Paulo maiora canamus. Leggiamo
John Freccero, grande dantista statunitense (come Charles S.
Singleton, del resto, e non si dimentichi che G. S. Eliot è nato
negli USA: questo per chi ancora si ostina a dire che gli “americani”
sono ignoranti, come se gli italiani fossero un pozzo di scienza!
Qualcuno lo è, esattamente come altrove, anche negli USA), in un
bellissimo saggio, The Significance
of Terza Rima, in Freccero, The Poetics of Conversion, Oxford
University Press, 1888. Freccero, dunque, esamina il senso che ha
nella Commedia l’uso della terzina. E’ diffusa l’idea che il 3
sia un corrispettivo simbolico della Trinità. Ma Freccero va oltre.
Tanto per cominciare la terzina è composta di 3 endecasillabi e
dunque di 33 sillabe. Ma la catena delle terzine prevede un percorso
temporale infinito, se non ci fosse un blocco di due rime all’inizio
e due alla fine di ogni canto: ABA BCB CDC … XYX YZY Z, in
definitica A B C … X Y Z. A e Z hanno solo due rime, non tre. Ora
la successione infinita è lo scorrere del tempo, perché la
successione delle rime scandisce appunto il percorso dei versi nel
tempo della dizione e della lettura. Ma anche il tempo, nell’indagine
di Agostino, ha un inizio, la Creazione, e una fine, il Giudizio. La
sua pienezza è Cristo. Cfr. Confessionum, IV. 10, dove Agostino
confronta l’essere transeunte dell’uomo all’avvicendarsi delle
parole in un discorso, una parola non può essere udita prima che la
parola precedente non si sia estinta, XI, 28, dove Agostino riflette
sull’essenza del tempo. Dio è al di là del tempo. Ma Cristo,
incarnatosi, come scrive San Paolo, ne è insieme il punto di
collisione e la pienezza, il collegamento del senza tempo con il
tempo, l’immissione dell’eterno nel tempo. Perciò la parola
Cristo non ha rima che con sé stessa. “La risposta non può essere
che la seguente – scrive Freccero - : la rima è il movimento della
temporalità, ora il Cristo trascende il tempo”. E pertanto la
terzina rispecchia proprio questo movimento del tempo verso la sua
abolizione: la visione finale di Dio, dove la spirale degli
avvenimenti e delle terzine si conclude, e il pellegrino Dante
diventa il poeta Dante che racconta il suo viaggio. Ci troviamo
perciò in un rapporto di perfetta analogia tra linguaggio e tempo,
tra linguaggio e mondo. Il mondo è come lo dice il linguaggio, è il
poema di Dio, Bibbia, Corano, Avesta che siano. Non si dimentichi che
il Vangelo secondo San Giovanni afferma che all’inizio dei tempi
c’era il linguaggio, in greco Λόγος, che
i latini tradussero Verbum, la Parola, e tale lo leggeva e intendeva
Dante. Ma attribuendo anche lui, come Agostino, al termine Verbum il
significato più ampio di linguaggio: signa sonantia. Significativo
poi che l’immagine di Dio e dei beati non appaia nella Commedia
come un cerchio bensì come una ruota mossa dal Motore Immobile, Dio,
e cioè dall’ “Amor che move il Sole e l’altre Stelle”.
L’extratemporalità di Dio, e dunque del Cristo, che tuttavia è la
congiunzione tra tempo e non tempo, è messa in rilievo anche
dall’uso di latinismi stridenti (il latino come strumento perfetto
della cognizione del tempo, soprattutto Agostino, Confessioni, XI,
28): “ciò che il segno che parlar mi face / fatto avea prima e poi
era fatturo” (Paradiso, VI, 82-3), “quel d’i passuri e quel d’i
passi piedi” (Paradiso, XX, 105). Freccero accenna appena, poi, in
conclusione, al fatto che la dialettica di questo movimento triadico
è simile a quello della dialettica hegeliana. Ma Hegel costruisce la
sua Fenomenologia dello Spirito proprio come Teologo, più che come
Filosofo, particolare non trascurabile (nelle Univeristà tedesche
c’era e c’è ancora la cattedra di Teologia)!
In
margine: ecco qua alcuni punti dei due passi sconvolgenti di Agostino
citati da Freccero.
“Ecce
sic paragitur et sermo noster per signa sonantia. Non enim erit totus
sermo, si unum verbum non decedat, cum sonuerit partes suas, et
succedat aliud” (Confessionum, IV,10).
“Quis
igitur negat futura nondum esse? Sed tamen iam est in animo
expectatiofuturorum. Et quis negat praterita iam non esse? Sed tamen
adhuc est in animo memoria prateritorum. Et quis negat praesens
tempus carere spatio, quia in puncto praeterit? Sed tamen perdurat
perdurat attentio, per quam pergat abesse, quod aderit (Confessionum
XI, 28).
Signa
sonantia! Segni sonori, le parole. Questa intuizione feconderà
secoli di riflessione sul linguaggio, fino a Saussure, fino a Cavalli
Sforza, fino ad oggi.
Corollario:
giustamente Freccero sostiene la necessità di conoscere la teologia
cristiana per capire Dante. Come dobbiamo conoscere la mitologia
greca per conoscere e capire Omero. Che poi, tutto possa essere
“trasportato”, anzi lo si debba fare, alla nostra sensibilità,
alle nostre conoscenze, è un altro discorso. Ma il percorso è da
Dante a noi, dalle conoscenze di Dante alle nostre. E non da noi a
Dante, dalle nostre conoscenze a quelle di Dante. E’ un discorso
fondamentale. Filologico, storico. Sorpassarlo, saltarlo,
fraintenderlo, farebbe fraintendere anche l’opera che diciamo di
apprezzare. Il che non impedisce affatto una nostra rielaborazione,
rivisitazione: ma che risulterà feconda, e davvero attuale, solo
dopo avere bene assimilato tutto il lungo, faticoso, ma prezioso
lavoro dello storico e del filologo. Con tutte le arti. Con tutte le
discipline. Anche con la musica, anzi, soprattutto con la musica. O
qualunque rilettura moderna apparirà fuorviante.
In nota: del libro di Freccero esiste una traduzione italiana, edita dal Mulino.
Fiano
Romano, 20 maggio 2019
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