domenica 16 dicembre 2018

Maurizio Baglini Project







«Il mio obiettivo» - commenta Maurizio Baglini - «è creare un nuovo punto di riferimento musicale a Roma, dove si possano ascoltare programmi freschi e originali, senza barriere tra i generi. Questa prima edizione accosta Mendelssohn a Gershwin e propone grandi autori del nostro tempo come Azio Corghi e Sofia Gubaidulina. Per quanto riguarda gli interpreti, ho coinvolto colleghi non solo di chiara fama, ma anche disponibili a creare insieme qualcosa di nuovo: vorrei che Villa Torlonia diventasse una sorta di Wigmore Hall romana»

Il pianista pisano sta parlando del suo Maurizio Baglini Project, al Teatro di Villa Torlonia di Roma per la stagione da camera di Roma Tre Orchestra, in collaborazione con l’Università degli Studi di Roma Tre e con il Teatro di Roma. Sono andato alla penultima serata, sabato 15 dicembre.

Ho scritto tante volte che l’arte è sempre arte contemporanea. Anche quando si legge Omero o si guarda un vaso greco. La filologia, l’archeologia, lo studio delle condizioni storiche, anziché allontanare questa contemporaneità, distrarre da essa, la esaltano, la intensificano. L’incontro notturno tra Ettore e Andromaca non vuole essere una condanna della guerra – Omero è pur sempre il poeta di un’aristocrazia guerriera – ma nemmeno ne costituisce un elogio incondizionato. L’Iliade, della guerra ci mostra sia l’eroismo cavalleresco che la ferocia omicida.

La seduzione di un adolescente che certi vasi greci ci mostrano spudoratamente, l’adulto che solletica il sesso del ragazzo, non è né elogio né condanna, ma rappresentazione di una reciproca disponibilità. Siamo, però, sicuri che la nostra società attuale non conosca né la violenza di una guerra né l’attrazione tra un uomo e un ragazzo, al di fuori o indipendentemente dal giudizio morale che se ne possa dare?

L’arte rappresenta, racconta, non giudica. La musica non fa eccezione. Tra l’altro la musica è un’arte asemantica: i significati sono suggeriti da convenzioni retoriche, che cambiano di epoca in epoca, non dalla corrispondenza tra suoni e parole. Tanto meno, comunque, fa eccezione, quando è la musica di un compositore del nuovo, di un musicista avverso a ogni muffa passatista (ma non alla tradizione!), come Schumann. Il Carnaval (e mi raccomando: dire Carnavàl, non Càrnaval) op. 9 si chiude con la marcia degli associati di David (Davidsbündler) contro i Filistei. Chi sono i Filistei, per Schumann? I tradizionalisti, i nostalgici del passato, coloro che ipostatizzano la perfezione in qualcosa che c’è già stato e sono pertanto nemici del nuovo. dell’inesplorato, coloro, cioè, che vogliono, dall’arte – ma anche dalla politica – sempre e solo, la conferma del confermato. Contro costoro marciano gli associati di David, i nuovi artisti, coloro che cercano in tutto, sempre, il nuovo, che anzi vedono il nuovo anche nei grandi del passato, per esempio in Bach, sperimentatore infaticabile della costruzione musicale. Baglini ha chiesto ad Andrea L’Abbate, esperto di figurazione digitale, di costruire immagini che potessero associarsi alle musiche del Carnaval. E le fa proiettare su uno schermo mentre lui suona. Qualche ascoltatore potrebbe sentirsene distratto, ma qualcun altro invece stimolato a riconoscere combinazioni nuove di idee. Tanto più poi che sulla tastiera Baglini ci offre una lettura insieme scrupolosa e modernissima della folgorante partitura. Disturbava un po’ il rumore del proiettore. Ma l’efficacia dell’interpretazione di Baglini sta nell’evidenza con cui si muovono e si percepiscono le varie voci del contrappunto, il senso costruttivo dei processi armonici, il gioco variegato dei timbri pianistici, la differenziazione dei modi d’attacco, la mutevolezza dunque del tocco. 




Ed ecco, subito dopo, il confronto con l’oggi, due partiture di Giancarlo Simonacci fresche d’inchiostro: Sette variazioni su una melodia popolare per pianoforte e Lucide onde per clarinetto in si bemolle e archi. Le variazioni sono un percorso dall’evidenza cantabile del canto popolare ricuperato all’elaborazione via via più astratta della sua conformazione ritmica, melodica, armonica. Si potrebbe dire dalla comprensibilità tonale all’astrazione seriale, sulla quale aleggia, tristissima, l’ombra di Webern. Pezzo bellissimo e di presa emotiva immediata. Alla faccia di chi ancora si ostina a rimproverare a certa Nuova Musica un distacco dall’ascolto dei più. Come se poi il numero di ascoltatori garantisse la qualità di una partitura. Uno non è uguale a uno in nessuna democrazia e tanto meno nell’arte. Non bisogna confondere la validità di una musica con la sua ricezione. Altrimenti Allevi sarebbe Mozart (lui se lo dice da sé) e Rihm un imbrattapentagrammi. Il successivo brano per clarinetto è affascinante. Abilissimo e duttilissimo Luca Cipriano nel sondare gli effetti espressivi, meravigliosi sul clarinetto, ottenuti saltando da un registro all’altro. Il sostegno ondivago degli archi fascia il lamento del clarinetto con un amplesso di irresistibile dolcezza.

Per il brano finale torna sul palcoscenico Maurizio Baglini e c’è al completo la Roma Tre Orchestra diretta da Fabio Sperandio. Ed è un brano mozzafiato di Frédéric Chopin. Nientemeno che le Variazioni op. 2 su “Là ci darem la mano” dal Don Giovanni di Mozart, la pagine che fece esclamare a Schumann: Giù il cappello! Ecco un genio. Titolo di una recensione che coglieva, da subito, l’essenza della musica di Chopin. Ed entrambi, sia Chopin sia Schumann, non avevano allora che 18 anni! Ma aveva ragione Schumann. La partitura è davvero sbalorditiva. Chopin, forse perché anche lui demoniaco, coglie perfettamente il lato demoniaco della musica di Mozart. Altro che seduzione di una ragazza. Qui è in gioco il senso dell’esistenza umana. Già qui, in un’op.2! Nella variazione lenta i minacciosi rulli di timpano sembrano sprofondare l’ascoltatore in zone segrete della mente. E poi c’è ancora chi dice, e scrive, che Chopin non sa scrivere per orchestra! Aveva ragione Brahms: l’orchestra non lo interessa come il pianoforte, e spesso si contenta di una scrittura convenzionale. Ma poi ci sono intuizioni di una modernità sconvolgente. Lo squillo dei corni nel finale del secondo concerto, il tremolo degli archi che sostene la melodia di ottave parallele del pianoforte nel Larghetto del primo concerto: Brahms lo citò nel suo secondo concerto per pianoforte. Ma qui, in queste variazioni, fin dalla prima variazione, con la furia delle dita sulla tastiera, Chopin ci sbalordisce non per il virtuosismo che chiede al pianista (anche!), ma per la febbre che comunica all’ascoltatore. Un trionfo, meritatissimo, accoglie alla fine, con ripetute chiamate, tutti gli interpreti.

Maurizio Baglini Project
Teatro di Villa Torlonia – Roma
dal 13 al 16 dicembre, l’articolo si riferisce al concerto del 15 dicembre
Con il contributo della Regione Lazio, Laboratorio di linguaggio musicale 2018
Agli altri concerti hanno parteipato il pianista Roberto Prosseda e la violoncellista Silvia Chiesa

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