Sviluppo qui una riflessione nata dal dibattito sul latino,
sollecitato da un link condiviso ieri, su Facebook.
Vedo che si continua a parlare di latino, lasciarlo,
toglierlo dall’insegnamento delle superiori. Ma gli argomenti di chi lo
sostiene e di chi vorrebbe abolirlo sono mal posti, fallaci. Il latino è una
lingua, non una palestra di logica. La logica, se mai, s'impara di più con la
matematica. Ma non è questo il punto. Se lo s’insegnasse per insegnare a
ragionare gli si farebbe un torto, perché non è una calcolatrice ma una linga. La
libertà? Già, perché invece il greco, rispetto al rigoroso latino, sarebbe una
lingua più moderna, più libera. Ebbene, il latino è libero quanto il greco
perché è una lingua, e il greco è rigoroso come un trattato di Wittgenstein, perché
proprio dal greco abbiamo imparato ad argomentare. La logica formale, già
impostata meravigliosamente da Platone, è stata "formalizzata" una
volta per sempre da Aristotele. Lui ci ha insegnato a considerare la forma del
ragionamento, non il contento. Lui ha per primo esposto per simboli le regole
della logica, le frasi A B Γ, con l’alfabeto greco (A B G), con l’alfabeto
latino A B C: se A è B e B è C allora A è C. E' una conquista di rigore
scientifico inimmaginabile, che ha fondato il pensiero occidentale. Ma si
leggano, anche, i primi paragrafi de De Interpretatione (è costume indicare in
latino i titoli delle opere di Aristotele): ci sono già tutti i fondamenti di
qualunque teoria del linguaggio. A cominciare dal fatto che il mondo lo conosciamo
solo attraverso il linguaggio. Dunque, lasciamo stare che il latino insegna la
logica. La insegnano i filosofi greci. E la matematica, che in Italia s’insegna
troppo poco. Il latino, da parte sua, è ambiguo come qualunque altra lingua,
antica o moderna che sia, e uno dei suoi massimi poeti, Virgilio, il padre,
forse, con Orazio, della poesia moderna, è un concentrato inestricabile di
ambiguità. Huic uni forsan potui succombere culpae (Eneide, IV, 19): come
tradurre? forsan, forse, attribuisce a tutto il verso la sua incertezza, la sua
ambiguità. Uni è riferito ad Enea o alla colpa, solo per costui sarei potuta
colpevolmente soccombere o per questa sola colpa sarei potuto soccombere. In
realtà è tutt'e due le cose. Virgilio lascia sospeso il pensiero di Didone, lo
affonda nel dubbio, nel vago, nell'ambiguità, Didone pensa insieme al marito
perduto e ad Enea. Se poi leggiamo Orazio, navighiamo nel mare più agitato
della poesia di tutti i tempi. Altro che poeta sereno e distaccato! Insomma,
questa del latino che abituerebbe a ragionare è una cattiva difesa per
mantenerlo nelle scuole. Il latino è una lingua. E come qualunque lingua, è
mutevole, vario, ricchissimo di costruzioni linguistiche anche contrastati, ci
regala grandi poeti e grandi prosatori, ma Catullo non è Properzio, Cicerone
non è Seneca, anche se tutti sono immensi poeti e ancora più fecondi prosatori.
Fino alla tarda antichità. Una pagina di Ammiano Marcellino si legge con lo
stesso vivace interesse di una pagina di Braudel o di Bloch. Ed è
per questo che dobbiamo studiare il latino, perché è il fondamento della nostra
cultura, perché in latino hanno scritto alcuni dei poeti e degli scrittori più
grandi di sempre, perché dietro quasi ogni rigo di quel modernissimo narratore
che è Italo Calvino o di quell’originalissimo poeta che è Andrea Zanzotto, s’intravede,
come un incunabolo, un palinsesto, lo sterminato repertorio della cultura
latina, anche medievale. E non si dimentichi che il trattato che ha fondato la
fisica moderna, il Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (Principi
Matematici della Filosofia della Natura) di Isaac Newton, è scritto in latino,
e che in latino si discutevano le tesi di laurea nelle università britanniche
fino agl’inizi del secolo XX. E ancora esistono università, nel mondo, dove s’insegna
a parlare latino. Non in Italia, naturalmente, ma sì, per esempio, negli USA, e
in particolare a Harvard, dove tra l’altro si pubblica una delle più complete
raccolte di autori classici greci e latini in edizioni scientificamente accuratissime,
la LOEB. In Italia, niente di simile. Anzi, il governo ha pensato bene di
ridurre o addirittura togliere i finanziamenti alla Lorenzo Valla, splendida
collezione di classici latini e greci antichi e medievali. Smettiamola perciò di considerarci la culla
dell’umanesimo. Non lo siamo. Tanto più che sia nell’antichità sia nell’Umanesimo
non esisteva quella separazione di studi scientifici e umanistici che affligge
invece la cultura italiana di oggi.
Fiano Romano, 12 agosto 2016
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