«Il mio obiettivo» -
commenta Maurizio Baglini - «è creare un nuovo punto di
riferimento musicale a Roma, dove si possano ascoltare programmi
freschi e originali, senza barriere tra i generi. Questa prima
edizione accosta Mendelssohn a Gershwin e propone grandi autori del
nostro tempo come Azio Corghi e Sofia Gubaidulina. Per quanto
riguarda gli interpreti, ho coinvolto colleghi non solo di chiara
fama, ma anche disponibili a creare insieme qualcosa di nuovo: vorrei
che Villa Torlonia diventasse una sorta di Wigmore Hall romana»
Il
pianista pisano sta parlando del suo Maurizio Baglini Project, al
Teatro di Villa Torlonia di Roma per la stagione da camera di Roma
Tre Orchestra, in collaborazione con l’Università degli Studi di
Roma Tre e con il Teatro di Roma. Sono andato alla penultima serata,
sabato 15 dicembre.
Ho
scritto tante volte che l’arte è sempre arte contemporanea. Anche
quando si legge Omero o si guarda un vaso greco. La filologia,
l’archeologia, lo studio delle condizioni storiche, anziché
allontanare questa contemporaneità, distrarre da essa, la esaltano,
la intensificano. L’incontro notturno tra Ettore e Andromaca non
vuole essere una condanna della guerra – Omero è pur sempre il
poeta di un’aristocrazia guerriera – ma nemmeno ne costituisce un
elogio incondizionato. L’Iliade, della guerra ci mostra sia
l’eroismo cavalleresco che la ferocia omicida.
La
seduzione di un adolescente che certi vasi greci ci mostrano
spudoratamente, l’adulto che solletica il sesso del ragazzo, non è
né elogio né condanna, ma rappresentazione di una reciproca
disponibilità. Siamo, però, sicuri che la nostra società attuale
non conosca né la violenza di una guerra né l’attrazione tra un
uomo e un ragazzo, al di fuori o indipendentemente dal giudizio
morale che se ne possa dare?
L’arte
rappresenta, racconta, non giudica. La musica non fa eccezione. Tra
l’altro la musica è un’arte asemantica: i significati sono
suggeriti da convenzioni retoriche, che cambiano di epoca in epoca,
non dalla corrispondenza tra suoni e parole. Tanto meno, comunque, fa
eccezione, quando è la musica di un compositore del nuovo, di un
musicista avverso a ogni muffa passatista (ma non alla tradizione!),
come Schumann. Il Carnaval (e mi raccomando: dire Carnavàl, non
Càrnaval) op. 9 si chiude con la marcia degli associati di David
(Davidsbündler) contro i
Filistei. Chi sono i Filistei, per Schumann? I tradizionalisti, i
nostalgici del passato, coloro che ipostatizzano la perfezione in
qualcosa che c’è già stato e sono pertanto nemici del nuovo.
dell’inesplorato, coloro, cioè, che vogliono, dall’arte – ma
anche dalla politica – sempre e solo, la conferma del confermato.
Contro costoro marciano gli associati di David, i nuovi artisti,
coloro che cercano in tutto, sempre, il nuovo, che anzi vedono il
nuovo anche nei grandi del passato, per esempio in
Bach, sperimentatore infaticabile della costruzione musicale. Baglini
ha chiesto ad Andrea L’Abbate, esperto di figurazione digitale, di
costruire immagini che potessero associarsi alle musiche del
Carnaval. E le fa
proiettare su uno schermo mentre lui suona.
Qualche ascoltatore potrebbe sentirsene distratto, ma qualcun altro
invece stimolato a riconoscere combinazioni nuove di idee. Tanto più
poi che sulla tastiera Baglini ci offre una lettura insieme
scrupolosa e modernissima della folgorante partitura. Disturbava un
po’ il rumore del proiettore. Ma
l’efficacia dell’interpretazione di Baglini sta nell’evidenza
con cui si muovono e si percepiscono le varie voci del contrappunto,
il senso costruttivo dei processi armonici, il gioco variegato dei
timbri pianistici, la differenziazione dei modi d’attacco, la
mutevolezza dunque del tocco.
Ed
ecco, subito dopo, il confronto con l’oggi, due partiture di
Giancarlo Simonacci fresche d’inchiostro: Sette variazioni su una
melodia popolare per pianoforte e Lucide onde per clarinetto in si
bemolle e archi. Le variazioni sono un percorso dall’evidenza
cantabile del canto popolare ricuperato all’elaborazione via via
più astratta della sua conformazione ritmica, melodica, armonica. Si
potrebbe dire dalla comprensibilità tonale all’astrazione seriale,
sulla quale aleggia, tristissima, l’ombra di Webern. Pezzo
bellissimo e di presa emotiva immediata. Alla faccia di chi ancora si
ostina a rimproverare a certa Nuova Musica un distacco dall’ascolto
dei più. Come se poi il numero di ascoltatori garantisse la qualità
di una partitura. Uno non è uguale a uno in nessuna democrazia e
tanto meno
nell’arte. Non bisogna confondere la validità di una musica con la
sua ricezione. Altrimenti Allevi sarebbe Mozart (lui se lo dice da
sé) e Rihm un imbrattapentagrammi. Il successivo
brano per clarinetto è affascinante. Abilissimo e duttilissimo Luca
Cipriano nel sondare gli effetti espressivi, meravigliosi sul
clarinetto, ottenuti saltando da un registro all’altro. Il sostegno
ondivago degli archi fascia il lamento del clarinetto con un amplesso
di irresistibile dolcezza.
Per
il brano finale torna sul palcoscenico Maurizio Baglini e c’è al
completo la Roma Tre Orchestra diretta da Fabio Sperandio. Ed è un
brano mozzafiato di Frédéric Chopin. Nientemeno che le Variazioni
op. 2 su “Là ci darem la mano” dal Don Giovanni di Mozart, la
pagine che fece esclamare a Schumann: Giù il cappello! Ecco un
genio. Titolo di una recensione che coglieva, da subito, l’essenza
della musica di Chopin. Ed entrambi, sia Chopin sia Schumann, non
avevano allora
che 18 anni! Ma aveva ragione Schumann. La partitura è davvero
sbalorditiva. Chopin, forse perché anche lui demoniaco, coglie
perfettamente il lato demoniaco della musica di Mozart. Altro che
seduzione di una ragazza. Qui è in gioco il senso dell’esistenza
umana. Già qui, in un’op.2! Nella variazione lenta i minacciosi
rulli di timpano sembrano sprofondare l’ascoltatore in zone segrete
della mente. E poi c’è ancora chi dice, e scrive, che Chopin non
sa scrivere per orchestra! Aveva ragione Brahms: l’orchestra non lo
interessa come il pianoforte, e spesso si contenta
di una scrittura convenzionale. Ma poi ci sono intuizioni di una
modernità sconvolgente. Lo squillo dei corni nel finale del secondo
concerto, il tremolo degli archi che sostene la melodia di ottave
parallele del pianoforte nel Larghetto del primo concerto: Brahms lo
citò nel suo secondo concerto per pianoforte. Ma qui,
in queste variazioni, fin
dalla prima variazione, con la furia delle dita sulla tastiera,
Chopin ci sbalordisce non per il virtuosismo che chiede al pianista
(anche!), ma per la febbre che comunica all’ascoltatore. Un
trionfo, meritatissimo, accoglie alla fine, con
ripetute chiamate, tutti
gli interpreti.
Maurizio
Baglini Project
Teatro
di Villa Torlonia – Roma
dal
13 al 16 dicembre, l’articolo si riferisce al concerto del 15
dicembre
Con
il contributo della Regione Lazio, Laboratorio di linguaggio musicale
2018
Agli
altri concerti hanno parteipato il pianista Roberto Prosseda e la
violoncellista Silvia Chiesa
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