ROMA. TEATRO DELL’OPERA. LA BOHÉME
di Giacomo Puccini. Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, da
Scènes de la vie de bohème di Henri Mürger
e Théodore Barrière
Mimì Anita Hartig
Rodolfo Giorgio Berrugi
Musetta Olga Kulchynska
Marcello Massimo Cavalletti
Schaunard Simone Del Savio
Colline Antonio di Mattep
Alcindoro Matteo Peirone
Benoît Matteo Peirone
Parpignol Sergio Petruzzella
Sergente dei doganieri Alessandro Fabbri
Doganiere Leo Paul Chiarot
Venditore ambulante Giuseppe Auletta
Direttore Henrik Násási
(La Fura dels Baus)
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Scene Alfons Flores
Costumi Lluc Castells
Luci Urs Schönebaum
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro
dell’Opera di Roma
Nuovo allestimento
in coproduzione con il Teatro Regio di Torino
Prima rappresentazione: 13 giugno 2018
Repliche: 14, 15, 16, 17, 19, 20, 21, 22, 23, 24 giugno
C’è un equivoco, che perdura inspiegabilmente ancora, tra critici
e storici della musica, su Puccini. Nacque fin dalla prima violenta
stroncatura di Fausto Torrefranca, che accusò Puccini, tra l’altro,
di essere un musicista e un drammaturgo troppo “femminile”,
checché volesse dire questa valutazione. Un compositore poco
aggiornato. Entrambe le critiche ci appaiono oggi infondate.
Altrimenti anche un Richard Strauss sarebbe compositore poco
aggiornato. Sul sentimentalismo, che sarebbe il lato “femminile”
di Puccini, c’è da intendersi. Senza per questo entrare nella
considerazione, già di Goethe, che ogni artista custodisce in sé
una parte femminile. Alfieri avrebbe detto, e il suo teatro lo
dimostra, illuministicamente, ogni uomo. In sintesi, dunque, di
solito si rimprovera a Puccini di essere sentimentale. Di fatto si
esaminava, e si esamina, l’effetto della musica e della
drammaturgia sul pubblico, invece di analizzare musica e
drammaturgia. Non si distingue tra il personaggio, i suoi pensieri, i
suoi sentimenti, il dramma, in una parola, e l’autore. In Puccini,
infatti, sentimentali, piccoli borghesi sono i personaggi, non il
drammaturgo, che anzi spesso deride il sentimentalismo dei suoi
personaggi perfino con un certo cinismo e talora con sadismo. Ma
questa confusione tra autore e dramma è frequente. Come quando
un’eccessiva e ridicola voglia di correttezza politica fa cambiare
le parole di un personaggio, un Giudice! , del Ballo in maschera
di Verdi che dice: “S’appella / Ulrica, dell’immondo / sangue
dei negri”. Si modifica l’espressione “dell’immondo sangue
dei negri” con “dell’infame sangue africano”. Nella Bohème
il drammaturgo ha tenerezza per la gioventù che sente sfiorire il
proprio sogno, ciononostante non nasconde, però, la fragilità di
quei loro sogni. Attenua, se mai, le debolezze morali dei personaggi
di Mürger, che avrebbero
fatto apparse meno accettabili al pubblico, soprattutto italiano, del
tempo i personaggi: nel romanzo Mimì non è ingenua né tanto meno
castigata, si concede, anzi, agli uomini che le piacciono, e di qui
la gelosia di Rodolfo. Ma ciò avrebbe sporcato in qualche modo la
posizione di vittima innocente del destino che Puccini le assegna.
Puccini teme l’insuccesso come la peggiore catastrofe. Non è
Verdi, i furori eroici del Risorgimento sono finiti, l’Italietta si
accomoda in convivenze più tranquille, convive con il moralismo e il
perbenismo della piccola borghesia al potere. Puccini, anzi, ne è il
perfetto ritrattista: ma si badi, non sempre consenziente e mai
benevolo. Ebbene, questa complessa intelaiatura di sentimenti e di
scandaglio psicologico, costruita con una modernissima maestria
strumentale e un’invenzione ritmica e melodica inesauribile, non
ignare delle invenzioni tedesche e francesi (Bizet, Massenet e
Wagner, per intenderci), è resa magnificamente dal direttore
ungherese Henrik Násási,
i colori, gli effetti della partitura risaltano con estrema
chiarezza. Così come l’abbandono al respiro di certe frasi
melodiche, volutamente accarezzato, sentimentale, appunto. Ma in
quanto rappresentazione del sentimentalismo, non già in quanto sua
espressione. L’equilibrio tra la chiarezza della lettura e
l’abbandono all’effusione è la cifra più interessante di questa
sua concertazione della Bohème. Il cast sulla scena lo
asseconda mirabilmente. In particolare la spigliatissima Musetta di
Olga Kulchynska, ma la Mimì di Anita Hartig non è da meno. E
risultano ben disegnate le figure di Rodolfo e di Marcello
rispettivamente da Giorgio Berrugi e Massimo Cavalletti. Si ammira,
di tutti, la recitazione che asseconda il canto. All’altezza,
infatti, tutti gli altri, e il Coro e l’Orchestra del Teatro
dell’Opera. Delude invece la regia di Àlex
Ollé della Fura dels Baus, tutto sommato tradizionale, senza
sorprese “moderniste”, e dunque impropriamente fischiata da
alcuni. Peccato, perché l’idea di ambientare la vicenda in una
periferia degradata di un metropoli di oggi non era male.
Dino Villatico
Fiano Romano, 17 giugno 2018
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