“Compositore discontinuo, ma
di estrema e perversa seduzione”, scrissi di Rachmaninov nella
recensione, per il Robinson della “Repubblica”, della precedente
incisione che Trifonov dedicava al secondo e quarto concerto per
pianoforte, intitolata: Destination Rachmaninov. Departure. Siamo
giunti all’Arrival: primo e terzo concerto, preceduti, il primo
dalla trascrizione pianistica dello stesso Trifonov del primo
movimento della cantata Le campane che Rachmaninov compose su testo
di Edgar Allan Poe, il terzo concerto dalla trascrizione, sempre i
Trifonov, della 14a
delle Canzoni op. 34, intitolata Vocalizzo, ispirata alla poesia The
Bells di E.A, Poe, ma che Trifonov rinomina Le campane d’argento
della slitta. La poesia di Poe è tra le sue ultime, disperatissima.
“The tintinnabulation that
so musically wells
From the bells, bells, bells,
bells,
Bells, bells, bells,
From the jingling and the
tinkling of the bells”.
Un musicista non può che
restare affascinato da una tale accumulazione di di allitterazioni,
rime, assonanze e consonanze. L’annuncio della partenza e
dell’arrivo.
Si può essere non grandi
ammiratori della musica di Rachmaninov, e io sono tra questi, ma è
impossibile negare la sua “russità” e, contro ogni apparenza,
anche la sua perfetta impostazione moderna. Di romantico qui non c’è
proprio niente. Rachmaninov raccoglie i gesti della retorica
romantica e li svuota di senso, li offre come pura intenzione di una
significazione che non arriva mai. Non c’è vera melodia, ma un
melodizzare senza punti di sostegno, potrebbe sembrare una melodia
“infinita”, alla quale accenna lo stesso Trfonov nel booklet, ma
è pittosto l’intenzione, invece,
di una melodia, e non c’è narrazione armonica, ma macchie
armoniche, come pennellate buttate a caso, in realtà calcolatissime.
Trifonov, pianista che come Mida fa oro di tutto ciò che tocca, lo
prende alla lettera e sfoggia tutta una serie di gesti pianistici che
stanno sospesi su un abisso in cui non c’è niente. Mai un
abbandono, mai un delibare timbri, o un compiacersi di sfumature
inusitate di tocco. Ma solo un repertorio di gesti, appunto.
Espressione di una “nostalgia
spirituale”, dice Trifonov. Appunto: di un mondo che non c’è più
e non può essere restituito. Il termine inglese longing, nel
booklet, usato da Trifonov, e tradotto in tedesco con Sehnsucht, è
azzeccatissimo: qualcosa di meno sentimentale della parola italiana
“nostalgia”, qualcosa di più complesso, di più disperato.
Collaboratore perfetto, a capo della Philadelphia Orchestra, Yannick
Nézet-Seguin trasferisce nei timbri orchestrali il gesto e il
distacco post-romantico del pianoforte. L’avventura spiazzante del
Novecento, che è insieme una perdita del porto da cui si è partiti
e la mancanza di qualsiasi approdo, sia pure provvisorio, è qui al
suo punto d’arrivo, anch’esso provvisorio. Ad altri il compito di
demolire poi, definitivamente, gli approdi, e costruire di nuovi, ma
ahimè anch’essi provvisori. Come sapeva benissimo un conterraneo
sia di Rachmaninov sia di Trifonv: Stravinskij. Tra gli estremi del
viaggio, in qualche punto, Trifonov sembra suggerire Šostakovič.
Ma
senza l’acido corrosivo della sua ironia, contegno
intellettuale che Rachmaninov ignora.
Danil Trifonov
Destination Rachmaninov –
Arrival
Piano Concertos 1 & 3
The Philadelphia Orchestra –
Yannick Nézet-Séguin
Deutsche Grammophon 4836617
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