sabato 8 giugno 2024

Il canone di Prassitele

                                                                 DINO VILLATICO


IL CANONE DI PRASSITELE


farsa in un atto


οὐκ οἶσθ᾽ ὅ τι ζῇς, οὐδ᾽ ὃ δρᾷς, οὐδ᾽ ὅστις εἶ. 1




1Il palcoscenico nudo. In vista gli interruttori delle luci, i comandi delle pulegge, a mezzo calato un fondale sul quale appare dipinto un viale fiancheggiato da cipressi. Un giovane sui 30 anni, in jeans e maglietta Lacoste rossa, una sciarpa bianca attorno al collo, sta appoggiato alla quinta di sinistra, sul proscenio, una gamba incrociata sull'altra, il piede sinistro scavalca a destra il piede destro, entrambi poggiati a terra. In fondo, sulla parete un cartello inchiodato su un palo, poggiato al muro, con la scritta "Vive la France!". Entra un ragazzo sui 20 anni, trasandato, jeans rattoppati e strappati, da cui spuntano, nude, le ginocchia, maglietta bianca, polo, una sciarpa rossa intorno al collo. Si dirige verso lo slogan poggiato al muro, lo afferra. Il giovane gli fa cenno di fermarsi e di lasciarlo poggiato al muro. Il ragazzo gli si avvicina.


RAGAZZO Che fai?

GIOVANE Ti guardo.

RAGAZZO Che cos'ho, coglione,

che non va?

GIOVANE Niente, ma che permaloso!

RAGAZZO Non mi piace qualcuno che mi guarda

come fai tu.

GIOVANE Perché? come ti guardo?

RAGAZZO Da frocio. Ma finiamola. Sbaracco

la scena.

Si dirige verso il cartello.

GIOVANE Dove corri? Dai. Che scemo.

Férmati qua. Ti devo domandare

molte cose. Magari c'è qualcuna

che ti riguarda.

RAGAZZO Dubito. Da un tipo

di merda come te non mi riguarda

niente delle schifezze che mi dici.

GIOVANE Dubito anch'io. Può darsi che la cosa

invece ti riguardi.

RAGAZZO Ma chi sei,

per parlarmi così?

GIOVANE Qui, ti volevo.

RAGAZZO Ahò! senti: facciamola più breve:

che cazzo cerchi?

GIOVANE Tutto ...

RAGAZZO Tu sei pazzo!

GIOVANE Tutto, sì: tranne ciò che malfidente

pensi tu, pischelletto di borgata.

RAGAZZO Non sono una marchetta.

GIOVANE E chi lo pensa?

RAGAZZO Tu, brutto frocio.

GIOVANE Smettila, ti prego.

Non ci penso nemmeno a qualche sega

fuori scena, un pompino smarchettato

dietro le quinte.

RAGAZZO Se lo dici, guarda,

però, che non ci credo. E me la sfango:

non sei altro che un depravato, un frocio.

GIOVANE È già la terza volta che mi chiami

frocio.

RAGAZZO Ma vaffanculo!

GIOVANE È un invito

o una minaccia?

RAGAZZO Me ne sbatto, frocio -

e te lo dico per la quarta volta -

mi fai perdere tempo, ci ho da fare,

ciao!

Accenna di nuovo un passo verso il cartello.

GIOVANE Fermati, che cazzo! Non ho voglia

d'incularti, nessuna voglia, tanto

meno qui sulla scena, che può entrare

chiunque. Datti una calmata, il culo

non te lo spaccherà nessuno. Voglio

solo parlare, chiederti qualcosa.

RAGAZZO Che cosa? e tu, chi sei?

GIOVANE Sono l'autore

della commedia che andrà in scena questa

sera.

RAGAZZO Ah, no! la boiata che nessuno

ci ha capito che cazzo viene a dire

quel titolo da rottinculo! Roba

da fichetti del classico. Io ci ho fatto

soltanto le professionali, e manco

tutte quante, mai presa la licenza.

Prassitèle! Chi è 'sto Prassitèle?

GIOVANE Prassìtele. Un grandissimo scultore

greco.

RAGAZZO Vabbe'! Sarà. Che cazzo c'entra

con la scultura la Tivù?

GIOVANE Ma niente.

RAGAZZO Se si parla di canone! Lo paghi

anche tu, per guardarla. Mp' si paga

tutto, anche per guardare le partite

di calcio, i film, e le Tivù private.

Sì, Sky, Netflix. Be', la televisione.

come la chiami tu coi tuoi fichetti.

GIOVANE Non c'entra niente la televisione.

Il canone è una regola, misura

perfetta che realizza in una statua

le giuste proporzioni tra le membra

di un corpo umano. Il marmo in cui l' artista

ricostruisce la figura umana

è la perfetta imitazione di una

idea senza tempo che s'incarna

nel tempo transitorio dell'umano,

l'eterno del pensiero che si arrende

al transeunte, l'immortale forma

della bellezza che, scendendo al mondo,

si fa mortale trasparenza del divino

respiro delle cose, e fa divino

quanto quaggiù trascorre e si scompone.

RAGAZZO Uh! ma che dici? come cazzo parli?

Non ci ho capito un cazzo! Ma di questo

parlerete quassù su queste scene?

Non ci verrà nessuno, te lo giuro.

Fa per andarsene.

GIOVANE Férmati! dove corri? Devo dirti

una cosa. Chi sa: lo capirai.

RAGAZZO E che cosa?

GIOVANE Sei tu, non so se puoi

capirlo, e come tu lo capirai,

ma sei tu quell'idea, sei tu la forma

che realizza appieno la perfetta

proporzione del corpo umano, il tipo

di bellezza ideale immaginata

da Prassitele. L'ho capito appena

ti ho visto. Ed è per questo, dunque, amico,

che ti ho chiamato, chiesto di fermarti.

Come ti chiami?

RAGAZZO Salvatore. Salvo,

per gli amici.

GIOVANE Bel nome, Salvatore.

Grazie, Salvo! Restiamo amici. Devo

chiederti molte cose. Non andare

via così di fretta. Devo farti

una proposta.

SALVO Ha un moto di ripulsa.

GIOVANE Non ti spaventare!

Niente che tu non voglia acconsentire

a farmelo per me. Mi chiamo Diego.


Buio.


2. Una stanza disadorna. Una tavola sulla quale stanno poggiate due tazze da tè e un'alzatina con biscotti. Seduti, davanti alla tavola, DIEGO e UNA DONNA sui 30 anni.


LA DONNA Non ingannarmi.

DIEGO Perché me lo dici?

LA DONNA Perché mi stai ingannando.

DIEGO Prende un biscotto e lo inzuppa nel tè. Lo mangia.

LA DONNA Non è così?

DIEGO Non capisco.

LA DONNA Che cosa non capisci?

DIEGO Perché mi accusi d'ingannarti.

LA DONNA È un fatto. Non un'accusa. M'inganni.

DIEGO Ma riguardo a che cosa?

LA DONNA Paolo, il tuo amico, era solo un amico?

DIEGO Ma Laura! ancora questa storia?

LAURA Lo è stata, forse, e per te.

DIEGO Sono passati due anni.

LAURA Beve un sorso di tè.

DIEGO L'ho perfino dimenticato.

LAURA Lui? o che cosa?

DIEGO Lui, no, visto che continuiamo a lavorare insieme ed è anche bravo. Nessuno sa disegnare e poi costruire una scena come lui.

LAURA Non cambiare discorso.

DIEGO Laura, mi hai stufato!

Si alza.

LAURA Lo sapevo.

DIEGO Ma che cosa, sapevi?

LAURA Che sei stanco di me.

DIEGO Non dire scemenze.

LAURA Non sono scemenze.

DIEGO Che vuoi, da me?

LAURA Scoppia in una risata.

DIEGO Perché ridi?

LAURA Sei ridicolo.

DIEGO Urlando: Basta! Sono stufo. Adesso sono io che ti dico che mi sono stufato.

LAURA Ridendo: Lo vedi?

DIEGO Lo vedo, che cosa? che cosa?!

LAURA Improvvisamente seria, sottovoce: Non urlare.

DIEGO Urlando, furioso: Urlo, invece! urlo quanto mi pare! Mi sentono i vicini? Chi se ne frega!

LAURA Con te non si può mai parlare.

Si alza. Esce precipitosamente dalla stanza.


Buio.


3. La stessa scena, ma con un letto matrimoniale al posto della tavola. Sopra, nudi, si attorcigliano una decina di ragazzi e di giovani nudi, tra cui DIEGO. Un RAGAZZO, a un certo punto, esce dal gruppo, scende dal letto, guarda il pubblico.


IL RAGAZZO / SALVO Io sono giù venuto.

Raccoglie per terra i propri panni, ed esce.


Esce dal gruppo anche DIEGO, raccoglie i panni e lo segue.

Buio.


8. Lo studio di DIEGO. Una scrivania sulla sinistra. Una libreria, a destra. In fondo, la riproduzione, gigantesca, di una tela di Mondrian. Sotto il quadro un divano. E accanto, una colonna con registratore, lettore di cd, radio. Due sedie davanti alla scrivania. Una poltrona, dietro. Sulla scrivania lo schermo di un computer. DIEGO è seduto davanti alla scrivania. LAURA, seduta su una delle sedie, lo guarda.


DIEGO Troppi equivoci.

LAURA Non conosco la tua vita. Ma non mi sembri uno che scappa.

DIEGO Più da me stesso che dagli altri,

LAURA Tutti ci nascondiamo qualcosa. Chi può dire di non avere mai vissuto storie sbagliate?

DIEGO Nessuna storia è sbagliata, quando è la propria. E tutte lo sono, viste da fuori.

Lunga pausa.

Laura.

LAURA Sì?

DIEGO Non indovini?

LAURA Forse. Ma devi dirmelo tu.

DIEGO Vuoi ascoltare qualcosa?

LAURA Se vuoi.


Diego si alza. Va alla colonna con il lettore di cd. Fa partire una musica ruffiana: l'andante del Concerto in do maggiore K. 467 di Mozart. Ritornando alla scrivania, passa dietro la sedia dove è seduta Laura, si china, la bacia sul collo. Laura si volta, lui la bacia sulla bocca. Lei gli cinge il capo con le mani. 

Buio.


9. Il palcoscenico vuoto. Il RAGAZZO / SALVO della prima scena, seduto sul proscenio, mangia un panino.



SALVO

Io, quello, un giorno gli scompiscio il muso.

Sono un elettrecista, mica sono

un attore. Sì, che mi piacerebbe.

Ma con che voce? e poi per dire cosa?

Nudo a letto, che porco! Né da solo

né con nessuna, tanto meno solo

con qualcuno. Magari con il frocio.

Ci giuro, ci scommetto le mie palle,

che quello frocio, un frocio paraculo,

nient'altro è: con me si mette a fare

il fico perché crede che lo sfizio

se lo toglie. Che io ci casco, e mica

me la sfango. Magari pensa pure

che a regalarmi - e come? con che cosa? -

alla fine gli casco nudo e cotto,

servito a colazione. O per la cena,

prima di organizzare il dopocena.

Bisognerà vedere se per fare

chi poi dei due l'ufficio di arrotino.

Per te, questo

Si tocca il culo.

                            è verboten. Ma nemmeno

mi sconfinfera il tuo, se mai volessi,

in un modo o nell'altro, adoperarlo.

Non mi sono mai fatto, per adesso,

mancare, il buco giusto. E tu sai quale. -

Certo, però, che spifferare quattro

cazzate, balbettare, smucinare

tra le labbra magari le fregnacce

che ti piace posare sulla bocca

dei pischelli, porcate, e recitare,

sbattermi qualche troia sulla scena

e fare lo stronzetto coi finocchi,

mi piacerebbe, e tanto, tanto, cazzo!


Buio.


10. LAURA, distesa su un divano, ascolta concludersi l'Andante del Concerto K. 467 di Mozart.


LAURA

Non so se è un rimbambito o se davvero

mi ama. Io, del resto, lo ricambio?

A volte, anzi, sospetto che qualcosa

di sbagliato tra noi ci storce il gusto

perfino di scopare. Come, dico,

quando mi prende e sembra che non prenda

me, ma un'altra, che al posto mio gli piace

più di me, o nemmeno un'altra, forse

addirittura un altro. Quel ragazzo

delle luci, ad esempio. Poveretto,

se davvero gli piace quel ragazzo.

Suppongo che non guardi questo lato,

ma che gli piaccia assai di più di un chiodo

il legno in cui ficcarlo. E non mi sembra

il tipo che lo dà per quattro soldi.

Insomma, da qualunque parte volti

la faccia, non lo ficca e da nessuno,

nemmeno se lo chiede, e se lo paga,

riuscirebbe a sentirselo ficcare.

Ma io da lui che voglio? Se lo guardo,

mi sembra che nessuno mai potrebbe

superarlo, nessuno più perfetto

di lui, per le misure, per le forme.

Ma che dico, nessuno? Uno scultore

non potrebbe proporre agli occhi di una

donna modello di uomo più perfetto.

Ma appunto, scopa come sa scopare

una statua. Gli dico che lo lascio.

Buio.


11. Il palcoscenico nudo. DIEGO, seduto, che legge un copione. Entra il RAGAZZO, e va al quadro degli interruttori. Passa davanti a Diego senza salutarlo.


DIEGO Forte, quasi urlando: Ciao!

IL RAGAZZO Si volta verso di lui, lo guarda, piano, quasi scocciato: Ciao.

DIEGO Ma non avevi già sistemato tutto, ieri?

IL RAGAZZO E a te che cazzo te ne frega?

DIEGO Si alza, butta per terra il copione e si avvicina al RAGAZZO, gli urla in un orecchio: Sono l'autore!

IL RAGAZZO Calmo, sottovoce: Ah, sì?

DIEGO Urlando: E anche il regista!

IL RAGAZZO Sempre calmo: Come sopra.

DIEGO Più pacato, con disappunto: Forse ... Un po' più forte: Forse ... dovrebbero essere cazzi tuoi ...

IL RAGAZZO Lo guarda, zitto.

DIEGO Sta per perdere il controllo. ... dovrebbe interessarti come voglio che siano fatte le luci del MIO spettacolo, o no?

IL RAGAZZO Sempre calmo: No.

DIEGO A me non mi freghi.

IL RAGAZZO Tranquillo. E chi è mo' che vorrebbe fregarti?

DIEGO Non sei chi vuoi sembrare.

IL RAGAZZO Ah, no? E chi sarei?

DIEGO L'altra sera ti ho visto. Ti ho anche inseguito.

IL RAGAZZO Ah! eri tu?

DIEGO Sì, io.

IL RAGAZZO E che cazzo volevi da me?

DIEGO Se non fossi scappato via, se non te la fossi svignata come un ladro te lo avrei detto.

IL RAGAZZO Un ladro, io? Non scappavo.

DIEGO Perché correvi, allora?

IL RAGAZZO Coi froci che t'allupano io nun ce tratto.

DIEGO E chi sarebbe il frocio?

IL RAGAZZO Dai, che serve? Con me non attacca.

DIEGO Eh già! col mucchio invece attacca, vero? e attacca bene. Più ce ne sono e meglio è. In falsetto: Io sono già venuto.

IL RAGAZZO Era vero.

DIEGO Normale: Vero, che cosa?

IL RAGAZZO Che ero venuto.

DIEGO Venuto in mezzo a un mucchio di froci!

IL RAGAZZO Scoppia a ridere. Ma è diverso!

DIEGO Come, diverso?

IL RAGAZZO Mica scopavo! me divertivo a fa' 'na sega insieme agli antri. Nun c'avevo mai provato. Volevo vede che se fa' e che se prova. Me so goduto la mi parte.

DIEGO Mo', perché parli in romanesco?

IL RAGAZZO Me capita quanno che so' nervoso. Quanno c'è chi me rompe er cazzo.

DIEGO Io, te lo rompo?

IL RAGAZZO Eh sì, che rompi.

DIEGO Però non ti capisco. Una sega con tanti non è da frocio, con uno sì.

IL RAGAZZO Ma te l'ho detto: ce volevo provà.

DIEGO Io non voglio scopare con te. Non voglio incularti né farmi inculare.

IL RAGAZZO E che vuoi?

DIEGO Farti un ritratto.

IL RAGAZZO Scoppia in una sonora risata. Ma te, non sei uno scrittore, un regista?

DIEGO Anche pittore, all'occasione, E fotografo. Vorrei appunto scattare qualche fotografia.

IL RAGAZZO E perché?

DIEGO Un servizio, per una rivista.

IL RAGAZZO Che rivista?

DIEGO Di teatro.

IL RAGAZZO Ma io non sono un attore.

DIEGO Potresti diventarlo, magari dopo questo servizio.

IL RAGAZZO Se'!

DIEGO Dico davvero. Con me, per questa commedia. Le foto servirebbero da lancio pubblicitario.Saresti pagato.

IL RAGAZZO Solo questo. e non mi chiedi altro?

DIEGO Per adesso no, non ti chiedo altro.

IL RAGAZZO E dopo?

DIEGO Ci stai?

IL RAGAZZO Ma ... dopo?

DIEGO Lascia perdere dopo. Dopo è dopo. Ci stai?

IL RAGAZZO Be', mi tenti.

DIEGO E lasciati tentare. Cedi.

IL RAGAZZO Va bene.

DIEGO Oh, finalmente!

IL RAGAZZO Ma niente scherzi! Me lo prometti?

DIEGO Te lo prometto.

IL RAGAZZO Giuralo!

DIEGO Lo giuro.

IL RAGAZZO Quando devo venire da te?

DIEGO Anche oggi se vuoi, se puoi.

IL RAGAZZO Oggi vengo da te.

DIEGO Dammi la mano.

IL RAGAZZO Gli porge la mano.

DIEGO La stringe forte. Attira a sé il RAGAZZO e lo abbraccia.

IL RAGAZZO Gli sussurra all'orecchio: Ma niente scherzi, l'hai giurato.

DIEGO Lo stringe forte, gli carezza con una mano i capelli. Il RAGAZZO lascia fare. Come ti chiami?

IL RAGAZZO Non te lo ricordi? Te l'ho detto: Marco.

DIEGO Marco? Mi avevi detto Salvatore. Salvo.

IL RAGAZZO Era diverso.

DIEGO Diverso, che?

IL RAGAZZO Che non ti conoscevo.

DIEGO E adesso?

MARCO Gli prende la testa tra le mani, posa la bocca sulla sua bocca e lo bacia.

Buio.


12. Il palcoscenico nudo. Sul fondale una foto gigantesca, frontale, di MARCO, completamente nudo. Nella posa dell'Hermes di Prassitele. Sotto, DIEGO la guarda.


DIEGO                                  C'è un baratro nel breve o lungo viaggio

di ciascuno di noi per i sentieri

più noti e meno noti o inesplorati

della brama di spandersi nel mondo,

di visitare i corpi, assaporare

il piacere degli altri, un'improvvisa

e a lungo vagheggiata, concupita

vertigine di abbandonarsi al salto

nella morte, nel buco di delirio,

di perdita di sé, che nel momento

di uscire da sé stessi, spasimante

si spalanca nel cavo del cervello,

i francesi lo chiamano a ragione

une petite mort, ma insieme accade

che sia proprio il cervello a ritirarsi

con spavento da quella innominata,

selvaggia e incontrollabile caduta:

più dolce, tuttavia, e più allettante

ci attrae quella paura se di noi

per tutto il corpo scorre la fiumana

che s'impossessa d'ogni nostra vena,

se la lacerazione del delirio

più affonda nella carne, e più ferisce

nella ferita il nervo ch'è scoperto,

e si aspetta con più diletto il dente

che mordendoci placa il desiderio

inappagato di desiderare:

insaziato il terrore di godere,

ma pertinace e scaltra la delizia

del disappunto dopo il godimento.

La folla dei goduti, la catasta

delle arrese, ritornano a mostrarci

la sconfitta di ciò che credevamo

invece una conquista dell'Eliso.

Quante figure diventate un'ombra

si affollano nel baratro gremito?

Un vortice che ingoia le durate

di ogni singolo incontro, le perdura

in un unico amplesso di scomposte

congiunzioni, la prima già di voce

che il controllo di adulti, spaventato,

chiama innocente. Fino al terminale

sussulto di un senile aggrovigliarsi

di fantasie. Perpetua la sognata

libidine, sconfitta la dovuta

soddisfazione. Stabile la nuda

solitudine dì ogni nuovo giorno.

Gioiosa solo la perseveranza

di ricordare di ogni singolo momento

la reciproca ebbrezza, si vorrebbe

che anzi restasse, che ci continuasse,

appena un fuggitivo contraccambio

di labbra che si toccano, di sguardi

che s'incontrano, e strette tra di loro

le dita che s'intrecciano. Ma presto,

anche nella memoria, tutte queste

dita si vanno districando, resta

una mano protesa, e l'occhio, perso,

che nel buio dell'oggi va cercando

l'impossibile traccia del passaggio

una volta avvertito di chi adesso

                                               non parla, non sorride, non si mostra.


Buio.
































13. Il palcoscenico nudo. MARCO sta ritto su una scala davanti a una parete, a sinistra, dove si apre una sorta di nicchia. Canticchia, mentre lavora con i fili di una centralina elettrica. Entra LAURA. Ha in mano un manoscritto. Non si accorge di lui. Grida.


LAURA

Ma dove sei, dove ti sei ficcato,

gran figlio di puttana. Questa merda,

io non la dico.

Butta per terra il dattiloscritto.

                            Merda, solo merda,

mi fai dire. Ma dove te le scovi

tu, questo cazzo di troiate? Dove

credi di stare? Messo male, peggio

di un becchino, il teatro, in questo schifo

di paese, se dissotterra mummie

come questa. Le metti in bocca a un'altra

che ha più fame di me queste battute.

Si accorge che DIEGO non c'è. Sente il canticchiare di MARCO e alza la testa verso di lui.

E tu, chi sei? Ah, già, l'elettricista.

Magari a te non te ne frega niente

di strillare cazzate come queste. -

Ehi! dico a te.

MARCO          A me? che vuoi?

LAURA                                      Sì, quello

che stava qua, dov'è? Lo scimunito

che ha scritto questa roba, dove è andato?

MARCO Ma e io che ne so!

LAURA                                  Le prove, dimmi,

non erano fissate per le cinque?

Sono le cinque e mezzo.

MARCO                          Ti ripeto.

Sarò più chiaro, così non ti sbagli:

io che cazzo ne so? Sono soltanto

l'elettricista. Dove sta, che cosa

fa, che cosa non fa, non me ne frega

una pippa. Contenta, adesso, Santa

Pupazza Ficarotta e culo sfranto?

LAURA Calma: 

Scendi.

MARCO Che vuoi?

LAURA Sempre calma: Ti dico: scendi.

MARCO                                                  E io

ti dico: ma perché?

LAURA Comincia a innervosirsi: 

                                Perché lo voglio.

MARCO

Io no.

LAURA Urlando:

            Scendi!

MARCO Scende dalla scala, silenziosamente.

LAURA Calma:

                         Avvicìnati!

MARCO                               Che vuoi?

LAURA Urlando: 

Avvicìnati!

MARCO Si avvicina a lei, ma resta a prudenziale distanza.

LAURA Calma: 

                    Più vicino ancora.

MARCO Si avvicina, ma non troppo:

Così va bene?

LAURA          Un altro po'.

MARCO Le si avvicina. Stanno uno di fronte all'altra. Le due facce quasi si toccano. I due si guardano. MARCO è nervoso. Muove le gambe.

LAURA                                  Sta' fermo.

Làsciati un po' guardare. Sei carino.

MARCO Sempre nervoso, muovendo le gambe.

Grazie.

LAURA Non ringraziarmi. Ma sta' fermo.

MARCO

Non posso.

LAURA      Sì, che puoi. Non fare storie.

E resta fermo.

MARCO Si sforza di non muovere le gambe. Ma trema tutto.

LAURA          Te l'ha detto mai

nessuna che sei bello? Bello, tanto!

MARCO

Mi sfotti?

LAURA      Proprio no. Anzi ti dico

che ci hai messo una consonante fuori

posto.

MARCO

             Che consonante? Ma che dici?

Oh sì, mi sfotti.

LAURA Gli carezza una guancia.

                            Ti starebbe bene

anche la barba. Guàrdami. E sta' fermo.

MARCO

Ma la finisci? Quale consonante?

LAURA

Non lo indovini? No, io non ti sfotto.

Sbagli la consonante. Sbagli verbo.

MARCO

 A riéccoti con l'indovinello.

LAURA

Nessun indovinello. C'è una esse

di troppo. Non ti sfotto. Come, infatti,

potrei? Se senza la esse mi faresti

la donna più felice del pianeta?

MARCO Disorientato:

Io?

LAURA

     Sta' zitto.

Lo bacia.

MARCO Resta irrigidito, non apre la bocca.

LAURA          Che fai? ma non ti piace?

Lo bacia un'altra volta.

MARCO Apre la bocca, restituisce il bacio.

Lo vedi? Abbiamo eliminato la esse.


Buio.


14. Una camera da letto. Un grande letto matrimoniale in fondo, e sopra una grande immagine di LAURA nuda, nella posa dell'Afrodite callipigia. Davanti al letto, sdraiato per terra, a pancia ingiù, nudo, MARCO, che guarda estasiato l'immagine.


MARCO

È la bellezza che ti fa poeta.

Incauto elettricista di teatro,

che ne capivo di bellezza, io,

e di poesia? che ne capivo, scemo,

di teatro? che ne capisco, adesso,

dell'estasi infinita di una notte

che ha reso trasparente la giustizia

dei limiti di un corpo, più perfetta

la misura imperfetta di me stesso,

più aperta e nuova la limitatezza

in cui si circoscrive e configura

la mia interminata, e ripetuta

nella mia testa mille volte, buia

beatitudine che m'invade il corpo,

lo inghiotte e lo inabissa nel bacino

da cui comincia ogni piacere, il vuoto

da cui emerge ogni pienezza, il punto

in cui si annienta l'attimo per farsi

tempo di un godimento senza tempo?

che ne capisco, giovane inesperto,

garzone analfabeta, ragazzotto

di borgata, che ne capisco, io,

della poesia che fugge questo istante,

in cui non può fermarsi, e corre, vola

via dall'istante, non per annientarsi,

ma per fissarsi, anzi per eternarsi

nel ricordo di un solo esaudimento,

il fiume di piacere che si scioglie

nel sangue delle vene e scorre, esonda,

fluisce fuori del tuo corpo, ebbrezza

mai cominciata, e tuttavia goduta,

come un fiotto inesausto di follia,

l'interno che ti scoppia in un esterno

ch'è tutta la tua vita, il tuo respiro,

anzi il soffocamento del respiro?

Laura! la prima e l'ultima mia donna,

la donna dei poeti e della morte

dei poeti: perché ti muoio, Laura,

io muoio dentro l'infinito varco

dal mondo che conosco a un altro mondo

che non conosco, e dentro il quale voglio,

voglio per sempre, così come vedi

che muoio dentro il mondo in cui mi accogli,

voglio morire dentro questo mondo,

voglio essere per sempre io, là dentro,

l'inesistente che ti colma, il fiotto

che ti feconda, il lucido delirio

che spiega l'inspiegabile segreto

di tutto ciò che vive e che comincia,

vivendo, a presentire la sua fine.

Su questa terra. In altre terre, forse,

in altri mondi, quali, non saprei,

altri universi del mio limitato

universo in cui vivo solitario,

elettricista di teatro, qualche

orgia di notte, qualche cauto incontro,

o incauto scontro, e questo mio naufragio,

adesso, in altro e più profondo mare

del quotidiano buco di esiliati

dal mondo che governa anche lo scarto

degli esiliati. Io, questo scarto, sono

uno che l'abbandona, oggi, la conca

degli scarti, uno che si scrolla, evviva!

la spazzatura dalla faccia, e guarda

con occhi aperti il mondo rifiutato,

o meglio che lo rifiutava, il mondo

degli esclusi, dei denigrati, sono

chi se la svigna, chi felice adesso

se ne fotte di chi lo fotte, sono

uno che sbuca, esce dal sottobosco,

entra nel bosco, ed entro, finalmente,

nel mondo che m'include, sono, io, anzi,

che includo il mondo. Sono io che escludo:

chi voglio, entra; chi non voglio, resta

fuori. E io mi faccio una risata.


Buio.


15. Il palcoscenico nudo. MARCO seduto su una sedia. DIEGO che gli gira intorno.


DIEGO Dunque una scopata ti ha cambiato il mondo?

MARCO No, è il mondo, il mondo che ha cambiato il mio modo di vederlo.

DIEGO Cioè? cioè?

MARCO Cioè, una scopata, come la chiami tu, non è mai solo una scopata.

DIEGO E che cos'altro, scusa?

MARCO Non che cos'altro, ma che cosa di più.

DIEGO Detto da una marchetta non mi meraviglia. Vuoi dire: il prezzo?

MARCO Chi paga e chi è pagato non vedono la stessa cosa.

DIEGO Ti ha insegnato pure questo?

MARCO Che cosa?

DIEGO Che in fondo, marchetta o prostituta, siete sempre vittime.

MARCO Ma vittime di chi, e di che cosa?

DIEGO Smettila di fare il buffone. Sai che cosa voglio dire.

MARCO No. Non lo so.

DIEGO Ti risparmio la spiegazione.

MARCO Lo so. Sei bravissimo a risparmiare. Anche te stesso.

DIEGO Il culo, vuoi dire? Ti piaceva, mi sembra.

MARCO A te? o a me? perché se a te, almeno quello non lo risparmiavi.

DIEGO Che vuoi insinuare?

MARCO Che ci vedevi comunque un guadagno.

DIEGO Cioè?

MARCO Un investimento fruttuoso: ci guadagnavi più di quanto spendevi.

DIEGO Che cosa ci guadagnavo?

MARCO Il plus valore di un godimento.

DIEGO Ipocrita! Godevi anche tu.

MARCO Preferivi che ci soffrissi?

DIEGO Smettiamola.

MARCO Ma sì. Smettiamola. Hai cominciato tu.

DIEGO E allora? Vorrei vedere che adesso me lo rinfacci.

MARCO Che cosa?

DIEGO Che ci godevi anche tu, che godevamo tutti e due.

MARCO Mai negato. Ma tu, godevi e basta.

DIEGO Anche tu, mi risulta.

MARCO Io, no.

DIEGO Non godevi?

MARCO Sì. Ma c'era anche qualcosa d'altro.

DIEGO Che cosa? A parte i soldi.

MARCO Vedi? Se te lo dico, non ci arrivi. Nemmeno se te lo spiego.

DIEGO Con un soprassalto della voce. Noooooooooo! Non dirmelo.

MARCO Hai sbagliato tutto. Con me, e anche con Laura.

DIEGO Fissa negli occhi MARCO, che abbassa la testa in cenno di assenso.

Che cosa, dimmi, ho sbagliato?

MARCO Te l'ho detto: tutto. Questo.

Gli si avvicina e lo bacia sulla bocca.

Ma ormai è troppo tardi.

Esce. Buio.


16. Il palcoscenico nudo, come all'inizio. DIEGO, LAURA, MARCO, in piedi sul proscenio. LAURA in mezzo.


DIEGO

Ho sognato di vivere nel sogno

di un altro.

LAURA      No, se amore fu il tuo sogno,

esso non fu di amore.

DIEGO                          Di che cosa,

allora?

MARCO

             Di te stesso. Non amasti

mai nessuno, se non te stesso. Amato,

non capisti nemmeno quanto amore

ci fosse nel piacere che ciascuno

ti donava. Capivi solo, cieco

all'amore degli altri, quel piacere

che i tuoi altri sapevano donarti.

LAURA

Hai denudato me, hai denudato

il ragazzo che andava per la scena.

Ma nel mio corpo nudo, nel suo corpo,

che nudo ti attraeva più del mio -

zitto! non protestare, non negarlo,

perché se sei onesto, e nel tuo fondo

che non conosci, tu lo sei, se dentro

di te ti guardi, non nutrivi amore

che per i nostri corpi. La perfetta

architettura che ti si mostrava

era l'unica cosa che volevi

fare tua cosa, impossessarti di una

forma, godere di questa apparenza

che potevi toccare, adoperare -

zitto! non interrompermi - non altro,

di noi due, del ragazzo, della donna,

t'interessava, che la manifesta

bellezza delle forme, assoggettarla,

o meglio impossessartene, per farne

una medaglia, un privilegio, il pegno

visibile che sei capace sempre

di ottenere la resa di chi vuoi

sedurre per imporgli le tue voglie.

MARCO

Quando venivo, e mi scioglievo dentro

il tuo corpo, tu non ti abbandonavi,

non ti lasciavi possedere fino

all'ultimo atto di un'estrema resa,

di un connubio che unisse i nostri corpi

in un unico corpo. Non lasciavi

che all'amore del mio donarti tutto

me stesso, rispondesse il tuo donarti

con un amore uguale. Tu restavi

te stesso, mi prendevi, non mi davi

niente di te. Mi lasciavi fuori,

anche se t'ero dentro. Se venivo

dentro di te. Restavi separato.

LAURA

Quando prendevi me, quando mi entravi

dentro, non ti sentivo. Tu restavi

fuori. Come se non t'interessasse

ch'io, come te, godessi. Ti bastava

scaricare la furia del tuo sangue.

Appena mi venivi dentro, presto

eri già fuori, già ti liberavi

di me, tu te ne uscivi, liberato

di un carico, non esistevo, come

una latrina che si chiude dopo

essersene serviti. Sai, mi chiedo

se hai mai visto in un corpo, poco importa

se di ragazzo o se di donna, il flusso

del sangue nelle vene, la violenza

del fiato che si spegne nell'orgasmo.

Se hai mai sorpreso il battito del cuore,

indovinato negli spasmi estremi

del piacere, l'istinto di una vita,

il brivido febbrile di un pensiero,

e - perché no? - l'incauto dipanarsi

di una innocente, aperta dedizione.

DIEGO

 Volete dire che sono un egoista?

MARCO

Ecco. Ti scusi. Ti difendi.

LAURA                              Sembra

che debba sempre morderti qualcuno.

DIEGO

 Ma - che cosa, su, ditemi, mi state

ora facendo, voi, se non lanciarmi

addosso i vostri insulti, le scontate

vostre accuse di sempre? io sono il male,

tutto il male del mondo, mentre voi

siete i martiri di un perenne, sconcio

massacro. E sono io che vi massacro!

LAURA

Massacri, qui non se ne vede l'ombra.

O sei tu stesso, se mai, che massacri

la tua testa. Narciso pervicace,

tu non vedi, non sai vedere niente

dopo la punta del tuo naso. Basta,

Diego, basta con queste vecchie storie:

sempre qualcuno che ti accusa, sempre

qualcuno che discute il tuo primato

in qualche cosa: di scrittore, un giorno,

e l'altro di teatrante. Sempre in mezzo,

e sempre a primeggiare. Con le donne,

con i ragazzi, guai se non fai

la parte del protagonista. E via!

MARCO Devi farla sentire, devi farla

subire a tutti la supremazia

di chi sei. Tu sai tutto, tu comandi.

DIEGO Ma se ti ho dato il culo!

MARCO Non il cuore.

E tanto meno, Diego, la tua testa.

LAURA

Smettetela! Non è un processo, questo,

ma un chiarimento, una precisazione

di chi siamo, di che vogliamo l'uno

dall'altro, o meglio l'uno insieme all'altro.

Non si accusa nessuno, né si assolve.

Siamo tutti colpevoli di qualche

cosa, e tutti chi più chi meno siamo

ugualmente innocenti del dolore

che provochiamo agli altri. Basta, Diego.

Basta, Marco. il dolore che imputiamo

come una colpa all'altro, siamo noi

stessi che ce lo siamo inferto, noi,

con la nostra acquiescenza, con la nostra

imperdonabile sottomissione.

Guardiamoci. Che cosa abbiamo fatto

di noi stessi? Paura di che cosa

ai nostri occhi accettabile rendeva

un consenso che non avremmo dato

al peggiore nemico? Di che cosa

era peggiore il sopravvento? Butto

sul tappeto di questo gioco un dubbio,

una carta sbagliata, la perdente,

quella che perde sempre e lo sappiamo

ch'è la carta che perde: lo sapete

anche voi. La conosci, Diego, questa

carta?

DIEGO No.

LAURA      E tu, Marco?

MARCO                              No.

LAURA                                          Che strano!

Pensavo invece che la conosceste.

Perché anche voi è quella che giocate,

che la giocate sempre. Quella sola

che perde, lo sapete, lo sapete,

ma la giocate. Non potete fare

a meno di giocarla, sempre quella,

quella che perde.

DIEGO                  Ma falla finita!

E dicci quale sia questa tua carta

che perde, anzi la nostra, che giochiamo,

sembra, come inguaribili cretini.

LAURA

No, non come cretini. Spaventati.

Sì, come spaventati. Per paura.

MARCO

Ma di che cosa? Non capisco. Spiega.

LAURA

Non lo capisci? Tu, che più degli altri -

MARCO Fa cenno di parlare.

LAURA

... sta' zitto, lascia che finisca, prima,

e che ti spieghi; è questo, no, che vuoi?

Dunque non interrompermi, sta' zitto -

Sono sicura che appena l'avrò

detta la carta, voi vi batterete

la fronte con il palmo della mano:

eh già, è vero, come mai facevo

a non capirlo? - Non lo si capisce.

Semplice. Non lo si capisce fino

a quando c'è qualcuno che lo dice.

DIEGO

Laura! ma adesso esageri. Va bene

che ci dai per cretini. Addirittura

adesso arrivi a farci subnormali.

LAURA

Un po'. Soltanto un po'. Ma tu lo sei.

DIEGO Furioso: 

Ma come ti permetti? Porca ...

LAURA                                      Piano!

O lo dimostrerai, che sì, lo sei.

MARCO

Però, anche tu ...

LAURA              Sta' zitto. È un conto aperto

tra noi due. Tu non c'entri. O di straforo,

può darsi, tra di voi. Mi sbaglio?

MARCO

No.

LAURA

        Torniamo dunque al punto dove prima

stavamo. Questa carta che giochiamo

e che giochiamo anche sapendo ch'è

quella che perde, è la paura della

solitudine. Ci lasciamo, tutti,

per la paura, sovrastare, tutti,

per la paura, annichilire. Siamo

tutti, nessuno escluso, in questo gioco,

sia complici che vittime, ed è un gioco

in cui sempre si perde, in cui nessuno,

sia complice sia vittima, può darsi

vanto di avere vinto l'avversario.

DIEGO

Ma che c'entra quest'idiozia bizzarra

con noi tre, con le nostre storie, Laura?

LAURA

Immaginavo che te ne saresti

tratto fuori. Ti sei ficcato in faccia

tante maschere, che non sai più quale

stai indossando nel momento in cui

parli. Ora indossi quella di Arlecchino.

DIEGO Mi reputi una marionetta?

LAURA Solo

quando t'è conveniente. Più colori

nascondono il grigiume che ti porti

dentro.

MARCO A Diego:

                 Un ritratto che ti mette a nudo.

Sei così.

DIEGO Seccato:

                Taci, non sai ciò che dici.

MARCO

E tu lo sai? Ti sei guardato bene?

Un dongiovanni con le donne, checca

sfrenata quando te lo fai ficcare

dai ragazzi.

DIEGO Si avventa su MARCO e gli stringe il collo con le mani.

LAURA Urlando:

                     Smettetela!

Calma:                             Che serve?

Arlecchino ha ragione. Sono proprio

le maschere che aiutano a passare

la sbornia. Sì, la sbornia in cui si affoga

il dolore degli altri. Tutto il male

che s'infligge con quello che si soffre.

Perché affliggersi del domani, quale

il giorno ci strapiombi addosso, bello

o infelice che sia. Interrogare

il destino lasciamolo alle streghe.

Qualunque sorga giorno, al tuo risveglio,

è un altro giorno, un giorno in più. Pertanto

godi che puoi vederlo. C'è comunque

un tempo per la notte, verrà l'ombra

che nasconde la luce. Ma la luce,

finchè dura, godiamola, godiamo

la vita che scorre nelle vene,

afferriamola senza pentimento,

non lasciamola scorrere inattiva.

A Diego: Abbiamo con delizia molte veglie

vissute insieme. Perché mai dovremmo

smettere, amico, di goderne ancora?

Ti piace Marco? e le sue veglie sono

più divertenti, forse, delle mie?

Perché non divertirti ancora? Sono

anch'esse un dono degli dei. L'amore

non è solo parola che si dice.

Sono anche queste notti. Queste notti

con me, con lui, le vostre notti, tutte

le vostre notti, ma anche le nostre,

le mie, le tue, con me, con te, perfette

perché vissute, e sì, da noi vissute.

A Marco: Sembra che la mia notte ti abbia reso

felice. Perché, dunque, tralasciare

di ripeterla, questa contentezza

di renderci felici e continuarla?

Ma sembra che hai piacere anche da Diego,

una felicità diversa, eppure

anch'essa, sempre, una felicità.

Diego, Marco, la nostra vita è strana,

ma sembra che noi tre abbiamo preso

da questa strana vita il meglio, tutta,

incontrata per caso, o per fortuna,

una felicità che ci ricolma

di vita fino all'orlo in cui trabocca.

E lasciamola traboccare, questa

felicità, la vita regalata

dalla felicità di ritrovarci,

noi tre, felici di sentirci

ancora vivi, e vivere inondati

dal piacere di viverla tra noi,

tutti e tre, tutti insieme, questa immensa

felicità di ritrovarci uniti,

gli uni e gli altri, nel vortice di questa

festa che voglio non finisca mai.


Tutti e tre si abbracciano, si baciano, si allacciano, mentre lentamente cala il buio.



Fiano Romano, 2 marzo - 12 maggio 2024















1Non sai che cosa vivi, né che vedi, né chi sei. Euripide, Le Baccanti, v. 506

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