o, peggio,
della Chiesa? la libertà che cerco
non ammette nessuna condizione,
che possa limitarne l’esercizio.
LEIBNIZ
Cercatela nel mondo di Utopia,
codesta libertà.
SPINOZA
Mi piacerebbe
possibile saperla in questo mondo.
LEIBNIZ
Qui sorgono i miei dubbi più fondati.
Sembra che nella considerazione
che voi fate del mondo, della storia,
non ci si possa attendere nessuna
redenzione del male, del dolore
che affliggono la vita sulla terra
dell’uomo, anzi nessun risarcimento
all’ingiustizia, alla sopraffazione.
Nessun fine, nessuna provvidenza,
nessuna volontà che ci disegni
un percorso, un progetto del destino
che noi subiamo. Come si potrebbe
il cumulo di tanta sofferenza
viverlo, motivarlo, sopportarlo?
SPINOZA
Ma basterebbe dunque l’illusione
di un Dio che la prevede, la redime,
e la ripaga, per giustificarla?
LEIBNIZ
Non ritenete, dunque, voi perfetta
la macchina dell’universo?
SPINOZA
Certo.
Perfetta. Perfettissima. Se vista,
come dire? sub specie aeternitatis.
Ma si parlava adesso della storia.
E non dell’universo. L’occhio umano
di vista non dispone così lunga
né così acuta che una sola legge
possa individuare nei diversi
e molteplici casi della vita:
la regolarità di norme e leggi
che governano le manifestazioni
della Natura, invano noi, può darsi,
nel disordine delle azioni umane
le cercheremmo e le distingueremmo.
Solo per noi disordine, privati
della vista che legga oltre gli aspetti,
le forme, i modi delle azioni umane,
il permanere di comportamenti,
la regola costante che presiede
allo sviluppo ed all’intersecarsi,
scontrarsi, combinarsi ed esaurirsi
delle passioni. C’è sicuramente
una necessità che sovrintende
al decorrere degli avvenimenti.
Ma delle cause, non certo dei fini.
La storia non ha scopo. Necessario
è il susseguirsi degli eventi. Niente,
però, fa prevedere nella storia
un progetto, un programma o, per capirci,
il disegno di qualche provvidenza:
di un Dio, della Natura, fa lo stesso.
Avete bene inteso il mio pensiero.
LEIBNIZ
Ma gettereste gli uomini in un cupo,
profondo abisso di disperazione!
SPINOZA
Furono gli argomenti di un bigotto,
molti anni fa. Ma ditemi: gradita
o sgradita che sia, l’enunciazione
di quella verità che toglie il velo
a una realtà di fatto, che nessuno
vuole vedere, resta meno vera
la verità solo perché nessuno
vuole vederla? O preferite dare
all’uomo l’illusione che la vita
abbia un destino, un senso, una missione
prefissata da Dio? chi garantisce
la verità dell’illusione contro
l’evidenza, che l’intelletto svela,
di una realtà di fatto? La Natura
non si affatica né si angustia certo
per soddisfare i desideri umani.
Non esiste per l’uomo. L’uomo è solo
una parte tra tante. Come il cane,
la scimmia, la formica. L’intelletto,
ci differenzia, forse, dalle bestie,
proprio per questo è qui, nell’intelletto,
l’unica fonte della nostra gioia:
perché cercarla altrove? in altro mondo,
di cui non conosciamo l’esistenza?
in altra vita, che come una nebbia
vive nei nostri sogni, e che nessuno
mai è tornato indietro a raccontarla?
LEIBNIZ
Capisco bene le argomentazioni
della vostra teoria. Ma non potrei
abbracciarne l’atroce, spaventosa
durezza. Come, infatti, consigliare
all’uomo di sbarrare alla speranza
le porte del suo cuore, di strapparsi
l’illusione che avrà per lui la vita
un futuro diverso, meno amaro,
del doloroso passo tra gli stenti
ch’è il suo destino odierno?
SPINOZA
L’uomo
che m’offre qui ricetto da molti anni
è un uomo pio, devoto, e non gli tolgo
nessuna delle sue speranze, chiedo,
anzi, quando ritornano qui a casa
dalla chiesa, che cosa abbia spiegato
il giovane pastore nel sermone.
E’ un prete intelligente, colto, buono.
I suoi consigli aiutano i fedeli
a condurre una vita di Cristiani
tolleranti. Perché dovrei negare
o rintuzzare idee che fanno stare
bene?
LEIBNIZ
La verità sarebbe allora
privilegio di pochi?
SPINOZA
E quando mai
lo fu di molti? Privilegio, inoltre,
perché? se mai fatica, obbligo, impegno.
La conoscenza non è via per tutti.
LEIBNIZ
Anche una mente illuminata, credo,
durerebbe fatica a seguitare
l’impervia strada che additate come
via della conoscenza.
SPINOZA
Seguitarla,
non è un dovere, un obbligo. Ciascuno
è libero di andarci o di ritrarsi.
Lo diventa, una volta che si sceglie
d’intraprenderla, un obbligo dal quale
non si può più tornare indietro. Invece
la libertà, non è affatto una scelta,
nemmeno un privilegio, che si possa
o non si possa prendere o donare.
La libertà è un obbligo, un dovere,
lo è sempre, non si può mentire, oppure
evitarla con una scorciatoia,
la libertà si deve imporre a tutti.
12.
L’Aia. Lo studio di Spinoza nella casa di Hendrick van der Spyck. 21 febbraio 1677.
SPINOZA
La pipa non aveva oggi lo stesso
sapore. Mi sentivo soffocare
perfino dall’odore del tabacco.
Forse, perché sentivo troppo freddo.
L’opera principale è terminata.
Di che cosa ho paura? Sono stanco.
Mi stenderò per poco, sento freddo.
Sì, sento ancora freddo. E sono stanco.
Si sdraia sul letto, supino. Si copre le gambe e il petto con una coperta di lana colorata. E resterà così fino alla fine, guardando il soffitto.
Mi piacerebbe ora vedere un ragno
infagottare lentamente il corpo
di una mosca, fasciarlo con la bava
come un bozzolo, e quindi come un baco
da seta scartocciarlo, e a poco a poco,
ancora vivo, divorarlo. Il gioco
della vita è crudele. Come il gioco
della morte. La differenza esiste
per chi muore. Ma per chi vive resta
la paura. Che strano! Non ricordo
più la faccia, la voce di mia madre.
Scomparsa, eliminata, quale parte
di lei resta nel mondo a ricordarla?
Apparenza di che sostanza il soffio
della vita? il suo soffio, non ricordo
che odore avesse. Non ricordo il tatto
delle sue labbra, mangiavamo insieme
nell’oscuro tinello che puzzava
di muffa, alle pareti i grandi arazzi
di Brussels, il piancito a cassettoni,
lo scricchiolio del legno, quando entravo
nella stanza, e vedevo i loro grandi
occhi alzarsi dal tavolo e fissarmi,
e continuava sempre ad ogni passo
a scricchiolare il pavimento. Muto
raggiungevo il mio posto e mi sedevo.
Mamma, ricordo quasi solo quelle
nostre cene, di te. Ricordo l’acqua
gelata del canale sotto casa,
il ponte che dovevo attraversare
per andare a studiare in sinagoga,
il puzzo acre dei ceri appena spenti.
E l’alfabeto che magicamente
mi parve allora il senso rivelarmi
della lingua di Dio. Ma come sono
arrivato a lasciarmene alle spalle
non solo il senso, ma perfino ormai
anche il bisogno di quel senso? Sono
pago così. Non ne ho bisogno. Come
non ho bisogno di nessun conforto,
di nessuna speranza. Ma conforto
di che, speranza di che cosa? Sono
quello che sono, quello che ho voluto,
di me, gli affetti, le amicizie, tutto
fu vivo, fu vissuto. E fu vissuta
la letizia: impensabile, sublime
letizia di pensare. Ogni concetto
come una riscoperta del pensiero,
un rifondare, quasi, da principio,
la conoscenza. E l’intima, profonda,
intemerata consapevolezza
di conoscere il senso delle cose,
l’ultima verità della Natura,
la sostanza insondabile di Dio.
Coloro che mi chiamano blasfemo,
che mi credono un criminale, un ateo,
sapessero il legame con cui sento
avvinghiarmi dal mondo che mi assorbe,
conoscessero il nesso che m’avvince
anche solo alla luce che attraversa
gli oggetti, li delimita, li bagna
in un diluvio di colori, oppure
percepissero il filo della lama
che sento penetrarmi, quando guardo
un albero d’inverno nudi contro
il cielo azzurro stendere i suoi rami,
avvertissero nel sangue la violenza
del gorgo che m’ingoia, la dolcezza
di tuffarmi in un mare di concetti
e là dentro annegarmi, sprofondare
nell’immensa voragine d’amore
che m’aspira, e sentirmi possedere,
confondermi con Dio, con il Tutto!
La verità non piace. Non soddisfa,
Troppo semplice. Troppo limitata.
Eppure è tutto qua. Si vive. E questo
è Dio, parte di Dio, questo è Natura.
E poi, quando si muore, che cos’altro
si diventa se non un’altra parte
di Dio, della Natura? O ciò che sembra
una trasformazione, il decadere
da uno stato vitale alla figura
inerte della pietra, il degradarsi
del corpo e del cervello a poco a poco
dal fertile prodursi e dalla vita
della materia ad una corruzione
che trasforma l’organico nel modo25
fermo dell’inorganico. Ma fermo,
perché? Si vede un limite, là dove
l’occhio non oltrepassa l’orizzonte.
Il desiderio che attanaglia il cuore,
lo sospinge sull’orlo del dolore,
la ferita di vivere ignorando
la fine della vita, il muro sordo
che separa la voce dal silenzio.
Si vorrebbe sapere. Oltrepassare
il muro. Ma perché? perché la morte
dovrebbe essere fine di un’attesa
e non semplicemente solo fine?
che paura del dopo? e quale dopo?
La paura consiglia sempre il peggio.
Costruisce fantasmi, scalda in petto
vane speranze, fabbrica illusioni.
Continuare, vorrebbero soltanto
continuare. E di fatti si continua,
ma non come si spera. Non c’è niente
che possa indurci a sospirare, dopo
il tramonto dell’ultimo repsiro,
l’alba di un nuovo giorno. Proprio niente.
Ma ti basta saperlo? e sei sicuro
di saperlo? Tra il niente e il tutto, parte
di ciò che sono resta sempre parte
di ciò che è. Non posso uscirne fuori.
Restarne dentro è tutto ciò che sono.
Comunque accada, accade come deve
accadere. Non posso ritoccarne
il percorso. Se grido quale nuovo
angelo26 mi risponderà? Se imploro
la goccia che disseti l’assetato,
quale voce diversa dal silenzio,
che sempre mi ha seguito, avrà risposta
per la preghiera incautamente uscita
dalla mia bocca? Se Baruch27 poteva
sperarlo, come se lo auspicherebbe
Benedetto? Di tutte le figure
che dalla mia disordinata infanzia
mi arrivano a quest’ora, che già sento
per ultima toccarmi, una per una
le sento conficcarsi l’una dentro
l’altra, ma tutte interminabilmente,
anello per anello d’una lunga
e incompiuta catena di ricordi,
a presentarmi questo mio congedo
dalla vita come ultima occasione
di un unico e dolcissimo congedo
da me stesso. Respiro ancora. Forse
non ancora per molto. Mi dispiace
di lasciare incompiuto il mio Trattato
Politico. Ma l’Ethica fu scritta
per intero, parola per parola,
fino all’ultima, quella conclusiva.
Non muoio interamente. E questo, solo
questo, mi dà coraggio di lasciare
la vita e il mondo senza pentimento.
Muore.
La scena resta per qualche minuto vuota. Spinoza giace morto nel suo letto. Entra LODEWIJCK MEYER. Si arresta, fissa il morto. Si avvicina al letto, chiude gli occhi di Spinoza. Va alla scrivania, fruga nei cassetti. Raccoglie tutte le carte, le mette dentro una borsa di cuoio, s’infila nel taschino del giubotto l’orologio d’argento che Spinoza ha lasciato sulla scrivania, ed esce.
Roma, Tor Lupara, Nomentana Hospital, sabato 6 ottobre - Monte Caminetto, Sacrofano, Roma, domenica 16 dicembre 2007.
Revisione, aggiunte e modifiche (colloquio con Huygens, scena del linciaggio dei fratelli De Witt), Sacrofano, Monte Caminetto, Roma, domenica 16 marzo 2008 (Domenica delle Palme).
INDICE
PERSONAGGI pag. 3
Scena 1. “ 6
Scena 2. “ 7
Scena 3. “ 13
Scena 4. “ 24
Scena 5. “ 48
Scena 6. “ 55
Scena 7. “ 68
Scena 8. “ 75
Scena 9. “ 87
Scena 10. “ 102
Scena 11 “ 103
Scena 12. “ 120
1 La z andrebbe pronunciata come la pronunciava, e talora la scriveva, la comunità di ebrei portoghesi di Amsterdam: Spinosa. La scrittura del cognome, inoltre, e probabilmente anche la sua pronuncia, oscillava tra Spinosa ed Espinosa, il mantenimento della z originaria della Spagna non si sa se sia dovuto a rispetto della scrittura originaria o registrasse anche una poco probabile differenza di pronuncia. La lingua spagnola era comunque la lingua letteraria della comunità ebraica di Amsterdam e di altre città dell’Olanda, il portoghese la lingua della comunicazione familiare e quotidiana, l’ebraico veniva usato nella scuola della sinagoga, e per la comunicazione con gli olandesi l’olandese, che però non tutti conoscevano bene, nemmeno Spinoza, e alcuni non conoscevano per niente. Per la comunicazione intellettuale le lingue usate erano il latino e talvolta il francese. Spinoza non conosceva l’inglese. Lesse Hobbes nell’originale latino e in traduzioni olandesi. Il latino di Spinoza è un miracolo di chiarezza. Di Cartesio conosceva sia le opere scritte in latino che quelle scritte in francese.
2 Far sentire l’aspirazione dell’acca: non Ioan, come dicono, e male gli italiani, anche di Bach, ma Iohan, acca aspirata. Il cognome si pronuncia: de Vitt.
3 Pronuncia: Simon Jōsten de Fris.
4 Pronuncia: Trintie (e finale muta) Jōsten de Fris.
5 Pronuncia: Christiān Hoeigens (oei come il francese di oeil). Far sentire l’aspirazione iniziale e la g aspirata come il ch tedesco o la j spagnola..
6 Villelm Bleinburch (il gh=ch finale, occlusivca molto aspirata, come il tedesco Buch o lo spagnolo dibujo).
7 Pronuncia, far sentire l’aspirazione iniziale, come nell’inglese Henry (che è lo stesso nome), e dunque Hendrik fan der Spik.
8 Pronuncia: Fabrizius.
9 Pronuncia: Lodeveik Maier.
10 Far sentire bene l’aspirazione iniziale. Pronuncia: Hautgracht, acht aspirato come nel tedesco Achtung.
11 Pronunciare l’aspirazione finale: come nel tedesco suchen o nello spagnolo mujer.
12 Pronuncia: Reinsburg..
13 Far sentire l’aspirazione finale: Toráh, come ne tedesco ach o nello spagnolo ajo, Torách o Toráj.
14 Come sopra: tedesco brechen, spagnolo eje: Menasséh.
15 Pronuncia: fan Rein.
16 Pronuncia: Breuchel, eu come nel francese dieu, ch come nel tedesco brechen o nello spagnolo eje.
17 Pronunciare l’aspirazione: in nerlandese, la lingua parlata in Olanda, l’acca si pronuncia, come in tedesco e in inglese. Quanto al dittongo ou si pronuncia au. Dunque: Stadhauder.
18 Il nome della fattoria in cui si era rifugiato per sfuggire al contagio della peste e in cui era ospitato dalla sorella di Simon de Vries: De Lange Boogert, il lungo frutteto.
19 1642-1727.
20 Ricordarsi di pronunciare Fabrizius.
21 Pronunciare distintamente l’aspirazione all’inizio della parola.
22 Allusione alla Kabbalah.
23 Pronunciare l’aspirazione iniziale.
24 Ironico: appena aperta, l’Università sarebbe stata chiusa l’anno seguente.
25 I modi della sostanza, da non confondersi con gli attributi.
26 L’angelo nuovo (ciè ultimo) della mitologia ebraica che vive solo l’istante in cui grida la lode di Dio. L’idea piacerà anche a Rilke, di cui qui Spinoza ricalca l’inizio di un’Elegia Duinese, e l’anacronismo è voluto, e piacerà infine a Paul Klee e a Walter Benjamin che sul dipinto di Klee scrive lo straordinario saggio Angelus Novus.
27 Pronunciare bene l’aspirazione finale (l’occlusiva aspiarata ch), come nel tedesco ach o lo spagnolo dibujo. Baruch in ebraico significa Benedetto.
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