Rafael Chirbes, Paris-Austerlitz, Barcelona, Anagrama,
2016, pagg. 156, € 15,90
E’ l’ultimo romanzo di Rafael[1] Chirbes.
Finito a pochi mesi dalla morte. Ma
trascinato per anni, dal 1996 al 2015, prima di trovare una stesura definitiva.
Credo tuttavia che questa non sia la stesura definitiva, se non per l’editore,
che lo ha pubblicato postumo. Chirbes ci avrebbe sicuramente lavorato ancora,
lo avrebbe ulteriormente prosciugato, avrebbe eliminato qualche ridondanza,
qualche ripetizione. Ma anche così è un
capolavoro. Duro, disperato, senza illusioni sull’infelicità dell’uomo. Un
giovane spagnolo dell’alta borghesia di Madrid, genitori ricchi e “illuminati”,
ostentatamente di sinistra, lascia la famiglia e si piazza a Parigi, senza il
becco di un quattrino., inseguendo il miraggio di una mostra dei suoi quadri. Scoprirà
alla fine di essere stato imbrogliato e derubato dal gallerista. La narrazione
non segue l’ordine degli eventi, ma va su e giù, sull’onda dei ricordi. E’ il
giovane stesso a raccontare gli avvenimenti, in prima persona. Cacciato
dall’appartamento che condivideva con alcuni amici, perché da mesi non paga la
sua parte dell’affitto, il giovane decide di spendere gli ultimi soldi in un
ristorante. Il ristorante è pieno e lo fanno sedere allo stesso tavolo di un
anziano operaio, Michel, un uomo robusto, muscoloso, e ancora prestante.
Normanno, di famiglia contadina, sulle mani i segni del suo lavoro, le unghie
con i bordi neri. I due dividono il dessert, perché l’ultimo rimasto: l’île flottante. E cominciano a parlare.
Escono insieme per bere qualcosa in un bar. Michel invita il giovane a casa
sua. Nasce così la loro storia. Ma raccontata dalla fine, quando è finita, e
quando Michel è morto in ospedale di cancro. I temi si ammucchiano, si
sovrappongono, la fragilità del sentimento amoroso, il suo logoramento, il
disagio, l’angoscia, quando finisce in uno, ma non nell’altro. E il ricatto
oggettivo della malattia, di cui Michel fa un’arma per trattenere il giovane.
Il commiato finale è straziante, Michel è stato trasferito dall’ospedale di Vincennes a quello di Rouen, avvolge
il collo del giovane con le braccia: non lasciarmi qui solo. Ma il giovane
torna a Madrid. E’ una storia come ce ne possono essere tante, anche tra un
uomo e una donna. Ma qui sono due uomini, e questo crea problemi nelle loro
famiglie. Soprattutto in quella del giovane spagnolo. La madre, bella, ricca,
“progressista”, all’idea, però, di un figlio che convive con un altro uomo e
per di più di classe sociale inferiore, crolla. La disuguaglianza sociale pesa
anche nel rapporto tra il giovane e Michel. Michel glielo rinfaccia, il giovane
protesta, ma riconosce che è così. Conduce l’operaio alle mostre, nei musei. Ma
si accorge che è un mondo che non gli appartiene. I due mondi, quello intellettuale
del giovane e quello contadino e operaio di Michel non s’incontrano. Finita la
furia del desiderio, l’amore si spegne. Ma nel giovane, non nel vecchio
operaio. Michel guarda il giovane mentre si fa la doccia: come sei bello! Il
giovane, finanziato dai suoi, affitta un appartamento, dal quale può vedere
quello di Michel. Ma è l’inizio della separazione. Il lettore è condotto via
via a scontrarsi con la durezza di questa separazione pagina per pagina, attraverso
gli atti quotidiani del giovane e dell’operaio. E’ una storia comune, come
tante, ma proprio per questo il dolore dell’inevitabile è raccontato con
intensità quasi insopportabile. Perfino l’uso del preservativo diventa per
Michel un segno del fatto che il giovane non gli si abbandona: si può scopare
solo per chiedere aiuto. Non è necessario amarsi. Ecco la pagina iniziale e
quella finale del romanzo.
Bromeaba, le tomaba el pelo, me reía mientras caminábamos por el sendero de
grava. Se prestaba al juego. Colaboraba buscando alguna anécdota divertida que
hubiéramos compartido. Se le animaban los cortos pasos de viejo. Las tardes en
que me acerqué a verlo al Hôpital Saint-Louis parecía que cicatrizaba la herida
que habían dejado nuestros desencuentros (maintenant,
on s’aime comme des bons amis), y que incluso quedaba en suspenso la enfermedad.
Un halo inocuo flotaba entre los rayos del sol de invierno del que habíamos
disfrutado sentados en un banco del jardín. Pero cuando llegaba el momento de
la despedida, se plantaba inmóvil ante la puerta y fijaba en el vacío aquellos
ojos amarillentos que se le encharcaban, los dos sabíamos que la tregua había
concluido: ni el mal renunciaba a su trabajo, ni mis visitas le producían
consuelo. Lo decía su amiga Jeanine: sufre cuando te ve, le traes los
recuerdos, echas sal en la llaga. Me marchaba de allí sin volver la cabeza y
buscaba alguno de los bares de République para tomarme un par de calvados.
(Scherzavo,
lo prendevo in giro, mi sorrideva mentre camminavamo per il sentiero di ghiaia.
Si prestava al gioco. Collaborava cercando qualche aneddoto divertente che
avessimo condiviso. Gli si animavano i passi corti di vecchio. I pomeriggi in
cui mi spinsi a vederlo all’Hôpital Saint-Louis sembrava che si
cicatrizzasse la ferita che avevano lasciato i nostri mancati incontri (maintenant, on s’aime comme des
bons amis), e che
restasse perfino in sospeso la malattia. Un alone innocuo galleggiava tra i
raggi del sole invernale di cui avevamo approfittato seduti su una panca del
giardino. Ma quando arrivava il momento del commiato, si piantava immobile
davanti alla porta e puntava nel vuoto quegli occhi giallognoli che gli si
allagavano, tutti e due sapevamo che la tregua si era conclusa: né il male
rinunciava al suo lavoro, né le mie visite gli producevano conforto. Lo diceva
la sua amica Jeanine: soffre quando ti vede, gli porti ricordi, butti sale
sulla piaga. Me ne andavo via di lì senza voltare il capo e cercavo qualcuno
dei bar di République per
scolarmi un paio di calvados)[2].
No me dejes,
suplicaba. Ma hacía daño, me clavaba las uñas en la espalda. Voy a perder el
último tren, insistí. Y, para librarme, me vi obligado a separar con cierta
violencia los dedos que había hundido en los hombros y a tirar con fuerza de
sus brazos hacia arriba. Tengo que irme, repetí varias veces con una voz suave
que pretendía excusar la brusquedad del gesto con que lo había apartado.
Insistí: volveré y encontraremos el modo de que te vengas conmigo a España para
reposar durante algún tiempo. Lo haremos así. Se agitaron un istante sus brazos
y piernas, descarnados como patas de insecto; luego se quedó inmóvil, dejó caer
la cabeza sobre la almohada y emepzó a sollozar de manera entrecortada, con un
gran pesar; y los sollozos se convirtieron en pocos segundos en un lamento
initerrumpido que fue creciendo de volumen, ocupó la habitación y me siguió por
los pasillos del hospital mientras me dirigía hacia la perta de salida.
(Non lasciarmi, supplicava. Mi faceva male, mi
ficcava le unghie nella spalla. Perderò l’ultimo treno, insistei. E, per liberarmi, mi vidi costretto a separare
con una certa violenza le dita che aveva affondato negli omeri e a tirare sopra
con forza dalle sue braccia. Devo andarmene, ripetei più volte con una voce
soave che pretendeva scusare l’asprezza del gesto con cui l’avevo scostato. Insistei:
tornerò e troveremo il modo di farti venire con me in Spagna per riposare un
certo tempo. Faremo così. Si agitarono un istante le sue braccia e le sue
gambe, scarnificate come zampe d’insetto; poi rimase immobile, lasciò cadere la
testa sul cuscino e cominciò a singhiozzare in modo convulso, con grande fatica;
e i singhiozzi si convertirono in pochi secondi in un lamento ininterrotto che
andò crescendo di volume, occupò la stanza e mi seguì per i corridoi dell’ospedale
mentre mi dirigevo verso la porta d’uscita)[3].
Quella “porta d’uscita” è insieme la fine dell’amore,
della vita di Michel, del romanzo. Questa densità metaforica della scrittura è
tipica di Chirbes. Ho cercato di rendere nella traduzione la secchezza dell’originale.
Resta l’amaro in bocca dell’insignificanza dei nostri gesti quotidiani, e
tuttavia anche la consapevolezza che in ciascuno di quei gesti sta racchiuso il
senso del nostro destino, del percorso della nostra vita, che trae significato
proprio dall’accumularsi di tanti gesti e di tante azioni a prima vista senza
significato. O con un di più di significato, che il tempo si preoccupa presto
di dissolvere, di sciogliere nell’aria. In margine: talune descrizioni, soprattutto
notturne, di Parigi, sono mirabili. Chi conosce la città, leggendo, è assalito da
una nostalgica emozione. Chi non la conosce, prova voglia di andarci, se non altro
per confermare o smentire l’affermazione del giovane spagnolo che Parigi è la città
più bella del mondo. Quanto a me, comfermo. Mi auguro che qualche editore
italiano si accorga di quest’ultimo libro di Chirbes. Chi, perché conosce lo
spagnolo, legga il romanzo nella lingua in cui è stato scritto.
Fiano Romano, 20 gennaio 2017
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