Fare in Italia musica da camera è oggi cosa da eroi. Il
pubblico insegue altri miti, che non quelli di un Lied, di un quartetto, di una
cassazione. Vuole l’ugola che strilla, l’icona fotogenica, il pianista
stregonesco o fantasmagorico, il regista che si nasconde per lasciare sulla
scena le didascalie del libretto. L’arte è altrove, come spesso accade: nell’ugola
che parla cantando, nella figura che impersona magnificamente un ruolo, non importa
se bella o brutta, ho visto Quasthoff interpretare il Pizarro del Fidelio, ed
era sublime, demoniaco, ho sentito Bernstein “accompagnare” Christa Ludwig nei
Zigeuner Lieder di Brahms, Peter Sellars mettere in scena il Saint François di
Messiaën. Maurizio Baglini appartiene a questa seconda categoria di artisti: la
semplicità non è un dono di natura, la si conquista con lo studio, e
soprattutto con l’amore che ci fa umili davanti a una partitura. L’Amiata Piano
Festival fu da lui fondato 10 anni a. Sembrava una sorta di sfida alla Roque
d’Antheron. Ma lì il piano gioca da solo (peccato non poter rendere in italiano
l’ambiguità del verbo giocare, che in inglese, francese e tedesco significa
anche suonare e recitare, sarà forse per questo che alcuni musicisti italiani
giocano così poco), qui chiede la complicità di altri strumenti. L’edizione di
quest’anno è dedicata a Claudio Abbado, un musicista che amava giocare. E il
dio del vino, che si Chiami Bacco (26-29 giugno), o Dioniso (28-31 agosto), o
ceda il posto alla musa della poesia lirica, Euterpe (24-27 luglio), presiede
ai concerti, donando a tutti l’ebbrezza del bello. Ho assistito agli ultimi
concerti. Una serata interamente mozartiana, con i fiati dell’Opera di Rouen
Haute-Normandie diretti da Luciano Acocella. La Serenata in si bemolle maggiore
k. 361, “Gran Partita”, naturalmente, e il sublime Quintetto in mi bemolle
maggiore K. 452, per pianoforte e fiati, al pianoforte lo stesso Baglini. Si
noti l’affinità tonale dei due brani, segno dell’intelligenza con cui è
composto il programma. Il luogo è la Cantina di Collemassari a Poggi del Sasso,
in Maremma. Pagine, entrambe, che
richiedono un estremo controllo per l’equilibrio dei timbri e l’intricata
delicatezza dei contrappunti. Mozart non
avrebbe potuto desiderare un’interpretazione più sentita e penetrante, eppure
fu lui a dirigere la prima volta la Partita e a sedersi al pianoforte nel Quintetto.
I fiati donano, nella seconda serata, una raffinata antologia di musica da
camera: da Richard Strauss, la deliziosa Serenata in mi bemolle maggiore op. 7,
alla preziosa Suite Persane di André Caplet, alla bellissima Serenata per dieci
strumenti a fiato, violoncello e contrabbasso di Antonin Dvořák. E il
violoncello solo fa da intermezzo con la splendida Suite per violoncello solo
di Gaspar Cassadó splendidamente interpretata da Silvia Chiesa. The Bass Gang,
strepitoso quartetto di contrabbassi (Antonio Sciancalepore, Andrea Pighi,
Alberto Bocini, Amerigo Bernardi) scorazza, nella terza sera, nel più vario dei
repertori, da Mozart a Carlos Santana, da Čajkovskij a New York New York, da
Bach a Carosone. Divertimento assoluto. E musicalità superlativa. Nell’ultima
serata arriva il Quartetto di Cremona. E il pianoforte di Roberto Piano. Un
divino quartetto di Haydn: l’Op. 77 n. 1 in sol maggiore, poi il pianista si
esibisce da solo negli Improvvisi op. 14 di Skrjabin e nelle Réminiscences de
Norma di Liszt. Unendosi infine al quartetto, insieme affrontano l’intenso e
indiavolato Quintetto in fa minore op. 34 di Brahms. L’eroismo, il coraggio,
sono premiati. La cantina registra l’esaurito tutte le sere. Ma allora, almeno
in Maremma, la musica da camera va. E che cos’è che non va a Roma, a Milano, a
Torino, a Venezia, a Firenze, a Napoli, che le sale si spopolano se c’è una
serata di Lieder, di quartetto, e in genere di musica da camera? O bisogna
insistere? Christa Ludwig dedicò i suoi ultimi due anni di concerti pubblici a
ripresentarsi nelle città che videro i suoi trionfi. Ad Aix-en- Provence, a
Salisburgo, e naturalmente nella sua Berlino, le sale erano stracolme. Al
Teatro Olimpico di Roma, per l’Accademia Filarmonica Romana, la platea era
mezzo vuota e furono fatti scendere i pochi spettatori della galleria, per non
dare alla grande Christa Ludwig, forse, insieme a Irina Arkhipova, il più
grande mezzosoprano del secondo Novecento, la desolante impressione di una sala
deserta!
Fiano Romano, 5 settembre 2014
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