Non è una recensione. Ma una
riflessione, credo attualissima, sulla scrittura di oggi. Ho finito
di leggere in treno, ieri, François, portrait d’un absent,
François, ritratto di un assente, di Michaël
Ferrier. Non è un vero e proprio romanzo, ma nemmeno la stesura di
un ricordo intimo. Tempo fa c’è stata una polemica, in
Italia, sull’ipotizzata
crisi del romanzo italiano
(di nuovo?!). Qualcuno individuava nell’eccesso, a suo dire una
vera e propria saturazione, di romanzi
che sono autofiction.
Come se il nome di un genere, e per di più detto in inglese,
risparmiasse la necessità di un’analisi. Se vogliamo essere
precisi anche la Vita
Nuova di Dante è
un’autofiction. E non mi sembra riuscita male. O che manifesti una
crisi di scrittura. Anzi, incredibile la freschezza di quella prosa
narrativa. Allora il problema non è l’autofiction, ma e se fosse
che mancano scrittori, e scrittori consapevoli (naturalmente con le
dovute eccezioni)? Ordesa di Manuel Vilas (in italiano: In tutto c’e
stato bellezza) è un’autofiction. La sua
prosa è mozzafiato! In
Francia sono usciti quasi contemporaneamente due romanzi (anche
altri, ma qui mi riferisco solo a due) che sono entrambi autofiction.
E anche qui la prosa è splendida. Uno è il romanzo di Ferrier,
citato all’inizio, l’altro rievoca la strage del Bataclan,
Le Lambeau,
di Philippe Lançon. Colpisce
in entrambi l’intensità dell’emozione nel ricordare e la
distanza, il distacco della scrittura.
Eccolo qua il segreto.
Non importa che cosa si voglia raccontare, importa come lo si voglia
raccontare ciò che si racconta. Se non si ha niente da raccontare e
ci si sofferma sulla scrittura si naviga nel vuoto, al più si
costruisce una pagina di inutile estetismo. Spesso nemmeno quello,
semplicemente una scrittura che gira su sé stessa senza raccontare
niente. Oppure si è talmente presi o ci si illude di essere presi
dalla cosa da dire, la trama, la psicologia, che si trascura la
scrittura e si scrivono brutti romanzi, storie banali raccontate
da una scrittura sciatta.
La maggior parte dei romanzi che escono in Italia sono di
quest’ultimo
tipo, banali e sciatti.
Si
respira tutt’altra aria nel romanzo di Ferrier.
Ferrier
ricorda un amico, François Christophe, morto con la figlia undicenne
nelle acque dell’isola La Graciosa, nelle Canarie. Il titolo è un
calco di un film-documentario di François Christophe: Thierry,
portrait d’un absent,
Thierry, ritratto di un assente. Tra
l’altro, un film bellissimo.
Lo struggimento, l’intensità del ricordo sono costruiti dallo
stile. Già il titolo indica in quale direzione si muove il dolore
per la perdita di un amico. La sua assenza che non è mai una vera
assenza ma il permanere del ricordo che rende appunto dolorosa
l’assenza. L’assenza non è un vuoto. E’ la presenza della
perdita, il ritorno
permanente di chi si è perduto.
« On
dit que les grandes douleurs sont muettes,
ou que la souffrance laisse sans voix. Ce n’est pas à fait exact.
Quand un ami meurt, une partie de notre voix meurt pour toujours avec
lui. Ce qui nous reste alors est une voix privée de sa parole, et
plus encore, privée de toute parole, mais qui doit continuer à
parler tout de même, une voix aux prises avec l’innommable
– je ne peux pas continuer, il faut continuer -, une voix comme
cette aube blafarde qui
se lève maintenant sur Tokio, couleur de lilas et de marbre, d’écume
et d’hiver, de froid et de vent, couleur d’amitiés emportés par
le temps. Blanc,
blanc comme la cire des cierges, blanc comme un poignet sanglé,
comme la face du noyé, blanc comme un lit d’hôpital, blanc comme
le masque et les gants. Blanc,
blanc comme des vers blancs,
ceux
qui ne riment pas, les vers désaccordés qui rongent la chair du
cadavre. Blanc, blanc comme la
plume, la neige ou la perle, comme la page blanche où je dois écrire
ces mots maintenant. Toute cette blancheur, il faut la fureur de
l’encre pour l’éteindre ou pour l’apaiser : pour
l’éloigner ou la défaire ; pour la distiller ou pour la
sublimer ».
(Si
dice che i grandi dolori sono muti, o che la sofferenza lascia senza
voce. Non è per niente esatto. Quando un amico muore, una parte
della nostra voce muore con lui per sempre. Ciò che allora ci resta
è una voce privata della sua parola, e più ancora, priva di ogni
parola, ma che deve continuare a parlare lo stesso, una voce alle
prese con l’innominabile – non posso continuare, si deve
continuare –, una voce come quest’alba smorta che si alza adesso
su Tokio, del colore dei lillà e del marmo, di schiuma e d’inverno,
di freddo e di vento, colore di amicizie rapite dal tempo. Bianco,
bianco come la cera dei
ceri, bianco come un polso insanguinato, come la faccia di un
annegato, bianco come un letto d’ospedale, bianco come la maschera
e il guanto. Bianco, bianco come i versi bianchi (sciolti), quelli
che non hanno rima, i versi scordati che rosicchiano la carne del
cadavere. Bianco, bianco come la penna, la neve o la perla, come la
pagina bianca dove devo scrivere adesso queste parole. Tutta questa
bianchezza, ci vuole il furore dell’inchiostro per spegnerla o per
placarla, per allontanarla o disfarla, per distillarla o per
sublimarla).
Ferrier
vive a Tokio, dove
insegna, ormai da
decenni, letteratura
francese. Da qui il riferimento a Tokio, che torna anche in altre
pagine del libro.
Non tutto è così
intenso. Vi sono momenti di stanchezza, digressioni che attenuano
l’intensità del ricordo. Ma sono rari. Tutto il
romanzo-confessione è scritto al calor bianco, non perde quasi mai
il “furore dell’inchiostro”. E’ un monumento all’amicizia,
senza doppi sensi, senza sottintesi omoerotici, come se ne scrivevano
nell’antichità. Non a caso è citato Cicerone. Ma poteva citare
anche le pagine finali dell’Etica a Nicomaco di Aristotele.
Magistrali le pagine dedicate allo studio comune nel collegio, il
racconto delle “canne” di hashish fumate insieme a François e ad
altri compagni. O quelle che ritraggono la delicatezza dell’amore
di François per sua figlia Bahia. Soprattutto: una lettura che non
annoia mai. Fino alla rivelazione finale: è proprio il libro appena
scritto a rendere permanente il ricordo dell’amico.
Michaël
Ferrier, François, portrait d’un absent, Paris, Gallimard, pagg.
236, € 20,00 (in Francia).
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