Ieri notte, in mezzo alla strada, sulla Tiberina, c’era un
gatto bianco e grigio travolto da una macchina. Ho raccolto il corpicino.
Ancora caldo. E l’ho deposto sull’erba, nelle aiuole che fiancheggiano la
strada. La civiltà umana è nata il giorno che un gruppo di uomini decide di
seppellire propri morti. Nel mondo di oggi sembra di ritornare a un’epoca che
precede questa civiltà. Sulle nostre strade si travolgono uomini senza fermarsi
a soccorrerli. Che meraviglia se si lascia per terra un gatto ammazzato dalle
ruote di un’automobile? E per un attimo ho tremato: così steso per terra,
sembrava il mio Cherubino! Questa è la scintilla che ha acceso la mia riflessione.
Il corpicino di un gatto morto non è nulla per chi non ha nessun rapporto
emotivo con l’animale. Ma per chi può, e teme, di riconoscervi la perdita di un
legame insostituibile, è un impatto che spinge a riflettere sui cardini
dell’esistere. Come quando Aristotele osserva che la nobiltà di una scienza non
si misura con la nobiltà del suo oggetto, bensì con la giustezza del suo metodo
d’indagine. Anche lo studio di un verme (sì, dice proprio così!) può nobilitare
una ricerca scientifica, se il metodo d’indagine è corretto. Ecco, temo (di
nuovo!), invece, che il nostro rapporto con gli animali, oggi, sia distorto. O
un investimento eccessivo, che trasforma l’animale in una creatura che non è,
un essere uguale all’uomo, o addirittura superiore (“gli animali sono migliori
degli uomini”), oppure un cinico disprezzo, che li considera inferiori e perciò
insensibili. Gli uni e gli altri dimenticano che anche noi siamo animali,
mammiferi, come il lupo, il cane, il gatto. Ma anche il delfino, l’orso, la
volpe.
Fiano Romano, 12 novembre 2014
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