martedì 26 luglio 2022

L'io molteplice

 




L’IO MOLTEPLICE


        


Sic amet ipse licet, sic non potiatur amato!

P. Ovidi Nasonis Metamorphoseon, III, 405

Quod petis, est nusquam. Quod amas, avertere, perdes.

P. Ovidi Nasonis Metamophoseon, III, 4331

1Che così possa egli amare, che così non ottenga l’amato! Ovidio, Metamorfosi, III, 405. Chi cerchi, non c’è in nessun luogo. Ciò che ami, vòltati, lo perderai. Ovidio, Metamorfosi, III, 433.


Il limite perfetto, nelle cose

d’amore, è oltrepassare la brutale

età del discontento, la stagione

che docile si adatta nell’attesa

d’incanti condivisi, di fugaci

vincoli eterni, perché presto è tempo

quando termine del desiderare

si propone lo stesso desiderio,

ed è limite di una illimitata

insensibilità, definitivo

sigillo di un perenne sospirare.


È fantasia perciò lo spasimare

per un immaginario ma preciso

brivido di giunzione, la sofferta

attiguità di un corpo, di una voce,

il fuggevole ma dolente tocco

di un dito sulla mano, lo sfiorare

delicato del labbro sulla guancia

ma non si osa sperare un oltre, l’ansia

di fallirlo spaura o dissiparlo,

come una posta giocata male, un gioco

di fortuna, nell’attimo fecondo

in cui si avverte insieme la scintilla

del contatto indicibile dei corpi,

e l’immediato, mai ricatturato

dileguarsi del sogno che li unisce.


Ma è la luce a negarmi ciò che il buio

spasimando mi prospettava: in questo

buio dei sensi, se non della ratio

che dispone il collasso, e lo asseconda,

amico, amico, io muoio senza morte,

mi accendo senza fuoco, e senza labbra

bacio le labbra che se a me dischiuse,

chi sa, mi schiuderebbero infernale

qualunque paradiso, un Graal, può darsi,

che folle, ma non puro, ancora inseguo,

ne scruto tra il fogliame rinsecchito

lo sfolgorio smorzato che si spegne.


Non ho l’età, cantava una canzone,

che nessuno, può darsi, oggi ricorda,

o se mai la Cinquetti, bambinetta

che desta nei maturi spettatori

di Sanremo chi sa che voglie a lungo

inconfessate di pedofilia,

è lei che viene a mente, per turbarla,

e allora l’inadeguatezza è certa:

ma se ristretto è il calcolo del tempo,

s’allungano i miei anni oltre un confine

ragionevole di condivisione,

avverto la distanza ormai da un ieri

di comoda acquiescenza, com’è l’oggi

dal punto visionario dell’orgasmo.


Il tempo che mi resta, è tempo ormai

di contatti evitati, è tempo estremo

di rinuncia, perché più niente, vedo,

mi riallaccia al presente, ma non trovo

nel passato, anche un ieri, un altro ieri,

né un io né un tu che oggi

potrebbero, chi sa, formare un noi.


Nell’immaginazione, tuttavia,

precorro ciò che la realtà mi toglie,

le ripetute mie sconfitte scambio

con un oggi che me le risarcisca,

e là, nel mio concluso iperuranio,

dove vive l’idea che mi dà senso,

anch’essa però copia del mio sogno,

del sogno che ogni giorno mi cattura

se penso a te, se l’eventualità

di un altro adesso in cui pensarti

prenda la forma del tuo corpo, ebbene,

in quello spazio sgombro e separato,

spazio della mia immaginazione,

amico, amico mio, come d’incanto

è materia la forma di un plurale,

di un io, di un tu, che prendono sostanza

da questo indefinito smascherarci.


Itaca, 17-18 luglio – Fiano Romano, 26 luglio 2022


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