Marco Minà, guitar, italians.
Musiche di Paganini, Giuliani, Castelnuovo-Tedesco, Bettinelli, e una
rielaborazione dell’Inno d’Italia scritta dallo stesso Minà. guitarevolution. office4music.
La chitarra, strumento strapazzatissimo da tutti coloro che
pensano basti strappare qualche accordo, e canticchiarvi sopra senza voce, è invece
uno strumento nobile e più antico di quanto si pensi. Non solo. Ma si è adattata a tutti i luoghi e
le culture in cui si è insediata e inserita. E’ uno strumento a corde pizzicate,
come il liuto e come il clavicembalo e la spinetta. Non introduco a caso questi
confronti. La terminologia della classificazione italiana degli strumenti è,
infatti, fuorviante. Il clavicembalo è definito strumento a tastiera. Ma con l’organo,
il pianoforte e il clavicordo, ha pochissime affinità, se si esclude l’uso di
una tastiera per individuare il suono da far vibrare. Ma mentre sul liuto e sulla
chitarra, strumenti a corde, le corde sono pizzicate direttamente dalle dita, sul
clavicembalo il pizzico è affidato ai saltarelli, e al loro plettro, la
tastiera dell’organo apre le canne da cui escono i suoni, ed è pertanto uno
strumento a fiato, il pianoforte, infine, e il clavicordo, usano la tastiera
per muovere dei martelletti che percuotono le corde, e potrebbero considerarsi strumenti
a percussione, come lo xilofono, per esempio. Non è qui il caso di entrare nei
particolari. Ma la vaghezza di questa terminologia crea qualche problema quando
si passa da una lingua all’altra. Gli italiani, per esempio, intendono per
strumenti a corda soprattutto, se non esclusivamente, quelli che chiamano
archi. Così un’opera come il Concerto per corde, percussioni e celesta di Béla
Bartók in italiano diventa Concerto per archi, celesta e percussioni. Si
trascura il fatto che tra le code Bartók preveda anche l’uso di un’arpa. Nel
titolo italiano, fuorviante, dell’arpa non resta invece nessuna traccia. Non è
il solo caso di approssimazione fallace di titoli tradotti in italiano da altre
lingue. Il più famoso, e davvero deviante, è quello che traduce il Wohltemperierte
Klavier di Johann Sebastian Bach con Clavicembalo ben temperato. La cattiva
traduzione è dovuta a una prima cattiva traduzione francese, da cui si è tratta
la traduzione in italiano. Klavier in tedesco significa tastiera e non
clavicembalo, clavicembalo si dice Cembalo, dunque il titolo significa La
tastiera ben temperata. Ciò taglia la testa a tante inutili controversie sull’uso
dello strumento adatto. Per Bach, qualsiasi strumento che si serva di una tastiera.
Anzi, dato il limite rispettato di quattro ottave, è probabile che pensasse al
clavicordo, che appunto non supera le quattro ottave. Era lo strumento di
studio, e l’opera è soprattutto un’opera di studio. Non solo, ma essendo il
clavicordo uno strumento sensibile al tocco, come il pianoforte, è probabile
che Bach lo preferisse proprio per questa ragione. E’ del resto una leggenda
metropolitana che Bach non amasse il pianoforte. Non amava i primi esemplari di
Cristofori. Ma quando Sielber a Berlino gli fece conoscere i suoi nuovi modelli,
ne ordinò quattro che si fece trasportare a Lipsia, per la sua personale
collezioni di strumenti. Ed è probabile che li usasse per i concerti nel Café Zimmermann,
luogo che sarebbe diventato il Gewandhaus. Tutto questo per riordinare un po’
le idee intorno all’uso degli strumenti, dal barocco al romanticismo. E proprio dal romanticismo parte Marco Minà,
che riunisce in questo bel cd musiche da Paganini al Novecento. Non c’è ancora
l’uso “popolare” della chitarra, essa è ancora uno strumento polifonico. La
tradizione italiana mette in risalto più la costruzione di melodie che l’intricarsi
dei ritmi, come avviene nella tradizione spagnola. Ma sarebbe fuorviante
intendere la cantabilità per esteriore sfoggio melodico. Paganini, oltre che
virtuoso di violino lo era anche della chitarra. Come prima di lui Boccherini, virtuoso
di violoncello, ma che spesso associa nei suoi quintetti una chitarra. Da
questo quadro storico emergono, tuttavia, caratteri comuni di chiarezza
formale, pulizia della scrittura contrappuntistica, mai esasperata, nemmeno
nelle pagine più contortamente moderne di Castelnuovo-Tedesco e Bettinelli. L’ascoltatore
può seguire senza difficoltà il formarsi delle melodie, il loro intrecciarsi,
il procedere fluido delle armonie. Il canto è quasi spudoratamente esibito da
Paganini. Più introverso in Giuliani. Si avvertono gli influssi di una cultura
controllata e severa come quella viennese. Sospeso tra la crisi delle forme
romantiche e l’inseguimento di nuovi modelli formali, Castelnuovo-Tedesco si
prefigge tuttavia di non rinunciare mai alla gradevolezza dell’ascolto,
assolutamente delizioso e godibile il suo Tempo di minuetto. Più intricato Bettinelli,
più asciutte le sinfonie contrappuntistiche, meno abituale l’armonia. La
secchezza, la spigolosità delle poetiche novecentesche ispira pagine più
ascetiche, alla ricerca di una nuova cantabilità che non risulti prevedibile.
Ma è mirabile la proprietà strumentale della scrittura, nessun punto che appaia
nemico della chitarra. Una sorpresa assai intrigante la rielaborazione di
Fratelli d’Italia scritta dallo stesso Minà. La musica, confessiamolo,
banalotta, del nostro inno nazionale, sembra acquistare qui una nobiltà che l’associa
ad altre sfere, meno popolari, della scrittura musicale. Proprio l’asciuttezza
del fraseggiare, la precisione del contrappunto, la morbidezza dell’armonia,
conferiscono alle letture di Marco Minà una sorta di rivelazione del senso di
queste musiche. Liberate dagli orpelli e dagli esibizionismi virtuosistici che
ne deturpano la chiarezza ed eleganza stilistica, riemergono con la freschezza
di musiche godibili non solo per la bellezza del canto, ma anche, e forse
soprattutto, per l’intelligenza e sobrietà della scrittura. Un capitolo
imprescindibile della musica per chitarra italiana. L’Inno d’Italia finisce
così per costituirne, più che la coda, il simbolo d’identità.
Fiano Romano, 24 luglio 2016
Grazie a Dino Villatico, un grande Italiano.
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