Ho sotto gli occhi il cofanetto di LP nei quali Angelo
Persichilli e Mariolina De Robertis hanno registrato, nel 1979, per la Fonit Cetra, collana “Italia”,
le Sonate op. 2 per flauto e basso continuo di Benedetto Marcello. Ecco un riscontro che mi conferma la
giustezza di una mia scelta di anni fa, quando comparvero i cd: non buttare via
il piatto Thorenz sul quale posso ancora collocare i miei LP, anche questi mai
buttati, e ascoltare, perciò, spesso con risultati migliori di quelli offerti
dal cd, le musiche interpretate dagli amici, ma anche quelle di musicisti che amo (Bruno Walter e
Sviatoslav Richter, tra i primi, e un mai dimenticato, sublime Tristano,
diretto da Furtwaengler – fu il mio autoregalo quando compii 18 anni).
Riascoltare, ora, il flauto di Persichilli, non solo mi ravviva il ricordo di
tanti anni di grande musica ascoltata insieme, ma mi conferma che ogni interpretazione
va letta nel contesto del suo tempo. E
allora, oggi, nel contesto iperfilologico, o piuttosto solo vantato come
iperfilologico, da parte di alcuni interpreti, come si ascolterà questa
superiore libertà del fraseggiare? La vera musica non è restituita, infatti,
solo dall’indagine filologica (indispensabile! si badi, ma i cui criteri
cambiano con gli anni), bensì anche, e forse soprattutto, dalla libertà dell’interprete
che sa penetrare il senso di quei misteriosi crittogrammi. Emilia Fadini, la
clavicembalista e musicista alla quale dobbiamo un’edizione critica delle
Sonate di Scarlatti, ha sempre sostenuto che non basta leggere un testo
filologicamente corretto, e leggerlo correttamente, ma la fantasia di ciascun
interprete deve poi ricostruire anche la libertà con cui, nel passato, quei testi
erano letti. La filologia di fatti riguarda la ricostruzione di un testo, non
la sua riproduzione, che può essere reinventata solo attraverso ipotesi
interpretative. Anche a costo di rischiare l’arbitrio. Ma chi potrà giudicare
la fedeltà di oggi alla supposta libertà del passato? non esistevano né
microfoni né sistemi di registrazione. Eppure dirà qualcosa la testimonianza di
un Mozart che si vantava della propria libertà di pianista, affermando che la
destra non andava mai d’accordo con la sinistra. O quella di un Giulini, che
consigliava ai direttori, quando non trovassero il fraseggio giusto di un passo,
di provare a cantarlo. Ecco. Persichilli, questa libertà del fraseggiare la
possedeva come una seconda natura. Non doveva pensarci. Gli veniva e basta. Che
fosse Vivaldi o Debussy, Bach o Petrassi.
E questa libertà ci resta – nel ricordo di tanti ascolti, e nelle registrazioni – pur troppo poche, o
non tante quante ne desidereremmo . Aggiungo un breve corollario: in questa
registrazione suona anche la clavicembalista Mariolina De Robertis. La musica
del Novecento, e in particolare molti compositori italiani, da Petrassi a
Sciarrino, le devono molto. Ma era anche un’attenta interprete della musica
barocca, da qualcuno bacchettata per una sua supposta rigidezza ritmica. Non
era vero! E anche lei, oggi, ci manca molto. La clavicembalista, la musicista,
e l’amica.
Fiano Romano, 16 gennaio 2017
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