Le
Ἐκκλησιάζουσαι,
Ekklesiázousai,
le donne al parlamento, come di solito si traduce, di Aristofane,
sono una commedia politica di circa 2.400 anni fa (391 a. C.), che al
solito, ridicolizza le teorie di Socrate, Platone e compagni. In
questo caso l’idea della comunione dei beni, auspicata da Platone
nella Repubblica, per la formazione della classe dirigente
dello Stato. Che cosa può conservare oggi di attuale una commedia
smaccatamente reazionaria, come questa? A parte il fatto che un
dramma o una commedia riusciti sono sempre attuali, con i venti che
tirano, l’attacco a una gestione comunitaria del potere non può
che trovare consensi nel pubblico di oggi. Aristofane poi immagina
che la riforma, o rivoluzione, sia compiuta dalle donne. Proprio a
sminuirne, dunque, l’importanza e l’efficacia. Ma il teatro è
rappresentazione, non comizio, e la rappresentazione può offrirsi a
molte e divergenti interpretazioni. Abilissimo drammaturgo,
Aristofane dà voce anche a personaggi che detesta, sa incarnare
anche idee che non gli piacciono. Atene da Stato democratico stava
diventando preda di demagoghi, oggi diremmo populisti.
L’aristocratico Aristofane li bersaglia. E coglie nel segno, ma
nello stesso tempo solleva questioni che ancora oggi tormentano
popoli e statisti. A cominciare dalle discriminazioni di genere.
La
trama è stranota. Con un colpo di mano le donne s’impossessano
della maggioranza dell’assemblea popolare. E sta iliscono che tutti
i beni siano messi in comune. Anche il sesso: uomini e donne possono
copulare quando, come e con chi vogliono. A patto, però, che prima
di far capriole con un fico fresco e sbarbato, se donna, o con una
fica giovane e seducente, se uomo, si sbatta prima un vecchio o una
vecchia. Anche il cazzo moscio e la fica spelacchiata (Aristofane
quanto a linguaggio non ha imparato dalle Orsoline) hanno diritto
alla chiavata che li facciano godere. Lo esige l’uguaglianza dei
diritti. Su questa tragica e paradossale sconfitta del piacere la
commedia si chiude. E sembra suggerire che il piacere non fa parte
dei propositi di una democrazia. Oppure che invece proprio in questo
consiste la democrazia, che il piacere sia di tutti. La risposta se
la dia ciascuno, tra di sé, quando ha finito di vedere la commedia.
Il teatro non giudica, ma rappresenta.
E
proprio il piacere della beffa sembra muovere gli attori di questa
rappresentazione. Che il pubblico condivide con loro. Con i caldi
venti estivi non cerchiamo cogitazioni più profonde. Bravissima
Prassagora è Giorgia Trasselli. Giancarlo Ratti dà voce al marito
Blepiro. Ma bravi tutti quanti, e agile, spedita l’azione sulla
scena. Che magari, però, la si sarebbe voluta, più scatenata, più
vivacemente teatrale nei ritmi. La traduzione di Ettore Romagnoli
funziona ancora (non così la sua traduzione delle tragedie).
Giancarlo Sammartano ha immaginato la regia, senza gli orpelli
antiquari, che spesso affliggono queste riprese moderne di commedie
antiche. Piacevoli le musiche di Stefano Marcucci, che poteva anche
osare di più sul pedale del musical. Scene essenziali, praticamente
un fondale, di Daniela Catone. Se da qualche parte d’Italia
riappare, andatela a vedere, questa commedia che sembra uno scherzo,
ma ci demolisce, uno per uno, tutti i malsicuri pre-giudizi di genere
e di democrazia che crediamo di possedere.
FONDAMENTA
Teatro
e Teatri
Anfiteatro
Romano di Sutri
Teatri
di Pietra
Le
Donne al Parlamento di Aristofane
traduzione
di Ettore Romagnoli
Regia
di Giancarlo Sammartano
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