Oggi mi sono buttato (alla lettera: buttato a corpo morto,
tutto quanto) a un esercizio che si è rivelato entusiasmante. Gli antichi Padri
della Chiesa lo praticavano con la Bibbia. Io l’ho attuato sull’Iliade.
Saltare, a caso, da pagina a pagina, e leggere il primo verso che mi capitava
sotto gli occhi. Tra i molti, uno più bello dell’altro, mi ha colpito questo:
Ὣς εἰπὼν ὁ μὲν αὕτις ἔβη θεὸς ἂμ πόνον ἁνδρῶν ...
(Ρ, 82)
Ciò detto il dio di nuovo venne in mezzo all’angoscia degli uomini
(XVII, 82)
La grandezza di Omero sta in questo raccontare la guerra senza
schierarsi, non esalta l’eroe, non invoca la pace, rappresenta l’orrore della
strage senza giudicarlo. La vittoria di Achille su Ettore è una vittoria vana,
come prima quella di Ettore su Patroclo. Il poema si chiude sulla solitudine di
tutti: di Achille senza l’amico prediletto, di Priamo senza il figlio, di
Andromaca senza il marito, di Astianatte senza il padre. Il lamento di Elena
sul cadavere di Ettore sembra sposare questo sguardo disincantato del poeta, e
piangere non solo l’eroe ammazzato, ma l’eterna e inconsolabile infelicità umana.
Compresa bene dal Foscolo: “e finché il sole /risplenderà sulle sciagure umane”.
Sciagura è bellissima traduzione di πόνος, che io
ho tradotto angoscia. Il termine greco contempla tutti e due i significati.
Intraducibilità della grande poesia. E, come sempre, la grande poesia è lo sguardo
che guarda e non giudica. Come
Shakespeare. Come Goethe. Mi si opporrà che Dante, invece, giudica, anzi sul
giudizio costruisce un intero poema. Ma non è mai un giudizio univoco. E
nessuno sfugge a quest’equiparazione che ignora le discordie umane. Francesca è
colpevole di aver ceduto a un amore adultero, di aver creduto lecito il libito,
come Semiramide. Ma il poeta che le sta di fronte non è meno colpevole di lei.
Anzi, si è illuso che l’amore salvasse, e di questa salvezza si sente proferire
le parole da una dannata: “Amor ch’a cor gentil ratto s’apprende”. Il contrasto
lo folgora, e perde i sensi. Alla faccia di tutti quei commentatori che ancora
si ostinano ad affermare che Dante dimentica di parlare con una dannata. Non
solo non lo dimentica: ma vi riconosce la propria stessa dannazione.
Sono andato lontano. Ma mi piace questo scorrere e volare da un
poeta a un altro, dal verso di un poeta al verso di un altro. E mi viene in
mente, ora, un altro poeta, John Ford, meno grande, certo, di Shakespeare, ma
almeno una tragedia è degna di figurare accanto a Romeo and Juliet, ed è 'Tis Pity She's a Whore, Peccato che sia una
puttana, la scena in cui il fratello rivela alla sorella il proprio amore incestuoso
è meravigliosa. Lui: e adesso che sai questo, che facciamo? Lei: quello che
vuoi. Nessun giudizio, solo rappresentazione delle passioni. O Seneca, Thyestes,
Tieste. Atreo mostra al fratello Tieste le teste dei figli sgozzati e cucinati
e fatti mangiare al padre. Li riconosci? chiede. Tieste: adgnosco fratrem,
riconosco il fratello. Storia di stupro,
di odio e di vendetta. Se ne ricorderà Shakespeare nel Titus Andronicus.
Siamo pronti, noi,
oggi, a capire questo sguardo? Gli orrori nel nostro tempo non mancano. Ma li
lasciamo scivolare via come se non accadessero. E ci salviamo la coscienza
giudicando mostro chi li commette. Dall’omicidio efferato di Luca Varani alle
stragi di Aleppo. Mai che ci passi per la testa che ne siamo partecipi,
responsabili. Erano bravi i grandi poeti a raccontarci il lato nascosto di noi
stessi: noi, oggi, non vogliamo vederlo.
Tholaria, Amorgós,
Cicladi, Grecia, 1 ottobre 2016.
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