Sulmona, Abbazia di Santo
Spirito al Morrone
Natura
e Spiritualità: Carl Borromäus
Ruthart
A
Sulmona, nell’Abbazia di Santo Spirito al Morrone, c’è una
mostra dal titolo Natura e Spiritualità, dedicata al pittore barocco
polacco Carl Borromäus
Ruthart, talora scritto
anche Ruther, italianizzato poi, quando si stabilì in Italia, in
Rutardo, nato a Danzica nel 1638 e morto all’Aquila nel 1703.
Ammiratore di Rubens e della pittura fiamminga, soprattutto
di quella naturalistica, paesaggistica e di genere, Ruthart
scende in Italia ed entra in contatto dunque
con la pittura italiana, soprattutto quella
di scuola napoletana, ma
mostra di conoscere anche quella bolognese e romana.
Entra nell’ordine dei celestini e comincia a dipingere quadri
religiosi. Ma di fatto non cambia molto l’impostazione sia
concettuale sia costruttiva della sua pittura. Resta attratto dalla
natura e dagli animali. E
le storie, anche bibliche, sono inserite in ampie figurazioni
paesaggistiche o di genere. Com’era del resto tipico del realismo
fiammingo.
In
molti quadri l’animale è presentato come aggredito dall’uomo,
cacciatori, contadini, e l’emozione del pittore sembra
collocarsi tutta dalla
parte degli animali. Nei quadri religiosi questo
atteggiamento non cambia e frati,
santi intervengono a difendere gli animali dalla violenza dell’uomo.
Dominano i colori bruni, cupi. E la costruzione piramidale delle
figure. Ma un’introspezione dei personaggi, anche
questa d’ascendenza fiamminga,
siano essi uomini o animali, caratterizza
sempre le sue figurazioni.
Nel
dipinto di Santo Stefano e il lupo ammansito, lo sguardo del santo
sta fisso su quello del lupo, anzi è il lupo a fissare intensamente
il santo. Dagli occhi del santo a quelli del lupo c’è una linea
retta, ch’è attraversata dalle braccia del santo, a formare una
croce. Il messaggio cristiano sembra così rivolto non solo agli
uomini ma anche agli animali.
Difficile
parlare di pittore minore, davanti a tanta perizia e consapevolezza.
Ma era tipico delle botteghe seicentesche
curare con scrupolosa attenzione la formazione dell’artista, il cui
vanto principale consisteva non tanto nell’originalità
dell’invenzione, quanto nell’accuratezza della fattura. E’
sempre istruttivo confrontarsi con figure che apparirebbero marginali
nel grande flusso dell’arte europea, ma proprio con
la visione e con
lo studio di queste figure marginali si coglie la fitta rete di
relazioni tra i diversi
paesi e le diverse
culture artistiche che intreccia per secoli l’arte europea. Ogni
cultura ha un carattere suo proprio, e si distingue facilmente un
pittore francese da un pittore tedesco o da un italiano e da uno
spagnolo o fiammingo. Ma
poi, studiando attentamente ogni quadro, l’opera di ogni pittore,
si scoprono imitazioni, influssi, ascendenze, i più disparati.
Ecco
allora che una mostra come questa si fa estremamente interessante,
direi anzi indispensabile, a cogliere proprio la vastità del campo
d’azione di questi artisti che trascorrono da una città all’altra,
da Danzica all’Aquila e a Sulmona, come Ruther, da Venezia a
Varsavia, come Bellotto. Visitatela,
questa bellissima mostra,
è aperta fino al 6 ottobre.
Ci
sarebbe da fare anche un discorso sull’abbazia. Che fino al 1993 fu
adibita a carcere di massima sicurezza. Ma questo un’altra volta.
La facciata della chiesa è uno splendido esempio settecentesco di
derivazione borrominiana, in questo caso da
San Carlo alle Quattro Fontane, a
Roma. Bellissima, di
equilibratissimo respiro, le colonne adoperate come elemento
decorativo e non strutturale, esattamente come in Borromini. Oggi la
chiameremmo decostruzione. L’interno, luminosissimo, ricorda
Sant’Agnese in Agone, e le nervature svolgono la
stessa funzione di slancio spaziale verso l’altro. Ma
nessuna descrizione rende l’impatto di ampiezza, luminosità, che
si ha appena entrati nella chiesa.
Fiano
Romano, 29 agosto 2019
Nessun commento:
Posta un commento