DINO VILLATICO
IL CANONE DI PRASSITELE
farsa in un atto
οὐκ οἶσθ᾽ ὅ τι ζῇς, οὐδ᾽ ὃ δρᾷς, οὐδ᾽ ὅστις εἶ. 1
1. Il palcoscenico nudo. In vista gli interruttori delle luci, i comandi delle pulegge, a mezzo calato un fondale sul quale appare dipinto un viale fiancheggiato da cipressi. Un giovane sui 30 anni, in jeans e maglietta Lacoste rossa, una sciarpa bianca attorno al collo, sta appoggiato alla quinta di sinistra, sul proscenio, una gamba incrociata sull'altra, il piede sinistro scavalca a destra il piede destro, entrambi poggiati a terra. In fondo, sulla parete un cartello inchiodato su un palo, poggiato al muro, con la scritta "Vive la France!". Entra un ragazzo sui 20 anni, trasandato, jeans rattoppati e strappati, da cui spuntano, nude, le ginocchia, maglietta bianca, polo, una sciarpa rossa intorno al collo. Si dirige verso lo slogan poggiato al muro, lo afferra. Il giovane gli fa cenno di fermarsi e di lasciarlo poggiato al muro. Il ragazzo gli si avvicina.
RAGAZZO Che fai?
GIOVANE Ti guardo.
RAGAZZO Che cos'ho, coglione,
che non va?
GIOVANE Niente, ma che permaloso!
RAGAZZO Non mi piace qualcuno che mi guarda
come fai tu.
GIOVANE Perché? come ti guardo?
RAGAZZO Da frocio. Ma finiamola. Sbaracco
la scena.
Si dirige verso il cartello.
GIOVANE Dove corri? Dai. Che scemo.
Férmati qua. Ti devo domandare
molte cose. Magari c'è qualcuna
che ti riguarda.
RAGAZZO Dubito. Da un tipo
di merda come te non mi riguarda
niente delle schifezze che mi dici.
GIOVANE Dubito anch'io. Può darsi che la cosa
invece ti riguardi.
RAGAZZO Ma chi sei,
per parlarmi così?
GIOVANE Qui, ti volevo.
RAGAZZO Ahò! senti: facciamola più breve:
che cazzo cerchi?
GIOVANE Tutto ...
RAGAZZO Tu sei pazzo!
GIOVANE Tutto, sì: tranne ciò che malfidente
pensi tu, pischelletto di borgata.
RAGAZZO Non sono una marchetta.
GIOVANE E chi lo pensa?
RAGAZZO Tu, brutto frocio.
GIOVANE Smettila, ti prego.
Non ci penso nemmeno a qualche sega
fuori scena, un pompino smarchettato
dietro le quinte.
RAGAZZO Se lo dici, guarda,
però, che non ci credo. E me la sfango:
non sei altro che un depravato, un frocio.
GIOVANE È già la terza volta che mi chiami
frocio.
RAGAZZO Ma vaffanculo!
GIOVANE È un invito
o una minaccia?
RAGAZZO Me ne sbatto, frocio -
e te lo dico per la quarta volta -
mi fai perdere tempo, ci ho da fare,
ciao!
Accenna di nuovo un passo verso il cartello.
GIOVANE Fermati, che cazzo! Non ho voglia
d'incularti, nessuna voglia, tanto
meno qui sulla scena, che può entrare
chiunque. Datti una calmata, il culo
non te lo spaccherà nessuno. Voglio
solo parlare, chiederti qualcosa.
RAGAZZO Che cosa? e tu, chi sei?
GIOVANE Sono l'autore
della commedia che andrà in scena questa
sera.
RAGAZZO Ah, no! la boiata che nessuno
ci ha capito che cazzo viene a dire
quel titolo da rottinculo! Roba
da fichetti del classico. Io ci ho fatto
soltanto le professionali, e manco
tutte quante, mai presa la licenza.
Prassitèle! Chi è 'sto Prassitèle?
GIOVANE Prassìtele. Un grandissimo scultore
greco.
RAGAZZO Vabbe'! Sarà. Che cazzo c'entra
con la scultura la Tivù?
GIOVANE Ma niente.
RAGAZZO Se si parla di canone! Lo paghi
anche tu, per guardarla. Mp' si paga
tutto, anche per guardare le partite
di calcio, i film, e le Tivù private.
Sì, Sky, Netflix. Be', la televisione.
come la chiami tu coi tuoi fichetti.
GIOVANE Non c'entra niente la televisione.
Il canone è una regola, misura
perfetta che realizza in una statua
le giuste proporzioni tra le membra
di un corpo umano. Il marmo in cui l' artista
ricostruisce la figura umana
è la perfetta imitazione di una
idea senza tempo che s'incarna
nel tempo transitorio dell'umano,
l'eterno del pensiero che si arrende
al transeunte, l'immortale forma
della bellezza che, scendendo al mondo,
si fa mortale trasparenza del divino
respiro delle cose, e fa divino
quanto quaggiù trascorre e si scompone.
RAGAZZO Uh! ma che dici? come cazzo parli?
Non ci ho capito un cazzo! Ma di questo
parlerete quassù su queste scene?
Non ci verrà nessuno, te lo giuro.
Fa per andarsene.
GIOVANE Férmati! dove corri? Devo dirti
una cosa. Chi sa: lo capirai.
RAGAZZO E che cosa?
GIOVANE Sei tu, non so se puoi
capirlo, e come tu lo capirai,
ma sei tu quell'idea, sei tu la forma
che realizza appieno la perfetta
proporzione del corpo umano, il tipo
di bellezza ideale immaginata
da Prassitele. L'ho capito appena
ti ho visto. Ed è per questo, dunque, amico,
che ti ho chiamato, chiesto di fermarti.
Come ti chiami?
RAGAZZO Salvatore. Salvo,
per gli amici.
GIOVANE Bel nome, Salvatore.
Grazie, Salvo! Restiamo amici. Devo
chiederti molte cose. Non andare
via così di fretta. Devo farti
una proposta.
SALVO Ha un moto di ripulsa.
GIOVANE Non ti spaventare!
Niente che tu non voglia acconsentire
a farmelo per me. Mi chiamo Diego.
Buio.
2. Una stanza disadorna. Una tavola sulla quale stanno poggiate due tazze da tè e un'alzatina con biscotti. Seduti, davanti alla tavola, DIEGO e UNA DONNA sui 30 anni.
LA DONNA Non ingannarmi.
DIEGO Perché me lo dici?
LA DONNA Perché mi stai ingannando.
DIEGO Prende un biscotto e lo inzuppa nel tè. Lo mangia.
LA DONNA Non è così?
DIEGO Non capisco.
LA DONNA Che cosa non capisci?
DIEGO Perché mi accusi d'ingannarti.
LA DONNA È un fatto. Non un'accusa. M'inganni.
DIEGO Ma riguardo a che cosa?
LA DONNA Paolo, il tuo amico, era solo un amico?
DIEGO Ma Laura! ancora questa storia?
LAURA Lo è stata, forse, e per te.
DIEGO Sono passati due anni.
LAURA Beve un sorso di tè.
DIEGO L'ho perfino dimenticato.
LAURA Lui? o che cosa?
DIEGO Lui, no, visto che continuiamo a lavorare insieme ed è anche bravo. Nessuno sa disegnare e poi costruire una scena come lui.
LAURA Non cambiare discorso.
DIEGO Laura, mi hai stufato!
Si alza.
LAURA Lo sapevo.
DIEGO Ma che cosa, sapevi?
LAURA Che sei stanco di me.
DIEGO Non dire scemenze.
LAURA Non sono scemenze.
DIEGO Che vuoi, da me?
LAURA Scoppia in una risata.
DIEGO Perché ridi?
LAURA Sei ridicolo.
DIEGO Urlando: Basta! Sono stufo. Adesso sono io che ti dico che mi sono stufato.
LAURA Ridendo: Lo vedi?
DIEGO Lo vedo, che cosa? che cosa?!
LAURA Improvvisamente seria, sottovoce: Non urlare.
DIEGO Urlando, furioso: Urlo, invece! urlo quanto mi pare! Mi sentono i vicini? Chi se ne frega!
LAURA Con te non si può mai parlare.
Si alza. Esce precipitosamente dalla stanza.
Buio.
3. La stessa scena, ma con un letto matrimoniale al posto della tavola. Sopra, nudi, si attorcigliano una decina di ragazzi e di giovani nudi, tra cui DIEGO. Un RAGAZZO, a un certo punto, esce dal gruppo, scende dal letto, guarda il pubblico.
IL RAGAZZO / SALVO Io sono giù venuto.
Raccoglie per terra i propri panni, ed esce.
Esce dal gruppo anche DIEGO, raccoglie i panni e lo segue.
Buio.
8. Lo studio di DIEGO. Una scrivania sulla sinistra. Una libreria, a destra. In fondo, la riproduzione, gigantesca, di una tela di Mondrian. Sotto il quadro un divano. E accanto, una colonna con registratore, lettore di cd, radio. Due sedie davanti alla scrivania. Una poltrona, dietro. Sulla scrivania lo schermo di un computer. DIEGO è seduto davanti alla scrivania. LAURA, seduta su una delle sedie, lo guarda.
DIEGO Troppi equivoci.
LAURA Non conosco la tua vita. Ma non mi sembri uno che scappa.
DIEGO Più da me stesso che dagli altri,
LAURA Tutti ci nascondiamo qualcosa. Chi può dire di non avere mai vissuto storie sbagliate?
DIEGO Nessuna storia è sbagliata, quando è la propria. E tutte lo sono, viste da fuori.
Lunga pausa.
Laura.
LAURA Sì?
DIEGO Non indovini?
LAURA Forse. Ma devi dirmelo tu.
DIEGO Vuoi ascoltare qualcosa?
LAURA Se vuoi.
Diego si alza. Va alla colonna con il lettore di cd. Fa partire una musica ruffiana: l'andante del Concerto in do maggiore K. 467 di Mozart. Ritornando alla scrivania, passa dietro la sedia dove è seduta Laura, si china, la bacia sul collo. Laura si volta, lui la bacia sulla bocca. Lei gli cinge il capo con le mani.
Buio.
9. Il palcoscenico vuoto. Il RAGAZZO / SALVO della prima scena, seduto sul proscenio, mangia un panino.
SALVO
Io, quello, un giorno gli scompiscio il muso.
Sono un elettrecista, mica sono
un attore. Sì, che mi piacerebbe.
Ma con che voce? e poi per dire cosa?
Nudo a letto, che porco! Né da solo
né con nessuna, tanto meno solo
con qualcuno. Magari con il frocio.
Ci giuro, ci scommetto le mie palle,
che quello frocio, un frocio paraculo,
nient'altro è: con me si mette a fare
il fico perché crede che lo sfizio
se lo toglie. Che io ci casco, e mica
me la sfango. Magari pensa pure
che a regalarmi - e come? con che cosa? -
alla fine gli casco nudo e cotto,
servito a colazione. O per la cena,
prima di organizzare il dopocena.
Bisognerà vedere se per fare
chi poi dei due l'ufficio di arrotino.
Per te, questo
Si tocca il culo.
è verboten. Ma nemmeno
mi sconfinfera il tuo, se mai volessi,
in un modo o nell'altro, adoperarlo.
Non mi sono mai fatto, per adesso,
mancare, il buco giusto. E tu sai quale. -
Certo, però, che spifferare quattro
cazzate, balbettare, smucinare
tra le labbra magari le fregnacce
che ti piace posare sulla bocca
dei pischelli, porcate, e recitare,
sbattermi qualche troia sulla scena
e fare lo stronzetto coi finocchi,
mi piacerebbe, e tanto, tanto, cazzo!
Buio.
10. LAURA, distesa su un divano, ascolta concludersi l'Andante del Concerto K. 467 di Mozart.
LAURA
Non so se è un rimbambito o se davvero
mi ama. Io, del resto, lo ricambio?
A volte, anzi, sospetto che qualcosa
di sbagliato tra noi ci storce il gusto
perfino di scopare. Come, dico,
quando mi prende e sembra che non prenda
me, ma un'altra, che al posto mio gli piace
più di me, o nemmeno un'altra, forse
addirittura un altro. Quel ragazzo
delle luci, ad esempio. Poveretto,
se davvero gli piace quel ragazzo.
Suppongo che non guardi questo lato,
ma che gli piaccia assai di più di un chiodo
il legno in cui ficcarlo. E non mi sembra
il tipo che lo dà per quattro soldi.
Insomma, da qualunque parte volti
la faccia, non lo ficca e da nessuno,
nemmeno se lo chiede, e se lo paga,
riuscirebbe a sentirselo ficcare.
Ma io da lui che voglio? Se lo guardo,
mi sembra che nessuno mai potrebbe
superarlo, nessuno più perfetto
di lui, per le misure, per le forme.
Ma che dico, nessuno? Uno scultore
non potrebbe proporre agli occhi di una
donna modello di uomo più perfetto.
Ma appunto, scopa come sa scopare
una statua. Gli dico che lo lascio.
Buio.
11. Il palcoscenico nudo. DIEGO, seduto, che legge un copione. Entra il RAGAZZO, e va al quadro degli interruttori. Passa davanti a Diego senza salutarlo.
DIEGO Forte, quasi urlando: Ciao!
IL RAGAZZO Si volta verso di lui, lo guarda, piano, quasi scocciato: Ciao.
DIEGO Ma non avevi già sistemato tutto, ieri?
IL RAGAZZO E a te che cazzo te ne frega?
DIEGO Si alza, butta per terra il copione e si avvicina al RAGAZZO, gli urla in un orecchio: Sono l'autore!
IL RAGAZZO Calmo, sottovoce: Ah, sì?
DIEGO Urlando: E anche il regista!
IL RAGAZZO Sempre calmo: Come sopra.
DIEGO Più pacato, con disappunto: Forse ... Un po' più forte: Forse ... dovrebbero essere cazzi tuoi ...
IL RAGAZZO Lo guarda, zitto.
DIEGO Sta per perdere il controllo. ... dovrebbe interessarti come voglio che siano fatte le luci del MIO spettacolo, o no?
IL RAGAZZO Sempre calmo: No.
DIEGO A me non mi freghi.
IL RAGAZZO Tranquillo. E chi è mo' che vorrebbe fregarti?
DIEGO Non sei chi vuoi sembrare.
IL RAGAZZO Ah, no? E chi sarei?
DIEGO L'altra sera ti ho visto. Ti ho anche inseguito.
IL RAGAZZO Ah! eri tu?
DIEGO Sì, io.
IL RAGAZZO E che cazzo volevi da me?
DIEGO Se non fossi scappato via, se non te la fossi svignata come un ladro te lo avrei detto.
IL RAGAZZO Un ladro, io? Non scappavo.
DIEGO Perché correvi, allora?
IL RAGAZZO Coi froci che t'allupano io nun ce tratto.
DIEGO E chi sarebbe il frocio?
IL RAGAZZO Dai, che serve? Con me non attacca.
DIEGO Eh già! col mucchio invece attacca, vero? e attacca bene. Più ce ne sono e meglio è. In falsetto: Io sono già venuto.
IL RAGAZZO Era vero.
DIEGO Normale: Vero, che cosa?
IL RAGAZZO Che ero venuto.
DIEGO Venuto in mezzo a un mucchio di froci!
IL RAGAZZO Scoppia a ridere. Ma è diverso!
DIEGO Come, diverso?
IL RAGAZZO Mica scopavo! me divertivo a fa' 'na sega insieme agli antri. Nun c'avevo mai provato. Volevo vede che se fa' e che se prova. Me so goduto la mi parte.
DIEGO Mo', perché parli in romanesco?
IL RAGAZZO Me capita quanno che so' nervoso. Quanno c'è chi me rompe er cazzo.
DIEGO Io, te lo rompo?
IL RAGAZZO Eh sì, che rompi.
DIEGO Però non ti capisco. Una sega con tanti non è da frocio, con uno sì.
IL RAGAZZO Ma te l'ho detto: ce volevo provà.
DIEGO Io non voglio scopare con te. Non voglio incularti né farmi inculare.
IL RAGAZZO E che vuoi?
DIEGO Farti un ritratto.
IL RAGAZZO Scoppia in una sonora risata. Ma te, non sei uno scrittore, un regista?
DIEGO Anche pittore, all'occasione, E fotografo. Vorrei appunto scattare qualche fotografia.
IL RAGAZZO E perché?
DIEGO Un servizio, per una rivista.
IL RAGAZZO Che rivista?
DIEGO Di teatro.
IL RAGAZZO Ma io non sono un attore.
DIEGO Potresti diventarlo, magari dopo questo servizio.
IL RAGAZZO Se'!
DIEGO Dico davvero. Con me, per questa commedia. Le foto servirebbero da lancio pubblicitario.Saresti pagato.
IL RAGAZZO Solo questo. e non mi chiedi altro?
DIEGO Per adesso no, non ti chiedo altro.
IL RAGAZZO E dopo?
DIEGO Ci stai?
IL RAGAZZO Ma ... dopo?
DIEGO Lascia perdere dopo. Dopo è dopo. Ci stai?
IL RAGAZZO Be', mi tenti.
DIEGO E lasciati tentare. Cedi.
IL RAGAZZO Va bene.
DIEGO Oh, finalmente!
IL RAGAZZO Ma niente scherzi! Me lo prometti?
DIEGO Te lo prometto.
IL RAGAZZO Giuralo!
DIEGO Lo giuro.
IL RAGAZZO Quando devo venire da te?
DIEGO Anche oggi se vuoi, se puoi.
IL RAGAZZO Oggi vengo da te.
DIEGO Dammi la mano.
IL RAGAZZO Gli porge la mano.
DIEGO La stringe forte. Attira a sé il RAGAZZO e lo abbraccia.
IL RAGAZZO Gli sussurra all'orecchio: Ma niente scherzi, l'hai giurato.
DIEGO Lo stringe forte, gli carezza con una mano i capelli. Il RAGAZZO lascia fare. Come ti chiami?
IL RAGAZZO Non te lo ricordi? Te l'ho detto: Marco.
DIEGO Marco? Mi avevi detto Salvatore. Salvo.
IL RAGAZZO Era diverso.
DIEGO Diverso, che?
IL RAGAZZO Che non ti conoscevo.
DIEGO E adesso?
MARCO Gli prende la testa tra le mani, posa la bocca sulla sua bocca e lo bacia.
Buio.
12. Il palcoscenico nudo. Sul fondale una foto gigantesca, frontale, di MARCO, completamente nudo. Nella posa dell'Hermes di Prassitele. Sotto, DIEGO la guarda.
DIEGO C'è un baratro nel breve o lungo viaggio
di ciascuno di noi per i sentieri
più noti e meno noti o inesplorati
della brama di spandersi nel mondo,
di visitare i corpi, assaporare
il piacere degli altri, un'improvvisa
e a lungo vagheggiata, concupita
vertigine di abbandonarsi al salto
nella morte, nel buco di delirio,
di perdita di sé, che nel momento
di uscire da sé stessi, spasimante
si spalanca nel cavo del cervello,
i francesi lo chiamano a ragione
une petite mort, ma insieme accade
che sia proprio il cervello a ritirarsi
con spavento da quella innominata,
selvaggia e incontrollabile caduta:
più dolce, tuttavia, e più allettante
ci attrae quella paura se di noi
per tutto il corpo scorre la fiumana
che s'impossessa d'ogni nostra vena,
se la lacerazione del delirio
più affonda nella carne, e più ferisce
nella ferita il nervo ch'è scoperto,
e si aspetta con più diletto il dente
che mordendoci placa il desiderio
inappagato di desiderare:
insaziato il terrore di godere,
ma pertinace e scaltra la delizia
del disappunto dopo il godimento.
La folla dei goduti, la catasta
delle arrese, ritornano a mostrarci
la sconfitta di ciò che credevamo
invece una conquista dell'Eliso.
Quante figure diventate un'ombra
si affollano nel baratro gremito?
Un vortice che ingoia le durate
di ogni singolo incontro, le perdura
in un unico amplesso di scomposte
congiunzioni, la prima già di voce
che il controllo di adulti, spaventato,
chiama innocente. Fino al terminale
sussulto di un senile aggrovigliarsi
di fantasie. Perpetua la sognata
libidine, sconfitta la dovuta
soddisfazione. Stabile la nuda
solitudine dì ogni nuovo giorno.
Gioiosa solo la perseveranza
di ricordare di ogni singolo momento
la reciproca ebbrezza, si vorrebbe
che anzi restasse, che ci continuasse,
appena un fuggitivo contraccambio
di labbra che si toccano, di sguardi
che s'incontrano, e strette tra di loro
le dita che s'intrecciano. Ma presto,
anche nella memoria, tutte queste
dita si vanno districando, resta
una mano protesa, e l'occhio, perso,
che nel buio dell'oggi va cercando
l'impossibile traccia del passaggio
una volta avvertito di chi adesso
non parla, non sorride, non si mostra.
Buio.
13. Il palcoscenico nudo. MARCO sta ritto su una scala davanti a una parete, a sinistra, dove si apre una sorta di nicchia. Canticchia, mentre lavora con i fili di una centralina elettrica. Entra LAURA. Ha in mano un manoscritto. Non si accorge di lui. Grida.
LAURA
Ma dove sei, dove ti sei ficcato,
gran figlio di puttana. Questa merda,
io non la dico.
Butta per terra il dattiloscritto.
Merda, solo merda,
mi fai dire. Ma dove te le scovi
tu, questo cazzo di troiate? Dove
credi di stare? Messo male, peggio
di un becchino, il teatro, in questo schifo
di paese, se dissotterra mummie
come questa. Le metti in bocca a un'altra
che ha più fame di me queste battute.
Si accorge che DIEGO non c'è. Sente il canticchiare di MARCO e alza la testa verso di lui.
E tu, chi sei? Ah, già, l'elettricista.
Magari a te non te ne frega niente
di strillare cazzate come queste. -
Ehi! dico a te.
MARCO A me? che vuoi?
LAURA Sì, quello
che stava qua, dov'è? Lo scimunito
che ha scritto questa roba, dove è andato?
MARCO Ma e io che ne so!
LAURA Le prove, dimmi,
non erano fissate per le cinque?
Sono le cinque e mezzo.
MARCO Ti ripeto.
Sarò più chiaro, così non ti sbagli:
io che cazzo ne so? Sono soltanto
l'elettricista. Dove sta, che cosa
fa, che cosa non fa, non me ne frega
una pippa. Contenta, adesso, Santa
Pupazza Ficarotta e culo sfranto?
LAURA Calma:
Scendi.
MARCO Che vuoi?
LAURA Sempre calma: Ti dico: scendi.
MARCO E io
ti dico: ma perché?
LAURA Comincia a innervosirsi:
Perché lo voglio.
MARCO
Io no.
LAURA Urlando:
Scendi!
MARCO Scende dalla scala, silenziosamente.
LAURA Calma:
Avvicìnati!
MARCO Che vuoi?
LAURA Urlando:
Avvicìnati!
MARCO Si avvicina a lei, ma resta a prudenziale distanza.
LAURA Calma:
Più vicino ancora.
MARCO Si avvicina, ma non troppo:
Così va bene?
LAURA Un altro po'.
MARCO Le si avvicina. Stanno uno di fronte all'altra. Le due facce quasi si toccano. I due si guardano. MARCO è nervoso. Muove le gambe.
LAURA Sta' fermo.
Làsciati un po' guardare. Sei carino.
MARCO Sempre nervoso, muovendo le gambe.
Grazie.
LAURA Non ringraziarmi. Ma sta' fermo.
MARCO
Non posso.
LAURA Sì, che puoi. Non fare storie.
E resta fermo.
MARCO Si sforza di non muovere le gambe. Ma trema tutto.
LAURA Te l'ha detto mai
nessuna che sei bello? Bello, tanto!
MARCO
Mi sfotti?
LAURA Proprio no. Anzi ti dico
che ci hai messo una consonante fuori
posto.
MARCO
Che consonante? Ma che dici?
Oh sì, mi sfotti.
LAURA Gli carezza una guancia.
Ti starebbe bene
anche la barba. Guàrdami. E sta' fermo.
MARCO
Ma la finisci? Quale consonante?
LAURA
Non lo indovini? No, io non ti sfotto.
Sbagli la consonante. Sbagli verbo.
MARCO
A riéccoti con l'indovinello.
LAURA
Nessun indovinello. C'è una esse
di troppo. Non ti sfotto. Come, infatti,
potrei? Se senza la esse mi faresti
la donna più felice del pianeta?
MARCO Disorientato:
Io?
LAURA
Sta' zitto.
Lo bacia.
MARCO Resta irrigidito, non apre la bocca.
LAURA Che fai? ma non ti piace?
Lo bacia un'altra volta.
MARCO Apre la bocca, restituisce il bacio.
Lo vedi? Abbiamo eliminato la esse.
Buio.
14. Una camera da letto. Un grande letto matrimoniale in fondo, e sopra una grande immagine di LAURA nuda, nella posa dell'Afrodite callipigia. Davanti al letto, sdraiato per terra, a pancia ingiù, nudo, MARCO, che guarda estasiato l'immagine.
MARCO
È la bellezza che ti fa poeta.
Incauto elettricista di teatro,
che ne capivo di bellezza, io,
e di poesia? che ne capivo, scemo,
di teatro? che ne capisco, adesso,
dell'estasi infinita di una notte
che ha reso trasparente la giustizia
dei limiti di un corpo, più perfetta
la misura imperfetta di me stesso,
più aperta e nuova la limitatezza
in cui si circoscrive e configura
la mia interminata, e ripetuta
nella mia testa mille volte, buia
beatitudine che m'invade il corpo,
lo inghiotte e lo inabissa nel bacino
da cui comincia ogni piacere, il vuoto
da cui emerge ogni pienezza, il punto
in cui si annienta l'attimo per farsi
tempo di un godimento senza tempo?
che ne capisco, giovane inesperto,
garzone analfabeta, ragazzotto
di borgata, che ne capisco, io,
della poesia che fugge questo istante,
in cui non può fermarsi, e corre, vola
via dall'istante, non per annientarsi,
ma per fissarsi, anzi per eternarsi
nel ricordo di un solo esaudimento,
il fiume di piacere che si scioglie
nel sangue delle vene e scorre, esonda,
fluisce fuori del tuo corpo, ebbrezza
mai cominciata, e tuttavia goduta,
come un fiotto inesausto di follia,
l'interno che ti scoppia in un esterno
ch'è tutta la tua vita, il tuo respiro,
anzi il soffocamento del respiro?
Laura! la prima e l'ultima mia donna,
la donna dei poeti e della morte
dei poeti: perché ti muoio, Laura,
io muoio dentro l'infinito varco
dal mondo che conosco a un altro mondo
che non conosco, e dentro il quale voglio,
voglio per sempre, così come vedi
che muoio dentro il mondo in cui mi accogli,
voglio morire dentro questo mondo,
voglio essere per sempre io, là dentro,
l'inesistente che ti colma, il fiotto
che ti feconda, il lucido delirio
che spiega l'inspiegabile segreto
di tutto ciò che vive e che comincia,
vivendo, a presentire la sua fine.
Su questa terra. In altre terre, forse,
in altri mondi, quali, non saprei,
altri universi del mio limitato
universo in cui vivo solitario,
elettricista di teatro, qualche
orgia di notte, qualche cauto incontro,
o incauto scontro, e questo mio naufragio,
adesso, in altro e più profondo mare
del quotidiano buco di esiliati
dal mondo che governa anche lo scarto
degli esiliati. Io, questo scarto, sono
uno che l'abbandona, oggi, la conca
degli scarti, uno che si scrolla, evviva!
la spazzatura dalla faccia, e guarda
con occhi aperti il mondo rifiutato,
o meglio che lo rifiutava, il mondo
degli esclusi, dei denigrati, sono
chi se la svigna, chi felice adesso
se ne fotte di chi lo fotte, sono
uno che sbuca, esce dal sottobosco,
entra nel bosco, ed entro, finalmente,
nel mondo che m'include, sono, io, anzi,
che includo il mondo. Sono io che escludo:
chi voglio, entra; chi non voglio, resta
fuori. E io mi faccio una risata.
Buio.
15. Il palcoscenico nudo. MARCO seduto su una sedia. DIEGO che gli gira intorno.
DIEGO Dunque una scopata ti ha cambiato il mondo?
MARCO No, è il mondo, il mondo che ha cambiato il mio modo di vederlo.
DIEGO Cioè? cioè?
MARCO Cioè, una scopata, come la chiami tu, non è mai solo una scopata.
DIEGO E che cos'altro, scusa?
MARCO Non che cos'altro, ma che cosa di più.
DIEGO Detto da una marchetta non mi meraviglia. Vuoi dire: il prezzo?
MARCO Chi paga e chi è pagato non vedono la stessa cosa.
DIEGO Ti ha insegnato pure questo?
MARCO Che cosa?
DIEGO Che in fondo, marchetta o prostituta, siete sempre vittime.
MARCO Ma vittime di chi, e di che cosa?
DIEGO Smettila di fare il buffone. Sai che cosa voglio dire.
MARCO No. Non lo so.
DIEGO Ti risparmio la spiegazione.
MARCO Lo so. Sei bravissimo a risparmiare. Anche te stesso.
DIEGO Il culo, vuoi dire? Ti piaceva, mi sembra.
MARCO A te? o a me? perché se a te, almeno quello non lo risparmiavi.
DIEGO Che vuoi insinuare?
MARCO Che ci vedevi comunque un guadagno.
DIEGO Cioè?
MARCO Un investimento fruttuoso: ci guadagnavi più di quanto spendevi.
DIEGO Che cosa ci guadagnavo?
MARCO Il plus valore di un godimento.
DIEGO Ipocrita! Godevi anche tu.
MARCO Preferivi che ci soffrissi?
DIEGO Smettiamola.
MARCO Ma sì. Smettiamola. Hai cominciato tu.
DIEGO E allora? Vorrei vedere che adesso me lo rinfacci.
MARCO Che cosa?
DIEGO Che ci godevi anche tu, che godevamo tutti e due.
MARCO Mai negato. Ma tu, godevi e basta.
DIEGO Anche tu, mi risulta.
MARCO Io, no.
DIEGO Non godevi?
MARCO Sì. Ma c'era anche qualcosa d'altro.
DIEGO Che cosa? A parte i soldi.
MARCO Vedi? Se te lo dico, non ci arrivi. Nemmeno se te lo spiego.
DIEGO Con un soprassalto della voce. Noooooooooo! Non dirmelo.
MARCO Hai sbagliato tutto. Con me, e anche con Laura.
DIEGO Fissa negli occhi MARCO, che abbassa la testa in cenno di assenso.
Che cosa, dimmi, ho sbagliato?
MARCO Te l'ho detto: tutto. Questo.
Gli si avvicina e lo bacia sulla bocca.
Ma ormai è troppo tardi.
Esce. Buio.
16. Il palcoscenico nudo, come all'inizio. DIEGO, LAURA, MARCO, in piedi sul proscenio. LAURA in mezzo.
DIEGO
Ho sognato di vivere nel sogno
di un altro.
LAURA No, se amore fu il tuo sogno,
esso non fu di amore.
DIEGO Di che cosa,
allora?
MARCO
Di te stesso. Non amasti
mai nessuno, se non te stesso. Amato,
non capisti nemmeno quanto amore
ci fosse nel piacere che ciascuno
ti donava. Capivi solo, cieco
all'amore degli altri, quel piacere
che i tuoi altri sapevano donarti.
LAURA
Hai denudato me, hai denudato
il ragazzo che andava per la scena.
Ma nel mio corpo nudo, nel suo corpo,
che nudo ti attraeva più del mio -
zitto! non protestare, non negarlo,
perché se sei onesto, e nel tuo fondo
che non conosci, tu lo sei, se dentro
di te ti guardi, non nutrivi amore
che per i nostri corpi. La perfetta
architettura che ti si mostrava
era l'unica cosa che volevi
fare tua cosa, impossessarti di una
forma, godere di questa apparenza
che potevi toccare, adoperare -
zitto! non interrompermi - non altro,
di noi due, del ragazzo, della donna,
t'interessava, che la manifesta
bellezza delle forme, assoggettarla,
o meglio impossessartene, per farne
una medaglia, un privilegio, il pegno
visibile che sei capace sempre
di ottenere la resa di chi vuoi
sedurre per imporgli le tue voglie.
MARCO
Quando venivo, e mi scioglievo dentro
il tuo corpo, tu non ti abbandonavi,
non ti lasciavi possedere fino
all'ultimo atto di un'estrema resa,
di un connubio che unisse i nostri corpi
in un unico corpo. Non lasciavi
che all'amore del mio donarti tutto
me stesso, rispondesse il tuo donarti
con un amore uguale. Tu restavi
te stesso, mi prendevi, non mi davi
niente di te. Mi lasciavi fuori,
anche se t'ero dentro. Se venivo
dentro di te. Restavi separato.
LAURA
Quando prendevi me, quando mi entravi
dentro, non ti sentivo. Tu restavi
fuori. Come se non t'interessasse
ch'io, come te, godessi. Ti bastava
scaricare la furia del tuo sangue.
Appena mi venivi dentro, presto
eri già fuori, già ti liberavi
di me, tu te ne uscivi, liberato
di un carico, non esistevo, come
una latrina che si chiude dopo
essersene serviti. Sai, mi chiedo
se hai mai visto in un corpo, poco importa
se di ragazzo o se di donna, il flusso
del sangue nelle vene, la violenza
del fiato che si spegne nell'orgasmo.
Se hai mai sorpreso il battito del cuore,
indovinato negli spasmi estremi
del piacere, l'istinto di una vita,
il brivido febbrile di un pensiero,
e - perché no? - l'incauto dipanarsi
di una innocente, aperta dedizione.
DIEGO
Volete dire che sono un egoista?
MARCO
Ecco. Ti scusi. Ti difendi.
LAURA Sembra
che debba sempre morderti qualcuno.
DIEGO
Ma - che cosa, su, ditemi, mi state
ora facendo, voi, se non lanciarmi
addosso i vostri insulti, le scontate
vostre accuse di sempre? io sono il male,
tutto il male del mondo, mentre voi
siete i martiri di un perenne, sconcio
massacro. E sono io che vi massacro!
LAURA
Massacri, qui non se ne vede l'ombra.
O sei tu stesso, se mai, che massacri
la tua testa. Narciso pervicace,
tu non vedi, non sai vedere niente
dopo la punta del tuo naso. Basta,
Diego, basta con queste vecchie storie:
sempre qualcuno che ti accusa, sempre
qualcuno che discute il tuo primato
in qualche cosa: di scrittore, un giorno,
e l'altro di teatrante. Sempre in mezzo,
e sempre a primeggiare. Con le donne,
con i ragazzi, guai se non fai
la parte del protagonista. E via!
MARCO Devi farla sentire, devi farla
subire a tutti la supremazia
di chi sei. Tu sai tutto, tu comandi.
DIEGO Ma se ti ho dato il culo!
MARCO Non il cuore.
E tanto meno, Diego, la tua testa.
LAURA
Smettetela! Non è un processo, questo,
ma un chiarimento, una precisazione
di chi siamo, di che vogliamo l'uno
dall'altro, o meglio l'uno insieme all'altro.
Non si accusa nessuno, né si assolve.
Siamo tutti colpevoli di qualche
cosa, e tutti chi più chi meno siamo
ugualmente innocenti del dolore
che provochiamo agli altri. Basta, Diego.
Basta, Marco. il dolore che imputiamo
come una colpa all'altro, siamo noi
stessi che ce lo siamo inferto, noi,
con la nostra acquiescenza, con la nostra
imperdonabile sottomissione.
Guardiamoci. Che cosa abbiamo fatto
di noi stessi? Paura di che cosa
ai nostri occhi accettabile rendeva
un consenso che non avremmo dato
al peggiore nemico? Di che cosa
era peggiore il sopravvento? Butto
sul tappeto di questo gioco un dubbio,
una carta sbagliata, la perdente,
quella che perde sempre e lo sappiamo
ch'è la carta che perde: lo sapete
anche voi. La conosci, Diego, questa
carta?
DIEGO No.
LAURA E tu, Marco?
MARCO No.
LAURA Che strano!
Pensavo invece che la conosceste.
Perché anche voi è quella che giocate,
che la giocate sempre. Quella sola
che perde, lo sapete, lo sapete,
ma la giocate. Non potete fare
a meno di giocarla, sempre quella,
quella che perde.
DIEGO Ma falla finita!
E dicci quale sia questa tua carta
che perde, anzi la nostra, che giochiamo,
sembra, come inguaribili cretini.
LAURA
No, non come cretini. Spaventati.
Sì, come spaventati. Per paura.
MARCO
Ma di che cosa? Non capisco. Spiega.
LAURA
Non lo capisci? Tu, che più degli altri -
MARCO Fa cenno di parlare.
LAURA
... sta' zitto, lascia che finisca, prima,
e che ti spieghi; è questo, no, che vuoi?
Dunque non interrompermi, sta' zitto -
Sono sicura che appena l'avrò
detta la carta, voi vi batterete
la fronte con il palmo della mano:
eh già, è vero, come mai facevo
a non capirlo? - Non lo si capisce.
Semplice. Non lo si capisce fino
a quando c'è qualcuno che lo dice.
DIEGO
Laura! ma adesso esageri. Va bene
che ci dai per cretini. Addirittura
adesso arrivi a farci subnormali.
LAURA
Un po'. Soltanto un po'. Ma tu lo sei.
DIEGO Furioso:
Ma come ti permetti? Porca ...
LAURA Piano!
O lo dimostrerai, che sì, lo sei.
MARCO
Però, anche tu ...
LAURA Sta' zitto. È un conto aperto
tra noi due. Tu non c'entri. O di straforo,
può darsi, tra di voi. Mi sbaglio?
MARCO
No.
LAURA
Torniamo dunque al punto dove prima
stavamo. Questa carta che giochiamo
e che giochiamo anche sapendo ch'è
quella che perde, è la paura della
solitudine. Ci lasciamo, tutti,
per la paura, sovrastare, tutti,
per la paura, annichilire. Siamo
tutti, nessuno escluso, in questo gioco,
sia complici che vittime, ed è un gioco
in cui sempre si perde, in cui nessuno,
sia complice sia vittima, può darsi
vanto di avere vinto l'avversario.
DIEGO
Ma che c'entra quest'idiozia bizzarra
con noi tre, con le nostre storie, Laura?
LAURA
Immaginavo che te ne saresti
tratto fuori. Ti sei ficcato in faccia
tante maschere, che non sai più quale
stai indossando nel momento in cui
parli. Ora indossi quella di Arlecchino.
DIEGO Mi reputi una marionetta?
LAURA Solo
quando t'è conveniente. Più colori
nascondono il grigiume che ti porti
dentro.
MARCO A Diego:
Un ritratto che ti mette a nudo.
Sei così.
DIEGO Seccato:
Taci, non sai ciò che dici.
MARCO
E tu lo sai? Ti sei guardato bene?
Un dongiovanni con le donne, checca
sfrenata quando te lo fai ficcare
dai ragazzi.
DIEGO Si avventa su MARCO e gli stringe il collo con le mani.
LAURA Urlando:
Smettetela!
Calma: Che serve?
Arlecchino ha ragione. Sono proprio
le maschere che aiutano a passare
la sbornia. Sì, la sbornia in cui si affoga
il dolore degli altri. Tutto il male
che s'infligge con quello che si soffre.
Perché affliggersi del domani, quale
il giorno ci strapiombi addosso, bello
o infelice che sia. Interrogare
il destino lasciamolo alle streghe.
Qualunque sorga giorno, al tuo risveglio,
è un altro giorno, un giorno in più. Pertanto
godi che puoi vederlo. C'è comunque
un tempo per la notte, verrà l'ombra
che nasconde la luce. Ma la luce,
finchè dura, godiamola, godiamo
la vita che scorre nelle vene,
afferriamola senza pentimento,
non lasciamola scorrere inattiva.
A Diego: Abbiamo con delizia molte veglie
vissute insieme. Perché mai dovremmo
smettere, amico, di goderne ancora?
Ti piace Marco? e le sue veglie sono
più divertenti, forse, delle mie?
Perché non divertirti ancora? Sono
anch'esse un dono degli dei. L'amore
non è solo parola che si dice.
Sono anche queste notti. Queste notti
con me, con lui, le vostre notti, tutte
le vostre notti, ma anche le nostre,
le mie, le tue, con me, con te, perfette
perché vissute, e sì, da noi vissute.
A Marco: Sembra che la mia notte ti abbia reso
felice. Perché, dunque, tralasciare
di ripeterla, questa contentezza
di renderci felici e continuarla?
Ma sembra che hai piacere anche da Diego,
una felicità diversa, eppure
anch'essa, sempre, una felicità.
Diego, Marco, la nostra vita è strana,
ma sembra che noi tre abbiamo preso
da questa strana vita il meglio, tutta,
incontrata per caso, o per fortuna,
una felicità che ci ricolma
di vita fino all'orlo in cui trabocca.
E lasciamola traboccare, questa
felicità, la vita regalata
dalla felicità di ritrovarci,
noi tre, felici di sentirci
ancora vivi, e vivere inondati
dal piacere di viverla tra noi,
tutti e tre, tutti insieme, questa immensa
felicità di ritrovarci uniti,
gli uni e gli altri, nel vortice di questa
festa che voglio non finisca mai.
Tutti e tre si abbracciano, si baciano, si allacciano, mentre lentamente cala il buio.
Fiano Romano, 2 marzo - 12 maggio 2024
1Non sai che cosa vivi, né che vedi, né chi sei. Euripide, Le Baccanti, v. 506
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