Il senso dello spettacolo si
coglie dal balletto del terzo atto. Quello che nasce come
divertissement diventa il nodo che chiarisce il messaggio
della vicenda. Quanti, alla prima, hanno disapprovato questo momento
si sono chiusa la possibilità di capire quale interpretazione la
regista Valentina Carrasco abbia voluto offrirci dei Vêpres
siciliennes di Verdi.
Ormai Pina Bausch avrebbe dovuto abituarci a decodificare segni e
simboli della danza moderna. Evidentemente non è così. Il
grand-opéra prevede al suo interno uno
o più episodi di
balletto. La tradizione
italiana confinava il balletto alla fine del melodramma, come
divertimento
finale, dopo la
conclusione della rappresentazione del melodramma.
La tradizione francese incorpora il balletto nella drammaturgia
dell’opera. Il balletto non è, insomma, un momento esornativo, un
divertimento, ma parte stessa dell’azione. Ciò, perché il teatro
francese ha sempre privilegiato l’unità drammaturgica degli
elementi che compongono l’azione sulla prevalenza di uno di essi.
In altre parole, il pubblico francese non dimentica mai di assistere
a un’opera teatrale, ed è la drammaturgia dunque il fattore che
conferisce unità all’opera. Ecco perché
in
genere il significato dell’azione
coreografica si collega
al significato della vicenda. O, metaforicamente,
al rapporto tra rappresentazione e vita. Nella Gioconda
di Ponchielli, che nasce
in un momento nel quale il melodramma italiano ha assorbito più di
un elemento dell’opera francese, la
Danza delle Ore
stabilisce proprio questo
rapporto tra rappresentazione della vicenda e rappresentazione della
sua metafora quasi filosofica, lo scorrere del tempo.
Qui, nei Vespri,
Verdi porta in scena,
come metafora, le Quattro
Stagioni. Il tempo,
in tutti e due i casi, mette in evidenza l’unità temporale della
drammaturgia. La
Gioconda,
comunque, nasce 21 anni dopo i Vespri. Va in scena alla Scala di
Milano nel 1876, lo stesso anno in cui Wagner inaugura il primo
Festival di Bayreuth con la rappresentazione dell’Anello
del Nibelungo. Verdi,
compositore e drammaturgo sperimentale come pochi altri, è attratto
dal grand-opéra non solo per il richiamo internazionale che un’opera
siffatta riscuote, ma proprio per sperimentare un nuovo tipo di
drammaturgia. Poteva riposare sugli allori, dopo il successo europeo
della Trilogia, ma rischia un nuovo tipo di teatro. Lo stesso
grand-opéra, dopo di lui, non è più come
prima, perché Verdi
v’immette tutta l’esperienza precedente della drammaturgia
melodrammatica italiana, anche se, con e dopo Rossini, il melodramma
italiano aveva assorbito già molto dell’opera francese.
Valentina
Carrasco, aiutata per il balletto, da Massimiliano Volpini, immagina
il balletto come un’azione che rievoca o, meglio, riassume il
significato della vicenda. Le stagioni diventano ciascuna un
personaggio, e l’azione coreografica rende visibile il trauma della
loro esistenza. Naturalmente ciò non sarebbe stato possibile con le
forme e lo stile del balletto classico, e qui soccorre l’esperienza
di Pina Basch che ha reinventato la danza come rappresentazione
dell’oggi. Chi non abbia visto o compreso il lavoro di Pina Bausch
può pensare
che i gesti, sconvolgentemente nuovi, attuali, anche rivoltanti,
comunque scardinanti ogni concezione classica del balletto, possano
essere compiuti da chiunque, anche da un inesperto di balletto, da
chi non abbia affrontato il duro lavoro di studio che richiede la
danza. Niente di più sbagliato. Solo una severa formazione nell’arte
della danza permette al danzatore di realizzare
quei movimenti, che sono calcolati punto per punto. Si aggiunga a ciò
la musica bellissima, travolgente, sinfonicamente interessantissima,
che Verdi compone per questo balletto, e si potrà capire come
l’effetto insieme estraniante e coinvolgente sia una
folgorazione. Ma ciò è
stato reso possibile perché tutta la concezione della messa in scena
è una riscrittura della drammaturgia verdiana.
La
rivolta che scoppiò a Palermo il lunedì dell’angelo del 1282, ai
vespri, è già
in Verdi metafora di un popolo che si libera dal dominio straniero,
diventa dunque
nello spettacolo romano,
per la Carrasco, la
rappresentazione di qualunque lotta per la libertà, oggi, nel mondo.
Le nude, geometriche e petrose scene di Richard Peduzzi collocano
l’azione
dentro una cava, in una
città senza tempo, di oggi, ma potrebbe essere anche l’antico
Egitto, o l’Egitto di oggi, o la Palestina, e s’immagina dentro
un paesaggio arido. E all’oggi rinviano anche i sobri costumi di
Luis F. Carvalho, le
divise militari, i jeans di Arrigo, l’abito attillato di Elena.
Ma
la scena e la regia da sé non avrebbero prodotto l’impatto intenso
che ha provocato questa
rappresentazione sul
pubblico della prima,
salvo i soliti inguaribili contestatori, se l’interpretazione
musicale impressa alla partitura da Daniele Gatti non si fosse retta
su una assai lucida lettura della drammaturgia musicale verdiana e su
un’esasperata forza espressiva del ritmo e della melodia. Le più
che quattro ore di spettacolo sono filate via come un soffio,
inchiodando il pubblico alle poltrone. Si
sente dire, e si legge scritto, che quest’opera di Verdi è un
sacrificio concesso al grandf-opéra, ma che l’opera è
discontinua, lenta, noiosa, qualcuno dice, e scrive perfino, ch’è
brutta. L’interpretazione di Gatti, che trova un riscontro perfetto
sulla scena, dimostra che invece l’opera è concepita con una
straordinaria unità d’intenti, è di una tensione drammatica
continua, a volte addirittura esasperata, e non fa cadere nessun
momento della musica, e dunque dell’azione, nel vuoto.
Il
cast, più che per singole prestazioni di spicco, si mostra
ammirevole per l’omogeneità interpretativa, l’aderenza della
recitazione alla musica. Ma non si può dimenticare, tra gli altri,
tutti ottimi, l’intensa Elena di Roberta Montagna, il riflessivo e
tormentato Monfort di Roberto Frtontali, l’eroico Henri di John
Osborn e il cupo Procida di Michele Pertussi. E la prestazione
dell’Orchestra,
del Coro del Teatro.
Ma un particolare elogio
va tributato al Corpo di ballo, diretto da Eleonora Abbagnato. La
sicurezza dei nuovi mezzi necessari alla realizzazione della danza
moderna è eccezionale. Tutto il terzo atto, la scena della festa, il
balletto delle Stagioni, è da antologia. Ma anche gli altri momenti,
in cui è visualizzata la violenza del dominatore sui dominati, e
soprattutto sulle dominate, è ammirevole. Splendido,
davvero, questo
corpo di ballo. Da non perdere, tutto
lo spettacolo!
TEATRO DELL'OPERA DI ROMA
Les
vêpres siciliennes
Musica
di Giuseppe
Verdi
Grand-Opéra
in cinque atti
Libretto
di Eugène Scribe e Charles Duveyrier
Prima
rappresentazione assoluta, Teatro dell’Opéra di Parigi, 13 giugno
1855
Prima
rappresentazione al Teatro Reale dell’Opera di Roma 3 ottobre 1940
DIRETTORE
Daniele
Gatti
REGIA
Valentina
Carrasco
MAESTRO
DEL CORO Roberto
Gabbiani
SCENE
Richard
Peduzzi
COSTUMI
Luis
F. Carvalho
LUCI
Peter
Van Praet
COREOGRAFIA
Valentina
Carrasco e
Massimiliano
Volpini
PERSONAGGI
E INTERPRETI
Guy
de Montfort Roberto
Frontali / Giorgio Caoduro 17
Le
sire de Béthune Dario
Russo
Le
comte de Vaudemont Andrii
Ganchuk*
Henri
John Osborn / Giulio
Pelligra 17
Jean
Procida Michele Pertusi /
Alessio Cacciamani 17
La
duchesse Hélène Roberta
Mantegna / Anna Princeva 17
Ninetta
Irida Dragoti*
Danieli
Francesco Pittari
Thibault
Saverio Fiore
Robert
Alessio Verna
Mainfroid
Daniele Centra
*dal
progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera
di Roma
ORCHESTRA,
CORO E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA
Con
la partecipazione degli allievi della Scuola di Danza del Teatro
dell’Opera di Roma
Nuovo
allestimento Teatro dell’Opera di Roma
In
lingua originale con sovratitoli in italiano e inglese
PRIMA
RAPPRESENTAZIONE
Martedì
10 dicembre, ore 18.00
REPLICHE
Venerdì
13 dicembre, ore 19.00
Domenica
15 dicembre, ore 16.30
Martedì
17 dicembre, ore 19.00
Giovedì
19 dicembre, ore 19.00
Domenica
22 dicembre, ore 16.30
ANTEPRIMA
GIOVANI
Sabato
7 dicembre, ore 18.00
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