venerdì 7 novembre 2025

Priapeia

 

DINO VILLATICO


PRIAPEIA


Carminis incompti lusus lecture procaces,

conveniens Latio pone supercilium.

non soror hoc habitat Phoebi, non Vesta sacello,

nec quae de patrio vertice nata dea est,

sed ruber hortorum custos, membrosior aequo,

qui tectum nullis vestibus inguen habet.

aut igitur tunicam parti praetende tegendae,

aut quibus hanc oculis aspicis, ista lege. 


1.


Mio se, amico, l’abisso che racchiudi

potessi al punto dirlo e possedere

da sprofondarvi dentro il cuore, tutto

già so che per le vene scorrerebbe

pervasiva e profonda la delizia

da fartene tremando palpitare

tutte le tue papille, e là finendo

fluidificato tuo mi sentiresti

dalla bocca che parla all’altra muta

che sospirando amore mi contiene.


2.


Non altro aspetto, amico, dal tuo darti

che questa interminata e invereconda

mescolanza del mio con il tuo

sfinirci, fino all’ultima feconda,

biancastra stilla che fluisce intatta

dalle nostre insaziabili fontane,

avide non so più chi di noi due

abbia l’una per l’altra ingurgitanti

le bocche, se di sopra, la loquace,

o tutte le altre, sparse per il corpo,

di sotto, sulla faccia, dappertutto,

che per aprirsi parlano d’amore.


3.


Scorrete, fiumi, dilagate, acque,

esondate sorgenti, traboccate,

torrenti, diluviate, profumate

piogge, inebriatemi per ogni fiato,

fluidi amorosi, nettari divini,

penetratemi ovunque, e ricolmato

di voi, qualunque sia la vostra bocca

che, vinta, mi dispensa il suo liquore,

io berrò tutto, assorbirò la linfa

che mi cammina nelle vene, il vino

che m’inebria, la fiamma che mi accende.


4.


Non finirei, suppongo, di lasciarmi

da te tutto da capo ai piedi il corpo

innaffiarmi coi tiepidi e dorati

scrosci della tua più segreta ambrosia:

ne coglierò lo spumeggiante flutto

in una coppa, e lo berrò per trarne

l’intima entelechia che t’invera

nel momento in cui libero ti doni.


5.


Ripeteremo il rito un’altra volta,

e sarò io che dono a te l’ambrosia,

tu mi berrai e sentirai nel sorso

come per te si effonde la mia vita,

e si scioglie nel flusso che t’inonda,

così che me nel flusso ingoierai.


6.


L’ultima soglia di un rapito dono

vuoi tu che oltrepassiamo? Vuoi che il nostro

furore di rimescolarci, e l’ansia

d’impastare le nostre paste, tratte

che siano da quel profondo buco

darwiniano che le lavora, ci si

faccia nuova materia e nuovo impasto?

Io te l’offrirò quella materia,

e mi offrirai tu la tua. L’impasto

ci rigenererà, assaporato

l’uno dell’altro l’intimo sapore.

Follia di depravati, ci diranno:

ma noi conosceremo la follia,

che non c'è amore se non c'è follia,

conosceremo, anzi, la sua saggezza:

non c’è saggezza che non sia follia.


(revisione: 6 novembre 2025)


7.


Ma se fosse rinascita, riciclo

di sostanze, rimpasto di materia,

invece, questo rimescolamento

della nostra materia? Ne divoro

già la sublime pasta, ancora prima

che tu me la rovesci nella bocca,

già solo ripensandola venire.

La bocca che non parla saprà dirlo

quando avide le nostre labbra schiuse

succhieranno laggiù l’interna cosa:

materia che scompone la materia,

o fibra che rigenera le fibre.

Ultima soglia - o prima? - della vita.


8.


Fatto così tua preda, e trasformato

nel vaso che ti accoglie, anch’io, vedrai,

mi farò per amarti altra sorgente

che t’inonda, fontana che t’innaffia,

e verserò anch’io nella tua bocca

il nettare che inebria, il profumato

effluvio che di me ti colma, il denso,

interminato, miele che addolcisce,

per ogni vena, il cuore. Noi saremo

così l’uno per l’altro, l’uno e l’altro,

uno stesso liquore, un solo soffio

dell’alito perenne, perturbante,

che mescola il respiro delle cose

con il respiro che alimenta in noi

la nostra interminabile sostanza,

quella che materiata t’offre il labbro

da cui mi succhi e che mi chiedi, vita

che dell’Amore è aroma, ed è sostanza,

è la materia in noi sempre infinita,

che in noi da noi per l'altro è fatta e spinta.


(revisione: 6 novembre 2025)


9.


L’oscura bocca bramo che non parla,

dentro guardarla e sprofondarvi gli occhi,

i suoi meandri ansioso investigare,

e là finire dove più mi dono,

interminato bacio senza labbra,

dolcissimo fluire di profumi:

tuo nel perenne assorbimento d’ogni

tua cellula, e tu mio, in questo mutuo

assimilarci nel divino impasto.


(revisione: 6 novembre 2025)


10.


E se di te laggiù qualcosa avvenga

che s’attacchi e si mescoli al tuo vino,

oh suprema delizia, innamorata

voglia, con te confondermi beato,

l’ambrosia con il nettare composti,

fatto tua preda il succo e mio diletto

l’intreccio di sostanze e di profumi,

l’effondersi del corpo in altro corpo,

io morirò venendo, morirai

per me donando, l'uno e l'altro colmi

del liquore dell'altro, inabissati,

l'uno e l'altro, nel morbido fior-fiore

di sé stessi, delizia che in Olimpo

è pasto degli dei, quaggiù delirio

che infinita rimpasta la materia

del sogno che sogniamo l'uno e l'altro

assimilando da noi stessi il fuoco

che infiamma e incenerisce il desiderio:

un'unica sostanza i nostri corpi

l'uno nell'altro sprofondati e sfatti.


(revisione: 6 novembre 2025)


11.


Da limpida fontana più di questa

preziosa e generosa non mi sgorga

ambra più dolce l’amorosa canna,

né spumeggiante e tiepido più vivo

l’ansimante liquore: né più salsa

o effervescente l’odorata spuma.

Che alla fine, brindando da noi stessi,

dopo il pasto sublime che ci sfama,

l’effervescenza dell’interno umore,

anima mia, io più che tuo, sprofondo

materia di te stesso, nel tuo corpo.


12.


Se poi più densa, e bianca e profumata

si fa l’ambrosia, come più placata

godrò l’estrema goccia, o più ficcante

il grumo che m’incanta e mi pervade?

Dovunque tu mi colga, sarò tuo,

e mia sarà la tua sovrabbondanza.

E’ questa estrema goccia, amore mio,

l’essenza che ci avvera, la sostanza

che ci dà vita e che abolisce il male.


Fiano Romano, 15 agosto - Brescello, 25 agosto 2020

Revisione e rimodulazione, Fiano Romano, 24 giugno 2021

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