Una meraviglia. Il nitore dello spazio immaginato da Zaha Hadid, il Maxxi di Roma, Museo del XXI secolo, sembra rispecchiare perfettamente il nitore della scrittura di Stravinskij. Impareggiabile Daniele Gatti: una miracolosa fusione di ritmo e timbro, come se a danzare fossero appunto i timbri dei diversi strumenti. Queste pagine di Stravinskij dovrebbero essere ascoltate da tutti coloro che hanno un'idea fossilizzata delle "avanguardie" del Novecento e pensano che la cura di tanta musica per loro inascoltabile possa essere Ludovico Einaudi o, peggio, Giovanni Allevi. Quanta libertà! che non è arbitrio, ma invenzione di nuove geometrie sonore. La tonalità è un tabù solo per chi ne ha paura. E così pure la scrittura con i dodici suoni – dodecafonia è un termine che non piaceva a Schoenberg così come non gli piaceva atonale – e l’avventura seriale darmstadtiana e postdarmstadtiana, sono anch’esse libertà, libertà d’inventarsi le regole, magari per il piacere d’infrangerle, come confessa Boulez: degli epigoni, comunque, poi è elegante tacere. Partiture stupende, miracolose, queste di Stravinskij. E tutte a loro modo tonali: il Concerto “Dumbarton Oaks”, del 1938, Danses Concertantes, del 1942, le due Suite per piccola orchestra, la prima del 1925 e la seconda del 1921, ma pubblicata dopo. Ciò che sfugge ai troppi che alla musica chiedono solo emozione, melodia, ritmi riconoscibili è che proprio l’emozione, la melodia, il ritmo riconoscibile si ottengono non già se te li imponi come fine, ma se li usi come elementi di una costruzione che cerca altro. Il battito deciso che attacca la quinta di Beethoven non è un’astuzia per catturare l’attenzione dell’ascoltatore – e francamente molte partiture di oggi, sia neotonali sia pseudoavanguardistiche, mi paiono nient’altro che astute – bensì un pilastro per costruire un edificio che comunica ben altri e più complessi messaggi. Ecco: complessità. E’ ciò che distingue la musica veramente pensata dalla musica viscerale, in altre parole la musica dalla non musica. E si badi che pensata è anche la musica popolare, improvvisata, il jazz, perché ubbidiscono alle regole di una tradizione. La musica che non si pensa non è musica. Ma ciò che ancora più conquista e mente e cuore di questo bellissimo concerto è l’affiatamento tra orchestra e direttore. Daniele Gatti sembra penetrare anche il sussulto di una pausa di semicroma nell’andamento di questa musica, coglie perfettamente quanto ritmo e melodia non siano fattori separati della forma ma elementi di una sola composizione – appunto, il termine “composizione” nasce proprio per indicare il lavoro del musicista che scrive musica: mette insieme, compone, gli elementi a sua disposizione, melodia, ritmo, colore strumentale. Va detto che la compenetrazione paritetica dei fattori è fin dall’inizio, fin dall’Uccello di fuoco, una cifra individuale propria della scrittura di Stravinskij. Il compositore russo pensa contrappuntisticamente tutti gli elementi della composizione, ritmo, timbro, melodia. L’armonia ne è il risultato, non la premessa. Anche quando si riappropria di procedimenti tonali la tonalità stravinkiana non assomiglia alla tonalità di nessun altro musicista né del passato, né suo contemporaneo, né tanto meno dei suoi contemporanei neoclassici: la scrittura di Stravinskij ha sempre un livello di complessità – ma anche di ambiguità, di liquidità, si potrebbe quasi dire – in più. Che nasce proprio dal pensare contrappuntisticamente ogni livello, ogni elemento, e non solo la melodia, ma anche il ritmo, anche il timbro. Da qui la difficoltà di tenere insieme tutte queste prospettive musicali, nessuna prevalente sull’altra, ma tutte coordinate a un’unica costruzione. Ecco, la chiarezza con cui Daniele Gatti ha fatto percepire tutto questo ha del miracoloso, e la si poteva percepire questa chiarezza anche dalla sobrietà, dall’essenzialità dei gesti, come se bastasse muovere un dito della mano, o arrestare in aria la mano, per suggerire ai musicisti dell’orchestra che cosa dovessero fare. E l’orchestra del Teatro dell’Opera ha risposto con precisione ed entusiasmo, alla precisione, alla finezza, all’entusiasmo intellettuale con cui Daniele Gatti ha letto queste straordinarie partiture stravinkiane. Un solo rimpianto: ci sarebbe piaciuto essere là, tra le pareti del Maxxi, e ascoltarla dal vivo questa musica. Ma succederà. Prima o poi succederà. Ti aspettiamo, caro Maestro Daniele Gatti!
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