DINO VILLATICO
PRIAPEIA
Carminis incompti lusus lecture procaces,
conveniens Latio pone supercilium.
non soror hoc habitat Phoebi, non Vesta sacello,
nec quae de patrio vertice nata dea est,
sed ruber hortorum custos, membrosior aequo,
qui tectum nullis vestibus inguen habet.
aut igitur tunicam parti praetende tegendae,
aut quibus hanc oculis aspicis, ista lege.
1.
Mio se, amico, l’abisso che racchiudi
potessi al punto dirlo e possedere
da sprofondarvi dentro il cuore, tutto
già so che per le vene scorrerebbe
pervasiva e profonda la delizia
da fartene tremando palpitare
tutte le tue papille, e là finendo
fluidificato tuo mi sentiresti
dalla bocca che parla all’altra muta
che sospirando amore mi contiene.
2.
Non altro aspetto, amico, dal tuo darti
che questa interminata e invereconda
mescolanza del mio con il tuo
sfinirci, fino all’ultima feconda,
biancastra stilla che fluisce intatta
dalle nostre insaziabili fontane,
avide non so più chi di noi due
abbia l’una per l’altra ingurgitanti
le bocche, se di sopra, la loquace,
o tutte le altre, sparse per il corpo,
di sotto, sulla faccia, dappertutto,
che per aprirsi parlano d’amore.
3.
Scorrete, fiumi, dilagate, acque,
esondate sorgenti, traboccate,
torrenti, diluviate, profumate
piogge, inebriatemi per ogni fiato,
fluidi amorosi, nettari divini,
penetratemi ovunque, e ricolmato
di voi, qualunque sia la vostra bocca
che, vinta, mi dispensa il suo liquore,
io berrò tutto, assorbirò la linfa
che mi cammina nelle vene, il vino
che m’inebria, la fiamma che mi accende.
4.
Non finirei, suppongo, di lasciarmi
da te tutto da capo ai piedi il corpo
innaffiarmi coi tiepidi e dorati
scrosci della tua più segreta ambrosia:
ne coglierò lo spumeggiante flutto
in una coppa, e lo berrò per trarne
l’intima entelechia che t’invera
nel momento in cui libero ti doni.
5.
Ripeteremo il rito un’altra volta,
e sarò io che dono a te l’ambrosia,
tu mi berrai e sentirai nel sorso
come per te si effonde la mia vita,
e si scioglie nel flusso che t’inonda,
così che me nel flusso ingoierai.
6.
L’ultima soglia di un rapito dono
vuoi tu che oltrepassiamo? Vuoi che il nostro
furore di rimescolarci, e l’ansia
d’impastare le nostre paste, tratte
che siano da quel profondo buco
darwiniano che le lavora, ci si
faccia nuova materia e nuovo impasto?
Io te l’offrirò quella materia,
e mi offrirai tu la tua. L’impasto
ci rigenererà, assaporato
l’uno dell’altro l’intimo sapore.
Follia di depravati, ci diranno:
ma noi conosceremo la follia,
che non c'è amore se non c'è follia,
conosceremo, anzi, la sua saggezza:
non c’è saggezza che non sia follia.
(revisione: 6 novembre 2025)
7.
Ma se fosse rinascita, riciclo
di sostanze, rimpasto di materia,
invece, questo rimescolamento
della nostra materia? Ne divoro
già la sublime pasta, ancora prima
che tu me la rovesci nella bocca,
già solo ripensandola venire.
La bocca che non parla saprà dirlo
quando avide le nostre labbra schiuse
succhieranno laggiù l’interna cosa:
materia che scompone la materia,
o fibra che rigenera le fibre.
Ultima soglia - o prima? - della vita.
8.
Fatto così tua preda, e trasformato
nel vaso che ti accoglie, anch’io, vedrai,
mi farò per amarti altra sorgente
che t’inonda, fontana che t’innaffia,
e verserò anch’io nella tua bocca
il nettare che inebria, il profumato
effluvio che di me ti colma, il denso,
interminato, miele che addolcisce,
per ogni vena, il cuore. Noi saremo
così l’uno per l’altro, l’uno e l’altro,
uno stesso liquore, un solo soffio
dell’alito perenne, perturbante,
che mescola il respiro delle cose
con il respiro che alimenta in noi
la nostra interminabile sostanza,
quella che materiata t’offre il labbro
da cui mi succhi e che mi chiedi, vita
che dell’Amore è aroma, ed è sostanza,
è la materia in noi sempre infinita,
che in noi da noi per l'altro è fatta e spinta.
(revisione: 6 novembre 2025)
9.
L’oscura bocca bramo che non parla,
dentro guardarla e sprofondarvi gli occhi,
i suoi meandri ansioso investigare,
e là finire dove più mi dono,
interminato bacio senza labbra,
dolcissimo fluire di profumi:
tuo nel perenne assorbimento d’ogni
tua cellula, e tu mio, in questo mutuo
assimilarci nel divino impasto.
(revisione: 6 novembre 2025)
10.
E se di te laggiù qualcosa avvenga
che s’attacchi e si mescoli al tuo vino,
oh suprema delizia, innamorata
voglia, con te confondermi beato,
l’ambrosia con il nettare composti,
fatto tua preda il succo e mio diletto
l’intreccio di sostanze e di profumi,
l’effondersi del corpo in altro corpo,
io morirò venendo, morirai
per me donando, l'uno e l'altro colmi
del liquore dell'altro, inabissati,
l'uno e l'altro, nel morbido fior-fiore
di sé stessi, delizia che in Olimpo
è pasto degli dei, quaggiù delirio
che infinita rimpasta la materia
del sogno che sogniamo l'uno e l'altro
assimilando da noi stessi il fuoco
che infiamma e incenerisce il desiderio:
un'unica sostanza i nostri corpi
l'uno nell'altro sprofondati e sfatti.
(revisione: 6 novembre 2025)
11.
Da limpida fontana più di questa
preziosa e generosa non mi sgorga
ambra più dolce l’amorosa canna,
né spumeggiante e tiepido più vivo
l’ansimante liquore: né più salsa
o effervescente l’odorata spuma.
Che alla fine, brindando da noi stessi,
dopo il pasto sublime che ci sfama,
l’effervescenza dell’interno umore,
anima mia, io più che tuo, sprofondo
materia di te stesso, nel tuo corpo.
12.
Se poi più densa, e bianca e profumata
si fa l’ambrosia, come più placata
godrò l’estrema goccia, o più ficcante
il grumo che m’incanta e mi pervade?
Dovunque tu mi colga, sarò tuo,
e mia sarà la tua sovrabbondanza.
E’ questa estrema goccia, amore mio,
l’essenza che ci avvera, la sostanza
che ci dà vita e che abolisce il male.
Fiano Romano, 15 agosto - Brescello, 25 agosto 2020
Revisione e rimodulazione, Fiano Romano, 24 giugno 2021
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