domenica 17 giugno 2018

Roma, Teatro dell'Opera, Bohème

ROMA. TEATRO DELL’OPERA. LA BOHÉME di Giacomo Puccini. Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, da Scènes de la vie de bohème di Henri Mürger e Théodore Barrière

Mimì Anita Hartig
Rodolfo Giorgio Berrugi
Musetta Olga Kulchynska
Marcello Massimo Cavalletti
Schaunard Simone Del Savio
Colline Antonio di Mattep
Alcindoro Matteo Peirone
Benoît Matteo Peirone
Parpignol Sergio Petruzzella
Sergente dei doganieri Alessandro Fabbri
Doganiere Leo Paul Chiarot
Venditore ambulante Giuseppe Auletta

Direttore Henrik Násási
Regia Àlex Ollé
(La Fura dels Baus)

Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Scene Alfons Flores
Costumi Lluc Castells
Luci Urs Schönebaum

Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma

Nuovo allestimento
in coproduzione con il Teatro Regio di Torino

Prima rappresentazione: 13 giugno 2018
Repliche: 14, 15, 16, 17, 19, 20, 21, 22, 23, 24 giugno



C’è un equivoco, che perdura inspiegabilmente ancora, tra critici e storici della musica, su Puccini. Nacque fin dalla prima violenta stroncatura di Fausto Torrefranca, che accusò Puccini, tra l’altro, di essere un musicista e un drammaturgo troppo “femminile”, checché volesse dire questa valutazione. Un compositore poco aggiornato. Entrambe le critiche ci appaiono oggi infondate. Altrimenti anche un Richard Strauss sarebbe compositore poco aggiornato. Sul sentimentalismo, che sarebbe il lato “femminile” di Puccini, c’è da intendersi. Senza per questo entrare nella considerazione, già di Goethe, che ogni artista custodisce in sé una parte femminile. Alfieri avrebbe detto, e il suo teatro lo dimostra, illuministicamente, ogni uomo. In sintesi, dunque, di solito si rimprovera a Puccini di essere sentimentale. Di fatto si esaminava, e si esamina, l’effetto della musica e della drammaturgia sul pubblico, invece di analizzare musica e drammaturgia. Non si distingue tra il personaggio, i suoi pensieri, i suoi sentimenti, il dramma, in una parola, e l’autore. In Puccini, infatti, sentimentali, piccoli borghesi sono i personaggi, non il drammaturgo, che anzi spesso deride il sentimentalismo dei suoi personaggi perfino con un certo cinismo e talora con sadismo. Ma questa confusione tra autore e dramma è frequente. Come quando un’eccessiva e ridicola voglia di correttezza politica fa cambiare le parole di un personaggio, un Giudice! , del Ballo in maschera di Verdi che dice: “S’appella / Ulrica, dell’immondo / sangue dei negri”. Si modifica l’espressione “dell’immondo sangue dei negri” con “dell’infame sangue africano”. Nella Bohème il drammaturgo ha tenerezza per la gioventù che sente sfiorire il proprio sogno, ciononostante non nasconde, però, la fragilità di quei loro sogni. Attenua, se mai, le debolezze morali dei personaggi di Mürger, che avrebbero fatto apparse meno accettabili al pubblico, soprattutto italiano, del tempo i personaggi: nel romanzo Mimì non è ingenua né tanto meno castigata, si concede, anzi, agli uomini che le piacciono, e di qui la gelosia di Rodolfo. Ma ciò avrebbe sporcato in qualche modo la posizione di vittima innocente del destino che Puccini le assegna. Puccini teme l’insuccesso come la peggiore catastrofe. Non è Verdi, i furori eroici del Risorgimento sono finiti, l’Italietta si accomoda in convivenze più tranquille, convive con il moralismo e il perbenismo della piccola borghesia al potere. Puccini, anzi, ne è il perfetto ritrattista: ma si badi, non sempre consenziente e mai benevolo. Ebbene, questa complessa intelaiatura di sentimenti e di scandaglio psicologico, costruita con una modernissima maestria strumentale e un’invenzione ritmica e melodica inesauribile, non ignare delle invenzioni tedesche e francesi (Bizet, Massenet e Wagner, per intenderci), è resa magnificamente dal direttore ungherese Henrik Násási, i colori, gli effetti della partitura risaltano con estrema chiarezza. Così come l’abbandono al respiro di certe frasi melodiche, volutamente accarezzato, sentimentale, appunto. Ma in quanto rappresentazione del sentimentalismo, non già in quanto sua espressione. L’equilibrio tra la chiarezza della lettura e l’abbandono all’effusione è la cifra più interessante di questa sua concertazione della Bohème. Il cast sulla scena lo asseconda mirabilmente. In particolare la spigliatissima Musetta di Olga Kulchynska, ma la Mimì di Anita Hartig non è da meno. E risultano ben disegnate le figure di Rodolfo e di Marcello rispettivamente da Giorgio Berrugi e Massimo Cavalletti. Si ammira, di tutti, la recitazione che asseconda il canto. All’altezza, infatti, tutti gli altri, e il Coro e l’Orchestra del Teatro dell’Opera. Delude invece la regia di Àlex Ollé della Fura dels Baus, tutto sommato tradizionale, senza sorprese “moderniste”, e dunque impropriamente fischiata da alcuni. Peccato, perché l’idea di ambientare la vicenda in una periferia degradata di un metropoli di oggi non era male.



Dino Villatico

Fiano Romano, 17 giugno 2018

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