Inneggiare alla fine di un
tiranno,
che si prosciughi la palude
immonda
in cui s’annida un popolo
malfido,
una gente invisibile, dispersa,
che ci snatura, ci controlla e
insidia,
ma quando, come a te, mio
vagabondo
poeta della gioia che in ogni
ora
ci rinasce del giorno, a me
concesso
sarà nella mia vita, e
sollevare
con furore il mio calice, sentire
in tutto il corpo di una
riappropriata
libertà la violenza? Non
respiro,
non mi esce dalle labbra una
parola
di riconciliazione con la
storia,
finché l’ultimo viva dei
tiranni
che inquinano la vita, e vedo
molti
oggi disseminarsi per la terra
del mio paese, espandersi nel
mondo,
se non tiranni, subdole figure
di persuasione, insofferenti
bocche
che zittiscono l’avversario,
musi
di conformisti, che azzerano il
dissenso:
spuntano come vermi dalla
melma,
ti attaccano, si attaccano, per
tutto,
danno la febbre di una mai
guarita
malaria. Ha mille sintomi,
dimostra
esantemi diversi, questa strana
malattia, si trasforma come
l’ora
del giorno, si matura e si
diffonde,
ha l’occhio che non guarda, il
cuore freddo
che non batte. La religione è
un gioco
di potenti, da secoli sappiamo
le secretate insidie, ma non
serve.
perché altrove oggi sono
predisposte
le minacce che vincono il
pensiero,
smentiscono le astuzie degli affari
ogni proclama di virtù
vincente,
sbugiardano la sconcia professione
di una vantata libertà: per
tutto
questo, per la vergogna di chi
opprime
e la paura degli oppressi,
incauto
chi si oppone, ma poi a chi? esiste,
esiste un nome, esiste
l’esperienza
di cosa già vissuta: oggi il
fascismo
non ha più nome, lo si
riconosce,
ma non si sa dove colpirlo,
dove
segnalarlo, che aspetto dargli,
come
circoscriverlo e in chi
individuarlo,
oggi il fascismo sfugge, cambia
pelle,
non alza il braccio in segno di
saluto,
non mostra croci sulla giacca,
ignora
le purghe sulla piazza, sono
cose
da teatrino, spettacolo di
mimi.
E’ retto altrove, il filo, a un
altro capo,
e non sempre, chi se lo tiene
stretto
tra le mani, ti mostra la sua
faccia.
Mozzargliele vorremmo quelle
mani,
e il volto di assasino
finalmente
vederlo sfigurato, cancellato.
Appeso a testa in giù quel
corpo lercio
di turlupinatore, come un tempo
tutti di un altro vedemmo,
rivederlo.
E dopo: oh sì, νῦν χρῆ μεθύσθην, voce
mia
che ritorni, voce mia che vieni
con
vigore a spronarmi, che mi canti
il
mio canto: nunc est, nunc est bibendum!
Vorrei gridarlo a tutto il mio
pianeta,
a tutta la mia terra devastata,
sconquassata dall’odio, e
proclamarlo
a squarciagola dappertutto,
senza
un attimo di sosta, ubriacato
dal vino e dalla gioia,
consumarmi
fino all’ultimo fiato,
divulgarlo
come un nuovo vangelo a tutto
il mondo:
è da millenni che aspettiamo l’ora
di guardare negli occhi dei
guerrieri
l’agonia della rabbia e finalmente
compiuto da noi tutti il giusto
passo
che lieti a libertà ci riconduca.
Lesbo, Plomari, 17 agosto –
Mitilene, 20 agosto – Fiano Romano, 26 agosto 23017
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