mercoledì 2 ottobre 2019

Federico Faloppa, Brevi lezioni sul linguaggio







Federico Faloppa, Brevi lezioni sul linguaggio, Torino, Bollati Boribghieri, 2019, pagg. 222, € 16,00

Brevi lezioni sul linguaggio di Federico Faloppa è stato elogiato, giustamente, da ottime recensioni sulla Domenica del Sole24Ore e sul Tuttolibri della Stampa e presentato e discusso in varie università e istituzioni culturali italiane. Il successo e l’immediata diffusione sono meritatissimi. Queste righe, però, non vogliono essere un’altra recensione, ma esporre alcune riflessioni suscitatemi dalla sua lettura. Intanto è il libro di un linguista, e la prima cosa che colpisce il lettore è l’agilità della lingua in cui è scritto. A cominciare dal titolo: non già “brevi lezioni sulla linguistica”, “bensì brevi lezioni sul linguaggio”. Non sulla discussione dell’oggetto, le teorie sul linguaggio, ma sull’oggetto stesso della discussione, cioè il linguaggio, La discussione, secolare, anzi millenaria, e recente, sul linguaggio è tuttavia sottesa ad ogni rigo, ma non è l’oggetto del libro. L’oggetto delle lezioni è informare il lettore su che cosa sia il linguaggio. Il saggio dunque non insegna la linguistica a un incompetente di linguistica ma suggerisce a un incompetente di linguistica come diventarne competente.

Di fatto, poi, però, può trarne stimoli anche il competente. Se non altro, stimoli a come sforzarsi di esporre chiaramente problemi complessi senza per questo semplificarli. Che è, in genere, il difetto principale della divulgazione scientifica in Italia. Semplificare un problema non lo rende più comprensibile, ma lo fa anzi fraintendere. Esporlo invece in tutta la sua complessità, non nasconderne i lati irrisolti, sembrerà strano, ma lo rende invece più comprensibile. Se per spiegare che cosa sia l’essenza per Aristotele mi limito a dire che è la natura peculiare di una cosa, faccio una tautologia che semplifica, dice in altro modo ciò che dice Aristotele, ma non spiego che cosa Aristotele intenda per essenza. Tra l’altro uso il termine che la Scolastica ha tramandato, essentia, non l’espressione che Aristotele usa per definire l’essenza di una cosa: τὸ τί ἦν εἶναι (pronunciato: to ti ēn éinai), e significa “il ciò che era essere”, vale a dire il permanere sempre la stessa cosa nel tempo, essere sempre ciò che era. E’ un’espressione della lingua parlata, non una astruseria filosofica. Ma non si presta a equivoci e ambiguità, e qui sta la sua efficacia.

Come si è potuto leggere, per spiegare che cosa sia l’essenza per Aristotele non mi sono arrampicato sulla scala di concetti astrusi, ma ho spiegato il funzionamento linguistico dell’espressione usata da Aristotele. Usando termini comprensibili a tutti. Ecco, Faloppa fa esattamente questo: spiega il linguaggio con il linguaggio. Lo stile è colloquiale, ma non familiare: è studiato in modo che le idee sembrino nascere dal procedere stesso del discorso, passo passo. Probabile che la frequentazione degli ambienti accademici britannici – insegna Storia della lingua italiana e Sociolinguistica all’Università di Reading – gli abbiano resa naturale la facoltà tutta britannica di spiegare fluidamente i problemi scientifici senza semplificarli. Intanto comincia con il mettere in guardia dal confondere linguaggio e lingua. Esistono molti linguaggi, ma solo il linguaggio umano si sviluppa in molte lingue, e costituisce pertanto una differenza specifica dell’homo sapiens. E come impariamo a parlare, quando l’uomo ha cominciato a parlare? E’ qualcosa che apprendiamo o esiste una struttura fisica congenita che ereditiamo, un gene, che predispone il bambino a parlare? Il problema resta aperto anche tra gli studiosi.

Il linguista americano Noam Chomsky ipotizza il LAD (Language Acquisition Device, dispositivo per l’acquisizione del linguaggio) comune nella struttura fisiologica di tutti gli uomini. Certo è che la posizione eretta ha modificato gli apparati fonatori, quelli con cui emettiamo i suoni, e di conseguenza anche, nel nostro cervello, la capacità di riconoscerli e di riprodurli. Niente di strano, dunque, se, nel cervello si fosse formata una struttura che riconosce lo schema con cui a questi suoni abbiamo attribuito un significato. Ma leggete nel libro di Faloppa l’appassionante racconto di questa evoluzione. Non ultimo, e straordinario, merito del libro, è di non perdersi dietro fumisterie concettuali astratte, ma seguire punto per punto l’evoluzione materiale della specie che denominiamo homo sapiens. E’ come mettersi alle spalle l’abusata distinzione di spirito e materia, che tante astruse ipotesi sul linguaggio ha elaborato, per concentrarsi sugli sviluppi reali, materiali, dell’evoluzione umana.

Il che non significa che il linguaggio non possa spingersi in regioni di estrema astrazione, ma questo riguarda il suo uso, non la sua probabile origine e il suo funzionamento. E a questo funzionamento pensano i linguisti. L’uso è materia di sociologi e di filosofi. I campi sono interconessi, ma distinguerli chiarisce la prospettiva dalla quale si parla e si scrive del linguaggio. Fonologia, semiologia, sono termini che a molti fanno venire l’orticaria. Faloppa ci aiuta a capire quale sia il loro campo d’indagine e a che cosa servano. In poche parole ci spiega perché sono necessarie per capire come funziona il linguaggio. Al riguardo consiglio il lettore di leggere con attenzione, e introiettare attentamente alcune lezioni: “gli alberi della sintassi (e alcuni loro frutti)”, pagg. 92-96; “neuroni e sinapsi”, pagg. 146-150; e, infine, “parlanti si nasce o si diventa?”, pagg. 167-174, alla quale segue la lezione nella quale si spiega che cosa sia il LAD, “l’inafferrabile LAD”, pagg. 174-181. 

 

In quest’ultima lezione si affronta un problema fondamentale: l’importanza dell’intonazione con cui pronunciamo le frasi. Un’affermazione non è detta allo stesso modo di una domanda: perfino in lingue, come l’inglese, il francese, il tedesco, che costruiscono diversamente affermazione e domanda l’intonazione della frase cambia a seconda si si tratti dell’affermazione o della domanda. “Jacob is happy today” non suona allo stesso modo di ”is Jacob happy today?”. Immaginiamo le differenze in lingue, come l’italiano, lo spagnolo, il greco che non prevedono disposizioni delle parole diverse per l’affermazione e la domanda. Il latino, invece, sta a metà strada: conosce avverbi, pronomi, strutture grammaticali che distinguono la domanda dall’affermazione. Su queste differenze d’intonazione, ma anche sulle interiezioni, il grande linguista francese Benvéniste ha ipotizzato l’origine del canto e della musica e Diderot osservava nel Settecento che il canto gli sembrava una silizzazione del grido animale. Faloppa va ancora più indietro, spiega il senso e il rapporto dei gesti con il linguaggio, ipotizza addirittura un’evoluzione dal gesto, al canto, al linguaggio, come nel mondo antico avevano già ipotizzato Epicuro e Lucrezio.

Ma sono tante le suggestioni di questo libro, gli stimoli di queste lezioni. Nascono idee, raccordi, riflessioni, alla lettura, che coinvolgono, di ciascuno, anche la propria formazione linguistica. Almeno su di me ha prodotto questo effetto, e queste brevi riflessioni ne sono solo una minima dimostrazione. Per esempio, quanto, già negli antichi, e non solo nella classicità grecoromana, ma per esempio nell’India antica, la riflessione sul linguaggio sia stata continua e feconda. Aristotele intuisce, tra tante altre intuizioni geniali, soprattutto di logica, due proprietà che restano ancora oggi generalmente accettate: la specificità del linguaggio umano e il fatto che ad avere senso non è la singola parola, ma la frase. L’uomo è definito da Aristotele come “animale bipede che ha il linguaggio”. Ma qui si aprirebbero altri e controversi discorsi. A cominciare dal significato da attribuire a logos, linguaggio, che i latini traducono ratio, nella Scolastica diventato sinonimo di ragione, da cui la traduzione fuorviante di “animale razionale”. In ogni caso, en passant, l’uomo è razionale proprio perché parla, perché ha il linguaggio, e questo anche per la Scolastica. E’ nel linguaggio comune – altra discussione – che l’espressione si è banalizzata e ha perso ogni contatto con il senso originario di possesso del linguaggio. Ma mi sono dilungato forse già troppo. La lettura del libro chiarirà, meglio di queste note, la complessità e ricchezza del discorso di Faloppa sul discorso, sul logos, tanto per restare nella terminologia aristotelica, ma di fatto su ciò che oggi intendiamo per linguaggio e in particolare per linguaggio umano.

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