Cinzia Dichiara, Voi che
sapete. Il personaggio di Cherubino ne “Le Nozze di Figaro”
Introduzione
di Philipp Gossett
Lucca,
Libreria Musicale Italiana, 2017, pagg. 206, € 28,00
Mi
scuso del ritardo con cui scrivo del saggio mozartiano di Cinzia
Dichiara. Confesso che all’inizio l’argomento non mi seduceva. Mi
pareva, anzi, sproporzionato il rilievo del titolo al rilievo che il
personaggio di Cherubino assume nell’opera. Diffidenza simile
confessa anche Philipp Gossett -ahinoi! scomparso - nell’introdurre
alla lettura del saggio. Gossett si ricrede, dopo la lettura. E lo
stesso è accaduto a me. Che Cherubino rappresenti, e lo rappresenti
nella sua attuazione più immediata e più esplicita, tutta la
sconvolgente ambiguità che nel teatro di Mozart, e non solo nel
teatro, introduce l’irruzione dell’Eros, credo l’abbiano
sentito e pensato tutti coloro che abbiano una qualche familiarità
con la musica di Mozart e in particolare con il suo teatro. Qualcuno,
come Kirkegaard, vi ha visto qualcosa di ancora più profondo. E,
dagli anni dei miei studi universitari, continuo, infatti, a credere
che Kirkegaard resti una delle chiavi interpretative d’accesso alla
musica di Mozart non solo più acute e penetranti, ma l’unica,
forse, che ne abbia anche colto insieme il valore vero e proprio di
pensiero, pensiero musicale, certo, non traducibile in pensiero
verbale, ma pensiero, allo stesso modo che Leonardo diceva che la
pittura è scienza. Un decisivo influsso deve essere stato, per
Kirkegaard, quello delle Lezioni di Estetica di Hegel, nelle
quali il filosofo tedesco riconosce alla musica – e, particolare
non trascurabile, all’architettura - la prerogativa di mostrare
come proprio contenuto la propria forma. Il valore estetico di un
tempio greco non è di essere un tempio, ciò riguarda la sua
funzione sociale, ma il suo valore estetico è dato dal modo in cui è
costruito. E così la musica mostrerebbe come proprio contenuto non
ciò che indicano le parole se si tratta di musica vocale, o un
titolo, nel caso della musica strumentale, bensì il modo in cui è
costruita, e cioè la sua forma. Naturalmente, poi, le forme sono
piegate dalle convenzioni e dalle consuetudini a significare questa e
quell’altra cosa. Ma il valore estetico di una forma è essa
stessa. Nel teatro le cose si complicano. Perché vi si aggiungono
alre tradizioni, altre convenzioni.
E
qui veniamo al bel saggio di Cinzia Dichiara, che si divide in due
parti. Nella prima si segue la nascita dell’opera e si analizza la
sua struttura drammaturgica e il carattere dei suoi personaggi. E già
in questa prima parte compaiono suggerimenti assai stimolanti come
appunto quello che rinvia a Kirkegaard e l’altro, ancora più
sottile, a Rousseau. Chiarisce assai bene la complessa genesi della
commedia di Beaumarchais e poi dell’opera di Mozart, l’averla
giustamente inserita nella storia della Commedia dell’arte e
riconoscere nel carattere di alcuni personaggi il tipo di talune
maschere, già nella commedia di Beaumarchais. Personaggi come Figaro
e Susanna conservano molti tratti di Arlecchino e Colombina. Molière
del resto nasce come attore di una compagnia italiana in Francia di
comici dell’arte, e il suo ruolo, a cui dedica anche una commedia,
è quello di Sganarello. Il genio di Molière riassume poi in un
omaggio e insieme una celebrazione della commedia dell’arte,
proprio lui che aveva ormai indirizzato la commedia per altre vie (e
non sarà un caso che Molière, insieme a Shakespeare, sia il
drammaturgo preferito di Mozart), in quel gioiello di teatro nel
teatro che L’Impromptu de Versailles. Ci si aspetterebbe,
però, che fosse ricordato anche Marivaux, che è l’anello di
congiunzione tra la Commedia dell’Arte italiana, Molière e
Beaumarchais. Nella Doppia Incostanza Arlecchino rimprovera
Colombina di essersi infatuata di un principe che in realtà vuole
solo divertirsi con la sua serva. E aggiunte: Un tempo mi amavate.
Colombina risponde: Quando vi amavo vi amavo, ora che non vi amo più
non vi amo. Con una leggerezza non solo tutta francese, e tutta
“libertina”, ma che appartiene già al clima da cui nasce un
personaggio come Cherubino. E in proposito va osservato che nella
terminologia teatrale settecentesca i termini commedia per musica,
dramma giocoso e opera buffa sono sinonimi. Sarebbe sbagliato
leggervi un’insistenza sul carattere di commedia o di dramma, come
avverrà nell’Ottocento. Goldoni chiama i suoi libretti “drammi
giocosi”: per esempio è un “dramma giocoso” Le Nozze,
del 1755, musicato tra gli altri da Galuppi, e con una vicenda simile
a quella delle Nozze di Figaro, ed è un “dramma giocoso”
Il Finto Principe del 1749, non si sa messo in musica da chi,
e così pure Il Mondo della Luna dell’anno seguente,
musicato da Galuppi e altri, tra cui Haydn. Che dunque Le Nozze di
Figaro si chiamino “opera comica”, il Don Giovanni
“dramma giocoso” e il Così Fan Tutte anch’esso “dramma
giocoso” non significa niente quanto a caratterizzazione
drammaturgica. Sta solo a indicare che si tratta di uno spettacolo
comico. Che poi Mozart avviasse l’opera buffa a diventare una vera
e propria commedia, del tutto analoga alla commedia del teatro
parlato, è un altro discorso. Ma la commistione dei generi serio e
comico si trova già alle origini dell’opera buffa, per esempio già
nel Flaminio di Pergolesi, che è del 1735. Fin dall’inizio,
infatti, l’opera buffa si pone come parallelo comico dell’opera
seria, con lo stesso rapporto che la commedia aveva con la tragedia.
E sulla trasformazione dell’opera buffa in commedia di costume un
grande contributo fu dato da Goldoni, esattamente come aveva già
fatto nella commedia. E quindi Mozart in ciò non introduce niente di
nuovo. Assai interessante è tuttavia la descrizione dei personaggi,
l’ambiguità dei loro ruoli, che escono in parte dalle convenzioni,
pur serbandone il tipo fondamentale, e proprio in tale scarto tra la
convenzione e lo sconfinamento di un ruolo nell’altro sta la novità
e la vivacità del teatro mozartiano. E tutto questo Dichiara lo
mette bene in rilievo.
La
seconda parte del saggio è dedicata all’analisi della costruzione
musicale dei personaggi e delle scene, ed è la parte più stimolante
di esso. Giustamente Dichiara mette in risalto la complessità
strutturale di arie, scene, numeri d’insieme, la loro coerenza
tonale, l’elaborazione di una struttura musicale regolata dal
principio sonatistico, che permette di piegare l’andamento musicale
agli sviluppi drammatici assai più delle forme tradizionali
dell’aria. Non è ancora il dramma musicale, ma è già un uso
drammaturgico delle forme musicali, e non a caso Wagner vedeva
proprio nelle Nozze di Figaro l’inizio del teatro moderno. A mio
avviso con ragione. Si badi bene: non è che il teatro fondato
sull’aria (che comunque Mozart non abolisce) in cui si afferma l’
“affetto” del personaggio non avesse ragioni drammaturgiche. Ma
esse erano altre. L’aria bloccava l’azione, demandata ai
recitativi. In Mozart l’aria non solo fa parte dell’azione, ma
spesso addirittura la provoca. Tutto ciò, nelle analisi del saggio,
è ben chiarito.
Un
ultimo cenno sul senso generale che si vorrebbe suggerire: che
Cherubino sia il motore di tutta l’azione, sia drammaturgica che
musicale dell’opera, cose che tra l’altro in Mozart coincidono,
vale a dire drammaturgia e musica,. Illuminante in proposito
l’analisi di quello che Dichiara chiama “il Leitmotiv di
Cherubino” e che io chiamerei piuttosto “motto”. Ed è vero, si
riscontra, basta leggere la partitura. Ma allora che cosa significa
Cherubino? Be’, tanto per cominciare, nella pittura del
Cinquecento, ma soprattutto in quella francese del Settecento, il
bambino con le ali è Eros, Amore. L’Aminta del Tasso si
apre e si chiude con la fuga di Amore e sua madre Venere che lo
cerca. Ed è un testo che serpeggia sotterraneo in tanta letteratura
libertina del secolo dei lumi. Cherubino diventa così il motore
dell’azione proprio perché non è direttamente il responsabile di
ciò che accade, ma tutto accade perché in qualche modo c’è lui
di dietro. Lo dice il Conte, di trovarselo sempre tra i piedi. Il
personaggio è un ruolo en travestì già nella commedia di
Beaumarchais. Dove gli si danno 13 anni ed è interpretato da
un’attrice. Nell’opera di Mozart l’età non è precisata, ma la
prima interprete aveva 23 anni. Ed era avvenente.
Ritorniamo
a Kirkegaard. Cherubino è l’eterno desiderio sessuale. Più ancora
che amoroso (“e quando non ho chi m’oda / parlo d’amor con me”:
esplicito riferimento alla masturbazione), anzi il desiderio e basta,
ambiguo, inafferrabile, della vita. Così come Margherita nel Faust
è l’Eterno Femminino. Mozart e Goethe. Contemporanei, anzi i due
più grandi contemporanei di quel momento. Dichiara associa, in un
punto, Cherubino a Werther. Ma per negarlo subito dopo. Il pathos dei
due personaggi è inconciliabile. Il pendant femminile di Cherubino è
Margherita. Che muore, come morrà Cherubino ne La Madre
Colpevole, terza commedia della trilogia che comprende Il
Barbiere di Siviglia, Le Nozze di Figaro e La Madre
Colpevole. Una notte con la Contessa fa nascere un figlio. Aveva
ragione il Conte quando consigliava di non sottovalutare le capacità
virili del ragazzo. Ma sia Cherubino sia Margherita devono sparire,
l’amore assoluto, leggero, inafferrabile, non appartiene a questo
mondo. Almeno, così si pensa alla fine della lettura del saggio,
anche se ciò Dichiara non lo dice esplicitamente.
Fiano
Romano, 25 aprile 2019
Complimenti Cinzia! Cristina Curcio
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