venerdì 7 ottobre 2016

Gli uccelli

Non sono Aristofane, e non ho dunque la sua divina leggerezza. Ma anche a me gli uccelli suscitano infinite, bellissime visioni.








Saltellano gioiosi sulle foglie
dell’agave, beccando e ribeccando
le piccole formiche, le farfalle,
le mosche che di foglia in foglia in fila
si rincorrono. Il loro cinguettio
disordinato invade tutta l’aria;
dai monti che strapiombano sul mare
alla finestra, l’allegria si  sfrena
sul pavimento bianco della mia
terrazza, e mi si schiude il senso
della vita. Non sembrano diversi,
questi piccoli uccelli, dai più grandi,
presuntuosi animali, che nel mondo
fanno solo più chiasso. Se tra loro
si beccano e svolazzano congiunti,
l’inimicizia non dura che un istante,
presto li vedi svolazzare insieme.
Ma noi, che pace o che guerra s’alza
tra le braccia, ci folgora sul viso?

Ciascuno, nel suo guscio, appare buono.
Ma Rousseau si sbagliava. Noi non siamo
come gli uccelli, quando il loro nido
li visita la madre e spalancati
becchi aspettano il verme che si muove.
Un avido rapace, appena fuori 
del nido, è l’uomo, e nella mischia,
uno sterminatore. Ricercarne
un senso, se si può, non cambia il mondo.
Sul  pianeta, la lotta per la vita,
è furibonda. Ma non vince sempre
chi è più forte, piuttosto chi è più furbo.

Se l’allegria di questi uccelli, il folle
disinibito slancio di buttarsi,
guardo rapito, tornano alla mente
le guerre, gli stermini, le selvagge
distruzioni che fanno della terra
del nemico un deserto. Troppo cauti,
questi homines sapientes, per buttarsi
nell’allegria di vivere. La lieve
spensieratezza di chi vola, pare
impudica. Col piede sulla terra,
cupio dissolvi è l’unico bersaglio
che puntano le frecce della loro
incomprensione. Se di ramo in ramo
sfarfallano gli uccelli e se volando
cinguettano l’amore per la vita,
un dio, chi sa, li approva e ne sorride.
Ma noi, che dio c’infuse questa rabbia?

Gli homines l’amore di sé stessi
con ferocia lo appagano, felici
di sbranare sul trivio lo straniero
che sbarra il passo. Fosse pure il padre,
lo colpisce lo stesso e baldanzoso
torna in città, perché frattanto ha sciolto
gli enigmi della Sfinge. Quanti enigmi
da sciogliere la vita gli riserva!
Ma lui, cocciuto, china gli occhi a terra,
e dal sangue di Urano fecondata,
la terra gli restituisce tutte
le sue furie. Lo accecano per sempre.

Questa festa d’uccelli svolazzanti
davanti alla finestra, un’altra festa,
una furia riaccende e riscatena:
questa mia furia d’inappartenenza,
che non so da che seme generata,
ma non sono, può darsi, un esemplare
del tutto ben riuscito di homo sapiens.

Tholaria, Amorgós, Cicladi, Grecia, 1 - 7 ottobre 2016

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