Sono stato coinvolto nella
manifestazione, invitato a inaugurarla insieme a Nuria Schoenberg
Nono, e dunque le seguenti righe non vogliono essere una vera e
propria recensione del Festival Luigi Nono alla Giudecca, giunto al
terzo anno, quest’anno con il bellissimo titolo “España
en el corazón”, ma voglio
solo buttare giù una riflessione sulla
musica ascoltata, sui
commenti, le illustrazioni dei brani, il senso di questa musica, e
della musica in generale, nel nostro tempo. Sarò,
spero, scusato, se non scrivo perciò
di tutto quanto è
accaduto, si è ascoltato e discusso. Era,
infatti, questo
del senso della musica, della musica in sé e della musica nel suo
tempo, della collocazione, cioè,
della musica, dell’arte, nel proprio tempo, nella società del
proprio tempo, un tema al quale Luigi Nono ha dedicato una vita. E’
stato anche bersagliato proprio per
l’ostinazione con cui lo ha per così dire sfidato, con
questo tema, il
proprio tempo, sia come atto dello scrivere
oggi, e dunque anche comporre, sia per il
senso che la scrittura ha o
deve avere in rapporto alla società nella
quale si scrive. E’
stato per questo
attaccato il suo impegno politico,
attaccato
soprattutto in Italia, paese, come
si sa, dalle divisioni secolari, paese
che non sa distinguere spesso il messaggio dell’artista dallo
schieramento ideologico dell’artista.
Chiesa del Redentore
La
regina Elisabetta II d’Inghilterra ha nominato, molti
anni fa - si era ancora in piena guerra fredda -
Lady l’attrice Vanessa Redgrave, presidente del Partito Comunista
Britannico. La regina
apprezzava il suo
talento, non perché ne condividesse lo schieramento politico, ma,
perfetta cittadina del paese che ha inventato la democrazia moderna,
perché sa
distinguere il valore di un’artista dal suo impegno politico. Del
resto, circa due secoli fa, Karl Marx e Giuseppe Mazzini, guarda
caso, si sono rifugiati a Londra. In Italia no, non
è così. Non è
un caso che l’opera di Luigi Nono sia, ancora
oggi, diffusissima in Europa e nel mondo,
ammiratissima, eseguitissima, ma
non così in
Italia. Ricordo ancora la gazzarra alla
prima di Intolleranza 60 al Teatro La Fenice di Venezia. Ero
esterrefatto. “Vogliamo musica!” si gridava giù verso
la platea dal loggione. Sembrava la scena
iniziale del film Senso di Luchino Visconti, ma al posto dei
volantini, volavano insulti. La musica, tuttavia,
non c’entrava per
niente. C’entrava, invece,
il fatto che Luigi Nono fosse
comunista, come lo era in Gran Bretagna
Vanessa Redgrave, ma comunista appunto
in Italia e non in Gran Bretagna. E indignava, inoltre,
l’idea teatrale così operaista di
Angelo Ripellino – forse il critico teatrale più illuminato che
abbia mai avuto l’Italia, leggevo le sue critiche sull’Espresso
con avidità, aspettavo l’uscita del settimanale per leggere
Ripellino e Moravia, la sua scrittura faceva rivivere lo spettacolo,
lo raccontava, la ri-rappresentava, esattamente
come Moravia, scrivendone,
faceva vedere il film prima di vederlo. Ripellino è stato, perciò,
il mio maestro di scrittura critica, ma oltre che critico, era un
grande uomo di cultura, amava Praga, la letteratura ceca, amava la
lingua russa e la letteratura russa, e me l’ha fatta amare, devo a
lui la conoscenza di Velimir
Chlebnikov e di Marina Cvetaeva, Oltre che, naturalmente, di Jaroslav
Hašek.
E poi c’erano, in
quel memorabile spettacolo, sulla
scena
le incomprensibili macchie di Emilio Vedova, i suoi indecifrabili
scarabocchi.
Presentazione di Y entonces comprendió, Veniero Rizzardi e Alvise Vidolin
Ecco,
siamo venuti al punto: indecifrabili. Musica senza ritmo e senza
melodia, azione senza capo né coda, scene che sono sgorbi di
psicopatico. Solo un
comunista
può
inventare qualcosa di così respingente e ripugnante. Che
andasse
in Russia, lo
manderebbero
in un gulag, perché, bisogna
riconoscerlo,
i comunisti russi che cosa è l’arte almeno
lo sanno. Queste,
più o meno, le esternazioni di allora.
Non credo che da quei tempi l’Italia sia molto cambiata. Ancora, di
qualcuno è più importante, più qualificante, conoscerne
lo
schieramento ideologico, invece
che
informarsi
su
ciò che veramente dice, scrive, fa. Da secoli: Dante fu mandato in
esilio non per la sua poesia, ma per la sua appartenenza politica. E
allora, nell’ultima serata del Festival, nella chiesa del
Redentore, alla Giudecca, le parole di Massimo Cacciari ci
arrivano
chiarificatrici. Questa musica propone altro da ciò che cerca, da
ciò che chiede il tempo in cui viviamo. Oggi si vuole l’immediato,
si
ubbidisce all’istante della percezione, non se ne cerca né il
prima né il dopo, come
se si vivesse in ciò che uno straordinario scrittore spagnolo,
Miguel Ángel
Hernández
Navarro, chiama
il presente continuo. Si
vuole
in
altre parole
l’emozione dell’istante, la scarica irriflessa della propria
percezione, non
importa conoscerne la natura, capirla, importa consumarla, digerirla:
possibilmente cercarla solo se dà sensazioni di piacere, di
godimento immediato.
La musica di Nono invece è ostica,
chiede riflessione, impone pensiero,
chiede tempo, chiede riflessione, chiede di filtrare la percezione
immediata
tra le griglie lente
del pensiero. Ma non perché sia una musica intellettualistica,
aggiungo io, bensì perché tocca il nodo di ciò ch’è musica, di
ciò ch’è l’esperienza
musicale, in una parola, chiede che ci si disponga a penetrare fino
in fondo l’esperienza dell’ascolto, la
quale
non è la semplice percezione del suono, non è l’udire in
sé,
ma la consapevolezza del senso che
il
suono acquisisce
nella durata della
sua percezione,
del senso, cioè,
che
assume nel nostro pensiero
quel determinato percorso temporale del suono. E allora i due violini
di “Hay que caminar soñando”
bene
rappresentano all’orecchio interiore della mente la contiguità di
spazio e tempo, la reciproca relazione, la reciproca modificazione,
per cui il movimento spaziale dei
suoni
si fa percorso musicale. Bravissimi i due giovani Giulia Pecora e Li
Xinyu, del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino. Forse un po’
spiazzante la vastità della chiesa, dentro
cui i due violini sembravano
smarrirsi,
i lunghi echi delle rifrazioni e delle risonanze accrescere
lo smarrimento.
I violinistiLi Xinyu, Nuria Schoenberg Nono, Serena e Silvia Nono
Il
tema del Festival era, come
suggerisce il titolo,
il rapporto di Luigi Nono con la poesia di lingua spagnola.
Avanguardie a confronto, ho intitolato la mia presentazione. Ma
le serate sono stato introdotte dalla vedova di Luigi Nono, Nuria,
figlia del compositore austriaco Arnold Schoenberg. Nuria
Nono ha
spiegato con parole chiare il senso del ricordo, della permanenza del
ricordo, in
questa musica,
di questa musica. Il
senso della sfida di Nono al proprio tempo. E
dunque il senso del festival. Si
sono così
ascoltate alcune pagine composte da Nono dietro la suggestione, si
direbbe quasi il
suggerimento, o
piuttosto l’enigma
e l’intensità formale della poesia di lingua spagnola. La
fascinazione subita dal compositore per una poesia che sembra di
volta in volta reinventarsi il proprio linguaggio. Bellissima
la ricostruzione di un evento irripetibile come “Y entonces
comprendió,”
del
1970,
che nasce già durante
l’esecuzione
degli
interpreti,
attori
e cantanti,
dal loro
lavoro
di scavo
nel suono della parola, lavoro
non predeterminato
da una partitura, ma
affidato all’invenzione del momento, e poi riprodotto secondo il
percorso di
quell’invenzione, attentamente fissata nel programma dell’azione
successiva degli interpreti.
Perfetta, avvincente, quasi una nuova interpretazione, la
ricostruzione e restituzione “acusmatica” di Alvise Vidolin,
presentata con chiarezza da Veniero Rizzardi. Vidolin, insostituibile
regista,
al monitor di comando.
Caminantes,
no hay camino, hay que caminar, camminanti, non c’`cammino, c’è
da camminare, iscrizione letta
da
Nono
sul muro di una
chiesa di Toledo, e
ritrovata, variata, nelle poesie di Antonio Machado, è
un po’ la linea guida. Il cammino della scrittura come specchio del
cammino della vita. Ma la meta non è prefissata, il
cammino indica una direzione, non una meta. Il lavoro dell’artista,
come quello dell’uomo, nella società, non arriva mai a una vera
fine, a una conclusione. Sembra che Beethoven, prima di morire, abbia
dichiarato: mi sembra di avere appena incominciato, ho tante cose
ancora da dire. La lezione di Nono non è diversa. Nè diverso è il
messaggio che assume dalla poesia spagnola. Sul camminare Antonio
Machado costruisce tutta una poetica. Come Lorca nei romances e nelle
canciones. Il gitano, suo modello, non ha stabile dimora, è
viandante, nomade.
Virgilio Sieni e una bambina
Ma
sarebbe lungo riferire di tutte le interessantissime e stimolanti
manifestazioni – indimenticabile il lavoro con il proprio corpo e
con il corpo di una bambina e di alcune donne del pubblico che
Virgilio Sieni - troppo riduttivo definirlo coreografo - ha
realizzato sulla traccia sonora di “La lontananza nostalgica
utopica futura” (1988! trent’anni fa). L’ossimoro
di un’utopia al
contempo
nostalgica
e
futura
definisce bene il senso di questa musica: il percorso del tempo,
attraversato dal suono, è, nell’ascolto, una proiezione di ciò
che si vorrebbe, si dovrebbe forse essere, questa calma sussurrata,
questo ripiegarsi della musica in
sé stessa, questa percezione dell’impercepibile, e dunque
dell’utopico, che ci fa scendere al nodo di noi stessi, a ciò che
Aristotele chiamerebbe τὸ τί ἦν εἶναι,
l’essere ciò che si era, e i latini hanno chiamato essentia,
essenza,
tramandandoci
il vocabolo a tutta la filosofia moderna, ma in qualche modo anche
fraintendendo la complessità dell’espressione aristotelica, ecco,
quest’ossimoro è il nodo di tutta la musica di
Nono: si
ascolta – non si ode, ma si ascolta - proiettata
nell’ascolto, l’essenza
di
ciò che dovremmo essere e non siamo. Se ci si riflette sopra un
poco, l’atteggiamento di Nono non è poi tanto diverso da quello di
Beethoven che fa intonare al coro finale della Nona Sinfonia “Sei
umsclungen, Millionen” (siate
intrecciati, milioni |di uomini|, abbracciatevi, milioni |di
uomini|).
O
quando, nel Fidelio, fa arrivare il Governatore a salvare Florestano.
Utopia della verità, della giustizia. Cose che non sono di questa
terra, che non stanno in “nessun luogo”, ma che senza di esse
lascia
la
terra infelice. Lo scrive già Dante in un bellissimo sonetto, “Se
vedi li occhi miei di pianger vaghi”,
in cui chiede a Dio di inviare sulla terra la giustizia: “ché
sanza lei non è in terra pace”. E allora, perché Nono
subisce questo
richiamo duraturo, costante alla poesia di lingua spagnola?
Cominciamo
dal titolo del festival: “España
en el corazón”, Spagna
nel cuore,
che
è anche il titolo di una raccolta poetica di Pablo Neruda ispirata
dai tragici avvenimenti delle guerra civile spagnola. La stessa che
ispira il
poeta peruviano
César Vallejo a scrivere “España,
aparta de mí este cáliz”, Spagna,
allontana da me questo calice, e
Picasso a dipingere Guernica. Non
sono testi facili. Non è
una
pittura immediatamente
intellegibile. Chi
cerca l’immediatezza è servito: questa poesia, questa pittura,
richiedono tempo, riflessione, pensiero. Agiscono sull’immediato
degli avvenimenti, sull’évènementiel,
come direbbe il
grande storico francese Braudel,
ma lo trascende, lo ripensa per
farne il
percorso interiore del pensiero che riflette
sulla storia, sul tempo, sulla vita, sulla morte. L’impegno del
poeta, del pittore, non si estrinseca in un manifesto, in un
proclama, in uno slogan, ma elabora una scrittura, un disegno che
alla complessità dei fatti, della realtà, faccia corrispondere non
già una figura semplificata, ma
la complessità analoga
della
scrittura, della pittura. In una parola: la complessità del
linguaggio, sia esso logico verbale, musicale, pittorico. Perché
– come sostiene Aristotele, e nessuno è riuscito finora a
smentirlo - è solo attraverso il linguaggio che noi conosciamo il
mondo. Ma allora, anche la musica, anche la pittura, sarebbero
linguaggio? Solo in senso analogico. In
quanto anche la musica, anche la pittura, più che linguaggio, sono
pensiero, pensiero pittorico, pensiero musicale, non traducibili,
però,
se
non per analogia, in pensiero logico, verbale. C’è un pensare
musicale che non è il pensare del poeta o del filosofo, ma
un’esperienza del mondo che si traduce in suono, anzi, più
esattamente, un’esperienza del suono del mondo che si traduce in
suono pensato, in un percorso logico, coerente, costruito, del suono,
che non è il percorso della natura, ma il percorso del pensiero che
lo costruisce. Ecco ciò che affascina Nono nella poesia spagnola. La
costante attenzione al linguaggio, ai meccanismi del linguaggio, come
se ogni volta che un poeta spagnolo scrive poesia riflettesse anche
su come si scrive la poesia. Nella tradizione italiana manca, in
genere,
questa esperienza poetica, salvo forse in
Dante e Leopardi, e
pochi altri.
Ma nella poesia spagnola
questa riflessione è invece
costante,
si
pensi solo a Góngora.
Ma perfino nel fluviale, oceanico Lope de Vega (ha scritto
più di 2.000 commedie, oltre a moltissime
poesie, e
poemi, poemetti, scritti
vari)
la riflessione sulla scrittura è continua, e non solo perché scrive
una commedia su come si scrive una commedia (lo farà anche Goldoni),
El arte nuevo de hacer comedias, l’arte nuova di fare commedie, ma
perché i suoi
personaggi
sembrano non dimenticarsi
mai di essere personaggi, di recitare la
loro vita
su una scena (qualcosa di analogo avviene anche nel suo contemporaneo
Shakespeare, soprattutto
in As you like it).
Nella Dorotea, tale atteggiamento è esasperato, intensificato
al
punto che Leo Spitzer può scriverci sopra un saggio illuminante su
che cosa sia la letteratura: Die Literarisierung des Lebens in Lope’s
“Dorotea”, la letteraturizzazione
della vita nella Dorotea di Lope, tradotto in italiano con il titolo
Vita in forma di Letteratura nella Dorotea di Lope de Vega da Maria
Borriello e pubblicato da Lithos, Roma,
nel 2015, con una bella prefazione di Roberto Gigliucci.
Ensemble Luigi Nono
Ora,
è proprio questa capacità della scrittura di riflettere su sé
stessa che affascina Luigi Nono. La sua musica non è, anch’essa,
nient’altro che una musica che pensa sé stessa, una
musica che esibisce
nel
suo procedere sé stessa, quasi illustra
il modo con cui è stata costruita. A Nono ciò pare la maniera più
pertinente di mostrarsi artista impegnato nei problemi del proprio
tempo: la sua musica non è politica perché sposa la causa di una
partito, di un’ideologia (anche!), ma perché propone il
rinnovamento della società attraverso il rinnovamento del fare
musica o, meglio, offrendo nella propria musica il modello di come ci
si rinnova, di come si costruisce l’arte
nuova, e dunque
l’uomo nuovo. E, soprattutto,
si mostra
com’è fatto l’ascolto di questo uomo nuovo. Il
cui approdo finale sarà il Prometeo, tragedia dell’ascolto.
Qualsiasi tentazione realistica sarebbe, per
Nono.
un tradimento, perché il realismo, anche
il realismo socialista,
non riproduce la realtà, ma l’immagine che ci piace vedere della
realtà. E Nono non cerca l’immagine della realtà, cerca il τὸ
τί ἦν εἶναι,
l’essenza,
della
realtà. In
arte, l’essenza è la forma. Cercare dunque la forma di scrittura
che rifletta il pensiero dell’artista sulla realtà è il compito
fondamentale dell’artista, il vero compito anche del suo impegno
politico. Impegno, che sarebbe tradito da una forma provvisoria,
superficialmente imitativa, che non colga il nodo con cui
la realtà è legata
al pensiero.
Tutto
il festival è stato un’illustrazione perfetta di questo principio.
Sul quale non dovremmo mai stancarci di riflettere, perché cedere
anche solo su un punto, magari per ottenere più facile consenso,
sarebbe tradire il compito dell’artista, che non è di sposare
questa o quella causa politica, echeggiandone gli slogan
propagandistici, o accarezzare l’ignavia dei lettori, degli
ascoltatori, degli spettatori, proponendo loro opere immediatamente –
eh già! immediatamente
– comprensibili, ma compito
o. meglio, funzione dell’artista è costruire – già: costruire -
opere che costringano il lettore, lo spettatore, l’ascoltatore a
percorrere lo stesso laborioso percorso di pensiero con cui l’artista
ha costruito l’opera.
Ai
concerti sono state abbinate letture delle poesie, esecuzioni di
musiche andaluse scritte dallo stesso Lorca, una mostra di bellissimi
quadri e incisioni di pittori amici di Nono, Tàpies, Vedova
Corneille, Mirò, in una splendida galleria ricavata dagli edifici di
una bocciofila.
Grazie,
Nuria Schoenberg Nono. Grazie, Serena e Silvia Nono, che ci avete
invitati
a ripercorre questo necessario tragitto di consapevolezza di come un
artista, riflettendo sul mondo, ci restituisca poi di questo mondo,
anzi di questa sua riflessione sul mondo, il pensiero con cui
pensarlo.
Venezia, Giudecca, 11, 12, 13 ottobre 2019