Federica Marsico, La seduzione queer di Fedra. Il mito secondo Britten, Bussotti e Henze. Roma, Aracne, novembre 2020.
“Forse l’opera è la forma mai raggiungibile, il mistero, come la poesia o il canto”, scrive Christian Lehnert a Hans Werner Henze, durante l’elaborazione del libretto di Phaedra, l’ultima opera del compositore tedesco, rappresentata alla Staatsoper di Berlino nel 2007. Federica Marsico, ricercatrice all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dedica a quest’opera, e ai lavori di Britten e di Bussotti dedicati alla figura di Fedra, uno studio accurato e corposo, e cerca d’impostare l’argomentazione sull’ipotesi di una caratterizzazione queer che si riscontrerebbe nella rappresentazione teatrale e musicale. E’ un indirizzo di ricerca che ha preso piede in USA, assai meno da noi. Ma ci si potrebbe domandare: esistono caratteri tipicamente queer della letteratura, della poesia, del teatro, della musica? Che Shakespeare scriva sonetti d’amore dedicati a un giovane in che cosa modifica la scrittura della poesia d’amore? Il naturalismo, per esempio, non richiede dallo scrittore solo la ricerca di argomenti d’interesse sociale, ma anche di scriverli nella maniera adeguata all’argomento. Esistono pertanto un romanzo naturalistico, uno stile naturalistico. Ma che cos’è uno stile queer, un romanzo queer, un teatro queer? E come il fatto che la passione sia rivolta a persona dello stesso sesso cambia la scrittura, la rimodella? A queste e altre domande cerca di rispondere la studiosa, con analisi minuziose dei testi e delle patiture, illuminanti accostamenti di situazioni all’interno del dramma o da un dramma all’altro. Si occupa della tarda Phaedra di Britten; di Le Racine. Pianobar pour Fhèdre e di Fedra di Sylvano Buttotti, e, infine, di Phaedra di Henze. Il mito di Fedra avrebbe attirato, fin da Euripide, poeti, drammaturghi e musicisti, non solo per i tormenti dell’infelice moglie di Teseo, ma anche e forse soprattutto per l’ambiguità della figura del “casto” Ippolito. Una castità quanto meno forzata, come seguace di Artemide – le infrazioni sono severamente punite nel racconto mitico – e per i lettore e spettatore moderno sospetta, ambigua, tant’è vero che Racine, a nasconderla, tira fuori l’amore del giovane Ippolito per Aricia, amore che suscita la gelosia di Fedra. Indubbiamente in Britten e in Henze il tema della riprovazione sociale dell’omosessualità esiste. Bussotti, invece, spudoratamente, com’è suo costume, rovescia la riprovazione in rivendicazione, esibiscee sfacciatamente l’omosessualità dei personaggi, che, Narciso perfetto, sono il suo specchio, ma pur sempre un specchio drammaturgico, e dunque infedele. Il problema di fondo, però, resta, ed è lo stesso per ciascuno dei tre grandi compositori e drammaturghi: la riprovazione sociale, perché tanto il celarla quanto l’esibirla, l’omosessualità del personaggio o di sé stesi, dimostra che essa non è affatto pacificamente accettata dalla società. Molto finemente Federica Marsico fa notare che lo stesso adulterio di Fedra, e per di più un adulterio considerato allora e anche oggi incestuoso (oggi, a dire il vero, su questo punto si è più tolleranti, ma non troppo e non dovunque), si tratta di una matrigna e di un figliastro, e si potrebbe perciò alludere, nascostamente, alla riprovazione sociale di ogni rapporto che non rientri nella norma sancita dal costume e dalla legge, e dunque anche del rapporto omosessuale, in questo caso Ippolito e Fedra si vedrebbero entrambi respinti dalla morale sociale in quanto l’una adultera e incestuosa e l’altro omosessuale. Nel teatro antico probabilmente questa sanzione non esiste o è diversamente formulata: la castità di Ippolito è dettata dal culto di Artemide, la riprovazione del comportamento di Fedra nasce dal fatto che esso infrange il divieto dell’incesto, oltre al fatto di configurarsi come desiderio adultero. Ma stiamo attenti poi a leggere nel teatro antico indagini psicologiche che gli sono estranee. Perché, a parte la distanza del teatro greco da quello moderno - ma già Seneca segna un passo ulteriore, dopo Euripide, verso una concezione teatrale attenta alla psicologia, e che non tenga conto delle ingiunzioni divine, forse che nega perfino l’esistenza degli dei: “vai nei cieli a testimoniare che gli dei non esistono”, grida Giasone nella Medea senecana, alla fine della tragedia - a parte, dunque, tale distanza, già in Euripide appare una sorta di sgretolamento delle certezze sociali della tragedia come si erano sviluppate nei drammi di Eschilo e di Sofocle: si confronti la diversa reazione di Elettra e Oreste dopo il matricidio, in Eschilo e Sofocle, da una parte, e in Euripide, dall’altra: “Che abbiamo fatto? Abbiamo ucciso nostra madre?” si domanda Oreste, rivolgendosi alla sorella. E qui Dahlhaus, in un mirabile scritto, Euripide, il teatro dell’assurdo e l’opera (in Dal Dramma Musicale alla Literaturoper, trad. it. Roma Astrolabio, 2014), soccorre a mettere in guardia perciò da facili assimilazioni, e a stare attenti a leggere psicologicamente il teatro antico. Ma nella Phaedra di Seneca c’è una battuta di Fedra che potrebbe rivelare la consapevolezza di questo disagio, da riconoscire di trovarsi inuna situazione non ammessa dalle convenzioni sociali. Fedra non osa confessare il suo amore segreto al figliastro e Ippolito la sprona ad aprirsi, che cosa la trattiene? “Curae leves loquuntur, ingentes stupent”, risponde Fedra: Gli affanni lievi parlano, quelli eccessivi ammutoliscono. Ora, la lettura del saggio di Marsico ci suggerisce una domanda: in che cosa la forma, lo stile della scrittura letteraria, teatrale e musicale è modificata dall’assunto di denunciare, o anche solo manifestare una discriminazione, un disagio, dal rivendicare il carattere specifico di un rapporto? Intanto, nel mondo greco il rapporto omosessuale si configura in maniera diversa che nel mondo di oggi, e di ieri, in Europa, e in Occidente, come hanno ampiamente dimostrato gli studi di K.J. Dover (Greek Homosexuality, Harvard University Press, 1978, 19892), John Boswell, Les unions du même sex dans l’Europe antique et médiévale (Paris, Fayard, 1994), Claude Calame, L’Eros dans la Grèce antique, ultima ristampa Paris, Belin, 2009, trad. it. I greci e l’Eros, Laterza, 1992), tra gli altri. Ma per un aggiornamento della questione, anche per le polemiche che suscita l’idea di una Queer Theory, non sarà inutile dare una scorsa a Tutta un’altra questione di Giovanni Dall’Orto, Milano, Il Saggiatore, 2015, e la recensione di Gianni Rossi Barilli su Il Manifesto del 22 luglio 2015. In maniera diversa, forse più complessa, certo, era dagli antichi vissuta l’omosessualità, ma non che il problema non ci fosse. Come dimostra la seconda Satira di Giovenale. Comunque è interessante che nel Filottete Sofocle imposti il rapporto tra Filottete e Neottolemo configurandolo come una sorta di paideia. Marsico non sembra, però, introdurre altra specificazione che la segnalazione di un disagio, da parte del compositore drammaturgo, disagio comune a tutti e tre i musicisti, e che percorre per intero la loro avventura teatrale e musicale. Il rischio, forse, è di confondere biografia e opera. Rischio che Marsico si sforza di aggirare attraverso le attente analisi dei testi, ritornando dunque alla realtà oggettiva della partitura. Un po’ poco, forse, potrà sembrare a qualcuno, per qualificare i dati specifici di allusioni evidenti a una condizione di disagio, per l’adultera, e di discriminazione per l’omosessuale, come segni caratteristici di una scrittura queer. C’è, comunque, ormai da anni, una lunga e fruttuosa ricerca sulla letteratura queer, anzi sulla Queer Theory, che parte dal concetto di closet, chiuso, nascosto, sotterraneo, invisibile, come unico spazio concesso all’espressione e rappresentazione dell’omosessualità. Dagli Stati Uniti, il movimento ha preso piede anche in Italia. Si legga, per esempio, Closet, ma con vista. I queer studies e l’Italianistica di Eleonora Pinzuti sui Cahiers d’études italiennes, in UGA Edition1. Questa ricerca, però, sembra circoscriversi in ambito accademico (lo stesso studio di Marsico è pubblicato da Aracne, ma sostenuto dal Dipartimento di Filosofia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia), non uscire all’aperto di una discussione tra cittadini, come se la percezione dei problemi sociali di un testo, di un dramma, di un romanzo non interessi un pubblico di lettori e di spettatori, per i quali i problemi sociali sono il posto di lavoro, e quelli contenutistici l’attrazione di un intreccio avvincente o la repulsione per un intreccio fiacco. Contenutista e superficialmente informato di scrittura letteraria da sempre, il lettore italiano sfugge ai problemi, e oggi, anzi, più narciso ed edonistico che mai, s’infastidisce se il il libro, il dramma, il film glieli pone. E chi sa che non sia estranea, questa chiusura autoreferenziale degli studiosi, al muro di opposizione e di ostruzionismo che incontra, da anni, in Parlamento, il disegno di legge Zan. Il punto nodale è molto semplice. L’analisi sociologica, e storica, può, e deve, rilevare i condizionamenti che il contesto sociale, le leggi, la morale comune, impongono all’organizzazione di un’opera, tanto più se si tratta di un’opera teatrale, destinata dunque a un impatto immediato con il pubblico. Si pensi alle scappatoie messe in atto da librettisti e da compositori per sfuggire alle censure che colpivano il melodramma nell’Ottocento. Ma quasi mai tali censure finivano per deturpare la concezione del lavoro: il Rigoletto di Verdi non è meno efficace per il fatto che il potente prevaricatore è un modesto Duca di Mantova invece che il Re di Francia Francesco I, come nel dramma di Hugo. Ora, anche le costrizioni, le allusioni, le scritture nascoste e riscontrate da Marsico nelle opere esaminate non intaccano, mi sembra, l’impostazione formale dell’opera, se non, appunto, nel fatto di comunicare messaggi cifrati o di nascondere ciò che in realtà risulta evidente a tutti, anche se non esplicitato. Un’accurata, anche se essenziale, bibliografia arricchisce il testo (ma perché non citare anche il nutrito programma di sala che il Teatro alla Scala distribuì alla rappresentazione di Le Racine di Sylvano Bussotti? C’era, oltre a un mio contributo, anche una mia poesia che lo stesso Sylvano mi aveva chiesto di scrivere per l’occasione). Sono studi che iniziano un percorso. Sicuramente studi che approfondiranno meglio in seguito anche lo specifico estetico dell’opera e chiariranno dunque meglio l’impostazione queer della ricerca. Ma temo – è solo una mia supposizione e forse un mio timore – che la caratterizzazione queer di un’opera non sia così facilmente inquadrabile in un metodo di ricerca, in uno schema formale, nell’individuazione di messaggi più o meno nascosti, più o meno cifrati. Faccio un esempio teatrale, ma non di teatro musicale, bensì di un dramma trasferito anche sullo schermo con i volti di attori prestigiosi, Liz Taylor, Richard Byrton, George Segal e Sandy Dennis: Who's Afraid of Virginia Woolf? - chi ha paura di Virginia Woolf? - di Edward Albee nacque per due coppie di omosessuali, ma le convenienze teatrali convinsero Albee a trasformarlo in un dramma in cui agiscono due coppie eterosessuali. Il mascheramento è totalmente riuscito. Segno che il comportamento di coppia ubbidisce forse a meccanismi simili, se non uguali, in ogni tipo di coppia. Non solo, ma come osserva Giovanni Dall’Orto, “la prima nota dolente – di questi studi (integrazione mia) - si rivela essere questo smascheramento a tutti i costi retroattivo e non richiesto della figura dello scrittore, che più che essere analizzato in quanto mente scrittoria, viene interrogato in quanto omosessuale o eterosessuale2”. Riassumendo: Quanto incide sull'organizzazione formale di una pagina letteraria o teatrale l'orientamento sessuale dell'autore? Sono riconoscibili dati formali caratteristici di una scrittura omosessuale? o dobbiamo accontentarci di riferimenti contenutistici, allusivi, che dunque non incidono sulla forma letteraria o musicale dell’opera?
Al saggio è acclusa una prefazione di Michele Girardi, di cui è illuminante l'attacco: "Gli studi di genere sono un campo difficile da arare". Il lettore è subito orientato a leggere una discussione di problemi, non un'esposizione di certezze.
Fiano Romano, 31 luglio 2021
1https://journals.openedition.org/cei/1081
2In Contro la Queer Theory. Una critica politica, 2012.
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