Federico Faloppa, Brevi
lezioni sul linguaggio, Torino, Bollati Boribghieri, 2019, pagg.
222, € 16,00
Brevi
lezioni sul linguaggio di Federico Faloppa è stato elogiato,
giustamente, da ottime recensioni sulla Domenica del Sole24Ore
e sul Tuttolibri della Stampa e presentato e discusso
in varie università e istituzioni culturali italiane. Il successo e
l’immediata diffusione sono meritatissimi. Queste righe, però,
non vogliono essere un’altra recensione, ma esporre alcune
riflessioni suscitatemi dalla sua lettura. Intanto è il libro di un
linguista, e la prima cosa che colpisce il lettore è l’agilità
della lingua in cui è scritto. A cominciare dal titolo: non già
“brevi lezioni sulla linguistica”, “bensì brevi lezioni sul
linguaggio”. Non sulla discussione dell’oggetto, le teorie sul
linguaggio, ma sull’oggetto stesso della discussione, cioè il
linguaggio, La discussione, secolare, anzi millenaria, e recente, sul
linguaggio è tuttavia sottesa ad ogni rigo, ma non è l’oggetto
del libro. L’oggetto delle lezioni è informare il lettore su che
cosa sia il linguaggio. Il saggio dunque non insegna la linguistica a
un incompetente di linguistica ma suggerisce a un incompetente di
linguistica come diventarne competente.
Di
fatto, poi, però, può trarne stimoli anche il competente. Se non
altro, stimoli a come sforzarsi di esporre chiaramente problemi
complessi senza per questo semplificarli. Che è, in genere, il
difetto principale della divulgazione scientifica in Italia.
Semplificare un problema non lo rende più comprensibile, ma lo fa
anzi fraintendere. Esporlo invece in tutta la sua complessità, non
nasconderne i lati irrisolti, sembrerà strano, ma lo rende invece
più comprensibile. Se per spiegare che cosa sia l’essenza per
Aristotele mi limito a dire che è la natura peculiare di una cosa,
faccio una tautologia che semplifica, dice in altro modo ciò che
dice Aristotele, ma non spiego che cosa Aristotele intenda per
essenza. Tra l’altro uso il termine che la Scolastica ha
tramandato, essentia, non l’espressione che Aristotele usa per
definire l’essenza di una cosa: τὸ τί ἦν
εἶναι (pronunciato: to ti ēn
éinai), e
significa “il ciò che era essere”, vale
a dire il permanere sempre la stessa cosa nel tempo, essere sempre
ciò che era. E’
un’espressione della lingua parlata, non una astruseria filosofica.
Ma non si presta a equivoci e ambiguità, e qui sta la sua efficacia.
Come
si è potuto leggere, per spiegare che cosa sia l’essenza per
Aristotele non mi sono arrampicato sulla scala di concetti astrusi,
ma ho spiegato il funzionamento linguistico dell’espressione usata
da Aristotele. Usando termini comprensibili a tutti. Ecco, Faloppa fa
esattamente questo: spiega il linguaggio con il linguaggio. Lo stile
è colloquiale, ma non familiare: è studiato in modo che le idee
sembrino nascere dal procedere stesso del discorso, passo passo.
Probabile che la frequentazione degli ambienti accademici britannici
– insegna Storia della lingua italiana e Sociolinguistica
all’Università di Reading – gli abbiano resa naturale la facoltà
tutta britannica di spiegare fluidamente i problemi scientifici senza
semplificarli. Intanto comincia con il
mettere in guardia dal confondere linguaggio e lingua. Esistono molti
linguaggi, ma solo il linguaggio umano si sviluppa in molte lingue, e
costituisce pertanto una differenza specifica dell’homo sapiens. E
come impariamo a parlare, quando l’uomo ha cominciato a parlare? E’
qualcosa che apprendiamo o esiste una struttura fisica congenita che
ereditiamo, un gene, che predispone il bambino a parlare? Il problema
resta aperto anche tra gli studiosi.
Il
linguista americano Noam Chomsky ipotizza il LAD (Language
Acquisition Device, dispositivo per l’acquisizione del linguaggio)
comune nella struttura fisiologica di tutti gli uomini. Certo è che
la posizione eretta ha modificato gli apparati fonatori, quelli con
cui emettiamo i suoni, e di conseguenza anche, nel nostro cervello,
la capacità di riconoscerli e di riprodurli. Niente di strano,
dunque, se, nel cervello si fosse formata una struttura che riconosce
lo schema con cui a questi suoni abbiamo attribuito un significato.
Ma leggete nel libro di Faloppa l’appassionante racconto di questa
evoluzione. Non ultimo, e straordinario, merito del libro, è di non
perdersi dietro fumisterie concettuali astratte, ma seguire punto per
punto l’evoluzione materiale della specie che denominiamo homo
sapiens. E’ come mettersi alle spalle l’abusata distinzione di
spirito e materia, che tante astruse ipotesi sul linguaggio ha
elaborato, per concentrarsi sugli sviluppi reali, materiali,
dell’evoluzione umana.
Il
che non significa che il linguaggio non possa spingersi in regioni di
estrema astrazione, ma questo riguarda il suo uso, non la sua
probabile origine e il suo funzionamento. E
a questo funzionamento pensano i linguisti. L’uso è materia di
sociologi e di filosofi. I campi sono interconessi, ma distinguerli
chiarisce la prospettiva dalla quale si parla e si scrive del
linguaggio. Fonologia, semiologia, sono termini che a molti fanno
venire l’orticaria. Faloppa ci aiuta a capire quale sia il loro
campo d’indagine e a che cosa servano. In poche parole ci spiega
perché sono necessarie per capire come funziona il linguaggio. Al
riguardo consiglio il lettore di leggere con attenzione, e
introiettare attentamente alcune lezioni: “gli alberi della
sintassi (e alcuni loro frutti)”, pagg. 92-96; “neuroni e
sinapsi”, pagg. 146-150; e, infine, “parlanti si nasce o si
diventa?”, pagg. 167-174, alla quale
segue la lezione nella quale si spiega che cosa sia il LAD,
“l’inafferrabile LAD”, pagg. 174-181.
In
quest’ultima lezione si affronta un problema fondamentale:
l’importanza dell’intonazione con cui pronunciamo le frasi.
Un’affermazione non è detta allo stesso modo di una domanda:
perfino in lingue, come l’inglese, il francese, il tedesco, che
costruiscono diversamente affermazione e domanda l’intonazione
della frase cambia a seconda si si tratti dell’affermazione o della
domanda. “Jacob is happy
today” non suona allo stesso modo di ”is Jacob happy today?”.
Immaginiamo le differenze in lingue, come
l’italiano, lo
spagnolo, il greco che non prevedono disposizioni
delle parole diverse per l’affermazione e
la domanda. Il latino, invece, sta a metà strada: conosce avverbi,
pronomi, strutture grammaticali che distinguono la domanda
dall’affermazione. Su queste differenze
d’intonazione, ma anche sulle
interiezioni, il grande linguista francese
Benvéniste ha ipotizzato l’origine del canto e della musica e
Diderot osservava nel Settecento che il canto gli sembrava una
silizzazione del grido animale. Faloppa va ancora più indietro,
spiega il senso e il rapporto dei gesti con il linguaggio, ipotizza
addirittura un’evoluzione dal gesto, al canto, al linguaggio, come
nel mondo antico avevano già ipotizzato Epicuro e Lucrezio.
Ma
sono tante le suggestioni di questo libro, gli stimoli di queste
lezioni. Nascono idee, raccordi, riflessioni, alla lettura, che
coinvolgono, di ciascuno, anche la propria formazione linguistica.
Almeno su di me ha prodotto questo effetto, e queste brevi
riflessioni ne sono solo una minima dimostrazione. Per
esempio, quanto, già negli antichi, e non solo nella classicità
grecoromana, ma per esempio nell’India antica, la riflessione sul
linguaggio sia stata continua e feconda. Aristotele intuisce, tra
tante altre intuizioni geniali, soprattutto di logica, due proprietà
che restano ancora oggi generalmente accettate: la specificità del
linguaggio umano e il fatto che ad avere senso non è la singola
parola, ma la frase. L’uomo è definito da Aristotele
come “animale bipede che ha il linguaggio”. Ma
qui si aprirebbero altri e controversi discorsi. A cominciare dal
significato da attribuire a logos, linguaggio, che i latini
traducono ratio, nella Scolastica diventato sinonimo di ragione, da
cui la traduzione fuorviante di “animale razionale”. In ogni
caso, en passant, l’uomo è razionale proprio perché parla, perché
ha il linguaggio, e questo anche per la Scolastica. E’ nel
linguaggio comune – altra discussione – che l’espressione si è
banalizzata e ha perso ogni contatto con il senso originario di
possesso del linguaggio. Ma mi sono dilungato forse già troppo. La
lettura del libro chiarirà, meglio di queste note, la complessità e
ricchezza del discorso di Faloppa sul discorso, sul logos, tanto per
restare nella terminologia aristotelica, ma
di fatto su ciò che oggi intendiamo per linguaggio e in particolare
per linguaggio umano.
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