L’IO MOLTEPLICE
Sic amet ipse licet, sic non potiatur amato!
P. Ovidi Nasonis Metamorphoseon, III, 405
Quod petis, est nusquam. Quod amas, avertere, perdes.
P. Ovidi Nasonis Metamophoseon, III, 4331
1Che così possa egli amare, che così non ottenga l’amato! Ovidio, Metamorfosi, III, 405. Chi cerchi, non c’è in nessun luogo. Ciò che ami, vòltati, lo perderai. Ovidio, Metamorfosi, III, 433.
Il limite perfetto, nelle cose
d’amore, è oltrepassare la brutale
età del discontento, la stagione
che docile si adatta nell’attesa
d’incanti condivisi, di fugaci
vincoli eterni, perché presto è tempo
quando termine del desiderare
si propone lo stesso desiderio,
ed è limite di una illimitata
insensibilità, definitivo
sigillo di un perenne sospirare.
È fantasia perciò lo spasimare
per un immaginario ma preciso
brivido di giunzione, la sofferta
attiguità di un corpo, di una voce,
il fuggevole ma dolente tocco
di un dito sulla mano, lo sfiorare
delicato del labbro sulla guancia
– ma non si osa sperare un oltre, l’ansia
di fallirlo spaura o dissiparlo,
come una posta giocata male, un gioco
di fortuna, nell’attimo fecondo
in cui si avverte insieme la scintilla
del contatto indicibile dei corpi,
e l’immediato, mai ricatturato
dileguarsi del sogno che li unisce.
Ma è la luce a negarmi ciò che il buio
spasimando mi prospettava: in questo
buio dei sensi, se non della ratio
che dispone il collasso, e lo asseconda,
amico, amico, io muoio senza morte,
mi accendo senza fuoco, e senza labbra
bacio le labbra che se a me dischiuse,
chi sa, mi schiuderebbero infernale
qualunque paradiso, un Graal, può darsi,
che folle, ma non puro, ancora inseguo,
ne scruto tra il fogliame rinsecchito
lo sfolgorio smorzato che si spegne.
Non ho l’età, cantava una canzone,
che nessuno, può darsi, oggi ricorda,
o se mai la Cinquetti, bambinetta
che desta nei maturi spettatori
di Sanremo chi sa che voglie a lungo
inconfessate di pedofilia,
è lei che viene a mente, per turbarla,
e allora l’inadeguatezza è certa:
ma se ristretto è il calcolo del tempo,
s’allungano i miei anni oltre un confine
ragionevole di condivisione,
avverto la distanza ormai da un ieri
di comoda acquiescenza, com’è l’oggi
dal punto visionario dell’orgasmo.
Il tempo che mi resta, è tempo ormai
di contatti evitati, è tempo estremo
di rinuncia, perché più niente, vedo,
mi riallaccia al presente, ma non trovo
nel passato, anche un ieri, un altro ieri,
né un io né un tu che oggi
potrebbero, chi sa, formare un noi.
Nell’immaginazione, tuttavia,
precorro ciò che la realtà mi toglie,
le ripetute mie sconfitte scambio
con un oggi che me le risarcisca,
e là, nel mio concluso iperuranio,
dove vive l’idea che mi dà senso,
anch’essa però copia del mio sogno,
del sogno che ogni giorno mi cattura
se penso a te, se l’eventualità
di un altro adesso in cui pensarti
prenda la forma del tuo corpo, ebbene,
in quello spazio sgombro e separato,
spazio della mia immaginazione,
amico, amico mio, come d’incanto
è materia la forma di un plurale,
di un io, di un tu, che prendono sostanza
da questo indefinito smascherarci.
Itaca, 17-18 luglio – Fiano Romano, 26 luglio 2022
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