domenica 6 agosto 2017

Il declino italiano

Un amico carissimo, Alberto Mattioli, scrive un intervento appassionato in difesa del melodramma italiano. Condivido la sua passione. Ma temo che il problema del suo apparente declino vada oltre la difesa del melodramma.(Il quale, comunque. è quasi solo italiano, altrove gode ottima salute, e non è il solo paradosso di qualcosa di italiano che ha più fortuna altrove che in Italia. Ecco la serie di impetuose riflessioni suscitatemi dall’intervento di Mattioli.
Alberto! Ma i più degli italiani di oggi, quel mondo, il mondo del melodramma, non solo lo ignorano, ma sono felici d'ignorarlo. Come, del resto, ignorano Michelangelo, Leopardi, Svevo. Qualsiasi sforzo per ricuperarlo è destinato a fallire. E' un mondo estraneo, o sentito estraneo, al mondo di oggi. Come è estraneo anche Leopardi. In Inghilterra è nato un dibattito accesissimo per la traduzione dello Zibaldone. Ma già prima Nietzsche e Unamuno consideravano Leopardi un grande pensatore europeo. In Italia, Croce demolisce questo pensiero come frutto di una crisi adolescenziale. E ancora s’inventano le categorie di pessimismo e ottimismo per neutralizzare la carica eversiva della sua critica alla cultura dominante degli italiani, al loro cattolicesimo superstizioso, acritico (da credente Manzoni non dice cose tanto diverse sul cattolicesimo italiano, pur contrastando anche violentemente l’ateismo leopardiano). Allora è inutile sforzarsi di difenderlo, imporlo, il melodramma di Rossini e di Verdi, separandolo dalla cultura che l’ha fatto nascere e in cui deve di nuovo inserirsi. Se davvero lo si vuole salvare - e io come te voglio salvarlo - la via da percorrere è un'altra, più faticosa, irta di ostacoli, quasi utopistica. Bisogna reimpostare, cioè, da capo, in Italia. il rapporto tra la società e la cultura, tra la politica e la cultura. Lo aveva già previsto e proclamato, anche se con toni profetici che possono avere irritato molti, Mazzini, e prima di Mazzini lo avevano proposto, direi quasi imposto come necessità primaria, Alfieri e Foscolo, né andrebbe dimenticato Filippo Buonarroti. Se rigenerazione ci ha da essere, non può che partire da una rigenerazione sociale e politica del paese. E non solo dei teatri. L’Italia non ha mai attuato la rivoluzione cultura che in Francia avviò la Rivoluzione e in Germania attuarono, visionariamente, Lessing e Goethe: fare del teatro il luogo della discussione culturale e civile del paese. Per il pubblico italiano, il teatro è spasso, divertimento, evasione. I drammaturghi che propongono altro (Verdi e Pirandello, tra i massimi) vengo cauterizzati, evirati, anestetizzati, per ridimensionarli a puro spasso. L'Italia di oggi, che paga male un ricercatore e lo spinge perciò a trovare spazio più adatto, più motivante, oltre che meglio rimunerato, altrove, è la stessa che affossa i teatri. L'Italia che non difende il paesaggio, che anzi dice che l'edilizia è il motore economico del paese, affossa i teatri. Perché la ricerca scientifica la bellezza del paesaggio, i teatri, non sono il suo mondo, come non è il suo mondo la scuola, l'università, il museo, non sono il suo mondo le città d'arte che le sono state regalate e che gli italiani di oggi, soprattutto i politici italiani di oggi, non si meritano. Proust scrisse che l'Italia è il paese più inestetico del mondo, non perché manchi di opere d'arte, ma perché non ne comprende il valore e non sa proteggerle, conservarle, non riesce a reinventarle, a reinventare la cultura che ha prodotto il miracolo del Rinascimento e del Barocco, e reinventare dunque il moderno. Il moderno è stato visto, immaginato, realizzato, da alcuni, ma non è la cultura del paese. La cultura del paese è la dissipazione della ricchezza ereditata, in arte, paesaggio, cultura scientifica e letteraria. Io la penso come Proust, ancora come Proust, passato ormai più di un secolo da quelle parole. La citatissima frase di Gramsci: pessimismo della Ragione e ottimismo della Volontà non ci soccorre. E’ anzi sbagliata. Perché contrappone ottimismo e pessimismo, invece di proporre un’analisi spietata della realtà, e solo in base ad essa proporre soluzioni, interventi. In arte Gramsci lo ha fatto, ma con un residuo d’idealismo che mi irrita. Non a caso ammirava la filosofia di Benedetto Croce. Che tra l’altro lo portò fuori strada nell’analisi dei fenomeni letterari. Per quanto generosa fosse quella strada.
Vedo poco spazio per l'ottimismo. Per qualunque tipo di ottimismo, della volontà, dell’ideologia, o di ciò che vi pare. A dire il vero, pessimismo e ottimismo sono termini che non mi piacciono. Sarebbe più realistico parlare di analisi della situazione e proposte di interventi per cambiarla. Con le speranze e le illusioni non si combina niente. E' solo l'analisi realistica dei fatti a dirci che cosa dobbiamo fare. Naturalmente con un’idea precisa di società, di Stato, a cui pensiamo. Ma idea, non speranza, e tanto meno illusione. Idea fondata su principi, non su valori. I valori sono mutevoli. I principi no: per esempio i principi di libertà e uguaglianza. Ai quali è sotteso il principio di giustizia. E la riflessione sulla giustizia sociale possiamo farla risalire addirittura già al codice di Hammurabi. Va precisandosi nei secoli. Ma la vedo dura, gli italiani, in genere hanno sempre preferito i contafavole a chi li voleva obbligare a guardare in faccia la realtà, hanno preferito i Mussolini, i Craxi, i Berlusconi, i Grillo, e in fondo anche i Renzi. Chiunque suggerisca di mettere i piedi per terra è un rompicoglioni, un menagramo, un antitaliano. E sia! Continuiamo a suicidarci! Tanto per cominciare proprio la terra dove abito è dall'altro ieri una fucina di Vulcano! Un unico incendio che dura da tre giorni. Agli incendiari - forse organizzati non so se dalla criminalità organizzata o da chi- e all'inefficienza dello Stato vuoi proporre un'analisi realistica dei fatti, instillare speranze di cambiamento? Arrendiamoci. Il nostro è un paese destinato a scomparire. Resterà solo un'immensa Disneyland. E per dire che spazio abbia tra gli italiani la volontà di rimboccarsi le maniche e cambiare la situazione, proprio ieri, mentre andavo a fare la spesa, in mezzo a quest'inferno di fuoco ad appena tre chilometri da me in linea d’aria, il conducente della Fiat Panda davanti a me ha a un certo punto buttato sulla strada un mozzicone di sigaretta acceso.
Vero, Alberto, che il nostro paese è sempre stato oggetto e non soggetto della politica internazionale. Ma avevamo politici che sapevano inserirsi nel gioco politico internazionale. Oggi vedi qualcuno che abbia lo sguardo capace di oltrepassare l'orticello di casa? La vicenda della sindaca di Codigoro è significativa. Mica una leghista, o una forzista. Una del PD! E dalla direzione del partito, silenzio. Il partito sta affondando, e il loro bisogno impellente non è guardare in faccia le cose e capire perché stanno affondando, ma attingere al pozzo elettorale dei rivali che rischiano di scavalcarli. Non c'entra nemmeno la politica riguardo ai migranti, non gliene potrebbe fregare di meno, ma ciò che davvero interessa è quanti voti in più incasso se anch'io mi atteggio a razzista e a duro, in difesa non si capisce di quale italianità primigenia! Vedi, ciò che più sconforta è l'uniformità delle proposte o meglio delle non proposte, dei bla bla, tutti uguali, che parli un fascista o un sedicente politico di sinistra, il discorso è lo stesso, e dispiace dirlo, una discorso che ricorda cose già dette, già sperimentate e già fallite, durante un tragico ventennio finito nella catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, diciamocelo pure, discorsi fascisti, perché avere paura delle parole? Certo non più lo stesso, non più con le camicie nere (verdi? rosse sbiancate fino a diventare bianche con una croce?). Ma sempre fascisti. Ho fatto la mia vita. Ho 76 anni. ma non è l'Italia che auguro per i miei nipoti, che guarda caso, uno sta a Panama e l'altro a Copenhagen. Potrebbe sembrare il mio un indifferenziato sguardo qualunquista. Ma la tragedia italiana non è che la politica italiana possa indurre al qualunquismo i cittadini, bensì che essa stessa, la politica italiana, è una politica di qualunquisti, qualunque sia lo schieramento di cui propone la prevalenza. L’analisi è amara, certo, e dentro di me spero, sì spero, di vedermi sbugiardato dai fatti. Ma di questa speranza ho già perso da tempo l’illusione e la speranza.

Fiano Romano, 6 agosto 2017


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