giovedì 28 luglio 2016

Luigi Cerina, La Nave Nera



Anonimous (Luigi Cerina), La nave nera, Viareggio, Edizioni Luigi Cerina / Macerata, Edizioni Simple, 2016, pp. 212, € 15,00
Intimacy, di Patrice Chéreau, comincia con una scena di sesso esplicito, ardente, integrale, tra un uomo e una donna, e dura circa 20 minuti (in Italia la distribuzione l’ha accorciata). Ma non è un film porno. Una donna e un uomo s’incontrano, a Londra, ogni mercoledì per fare sesso, senza sapere niente l’uno dell’altra, ma quando lui vuole approfondire la conoscenza e stabilire una relazione, lei rifiuta e si eclissa.  Plata quemada (solfi bruciati) di Marcelo Piñeyro, dal bellissimo romanzo dello scrittore argentino Ricardo Piglia, racconta di una banda criminale che effettua rapine, ammazzando i rapinati, e il giovane capo della banda è omosessuale. Molte, e dettagliate, le scene di sesso omoerotico. Ma non è un film gay, e tanto meno porno, anche se la distribuzione italiana (e solo quella!) ha inserito il video nella collana “queer”.  Potrei continuare. Ma finché il moralismo perbenista posttridentino che affligge il gusto e la cultura degli italiani continuerà a dominare quasi tutta la cultura italiana, e soprattutto la programmazione, l’amministrazione e il commercio della cultura, agli italiani sarà vietato di gustare come cinema d’arte, alta letteratura, gran parte di ciò che si è scritto, si scrive e si filma nel mondo. Ricordo che al liceo ci proibirono di acquistare un’edizione integrale del Decameron e dell’Orlando Furioso. Naturalmente tutti noi studenti disobbedimmo. In quegli anni si sconsigliava anche la lettura delle Affinità elettive di Goethe, e, naturalmente, i Dialoghi di Platone. Certi dialoghi, almeno. Perché poi bisognava sceglierne comunque uno da leggere nel secondo liceo classico, come testo di greco sul quale esercitarsi. “Ma con cautele, con cautela”, raccomandava un professore di greco, che per fortuna non insegnava nella mia classe, ma in un’altra sezione. Anche il romanzo di Luigi Cerina, La Nave Nera, comincia, come Intimacy, raccontando una scena di sesso. Ma tra tre ragazzi, in un villaggio della Scozia. Nemmeno il romanzo di Cerina, però, è un romanzo porno. O lo sono, allora, anche i romanzi di Moravia, di Lawrence, di Miller, e come accennato sopra, lo sono Boccaccio, e Chaucer, Rabelais, Ariosto, Aretino.  Lo sono due straordinari classici, poco conosciuti, come I Neoplatonici di Luigi Settembrini (sì, lui, uno dei Padri della Patria) e il Teleny di Osca Wilde. Il sesso domina molte pagine del romanzo di Cerina, anzi le pervade, sembra esserne l’argomento principale. Un sesso spesso estremo, criminale, distruttore. E anche politically incorrect, il protagonista, Stephen, ha 17 anni. Il nome credo che non sia casuale. Si pensa subito a Joyce, a Portrait of the Artist as a Young Man, ma anche a Ulysses. E anche La Nave Nera è un romanzo di formazione, di iniziazione alla vita. Che però ha la struttura di un romanzo di avventure, alla Conrad, o d’intricati intrecci familiari, come i romanzi di una Austin, delle sorelle Brontë. Non a caso la nave corsara è una nave inglese.  La vicenda racconta una serie di arrembaggi, la crudele eliminazione dell’intero equipaggio delle navi assalite; terribile la tortura, anche sessuale, subita da due nobili donne, madre e figlia, e racconta, però, anche i complessi rapporti di attrazione e repulsione tra gli uomini dell’equipaggio, le loro orge sessuali, la loro psicologia solo apparentemente primitiva, il sadismo, il masochismo che complica i loro rapporti. Ma tutti, nessuno escluso, si sentono dannati, sentono di appartenere all’inferno, e l’inferno è la Nave Nera. Tanto più dannati, quanto ciascuno di loro è di una bellezza sconvolgente, ma proprio questa bellezza sembra far parte della dannazione. Quasi all’inizio del racconto, la nave, uscita malconcia da una tempesta, si rifugia nel piccolo porto di un borgo scozzese, e il bellissimo, austero Capitano della Nave, incrocia dal ponte lo sguardo di un giovane sul molo, Stephen, e ne resta catturato. Anche Stephen ne resta conquistato. E’ l’inizio della loro appassionata, ma terribile,storia d’amore. Stephen cerca invano di penetrare il segreto che sembra tormentosamente racchiudere dentro di sé il Capitano.  Ma è proprio questo terreno sconosciuto dell’uomo amato ad accrescere e rendere ancora più assoluto il suo amore. Lo scioglimento del segreto, e della vicenda – Stephen rischia, tra l’altro, di essere ucciso dal Primo Ufficiale e nota con angoscia che il Capitano sembra non muovere un dito, assentarsi, lasciare che gli eventi precipitino. Si pensa a Billy Budd, il capolavoro di Melville.  Ma lo scioglimento volge invece verso un tormentato lieto fine, attraverso una serie spericolata, conturbante, sorprendente, di agnizioni. Ogni idea di morale, di rispetto delle convenzioni, è stracciata. Il male, la dannazione, sembrano, alla fine, invece, proprio l’idea di una morale, l’imposizione di convenzioni che opprimono la libertà della natura animale dell’uomo. L’inferno non è accettarla, questa libertà, ma guardarvi dentro, scrutarne gli abissi.  E quando se ne esce, allora, la morale non è una legge, imposta dall’esterno, da chi sa che cosa, da chi sa chi, ma, appunto il rispetto della natura di ciascuno, la libertà di darsi e di prendersi, senza porre limiti né al dare né al prendere.  Viene in mente una folgorante fusée di Baudelaire: “L’amour peut naître d’un sentiment noble, le goût de la prostitution; mais il est bientôt corrompu par le goût de la propriété”. La serie di agnizioni potrebbe far pensare a come si sciolgono tanti romanzi d’avventura del XIX secolo, ma anche allo scioglimento di una commedia solo apparentemente frivola come The Importance of Being Earnest di Oscar Wilde. Anche gli smarrimenti, ritrovamenti, riconoscimenti. Algernon, uno dei personaggi della commedia, definisce, come meglio non si potrebbe, che cosa debba intendersi per libertà di giudizio nei confronti della realtà: “La verità, pura lo è di rado e semplice, mai”. Non è possibile, qui, rivelare la soluzione dell’intreccio di agnizione, perché si rovinerebbe al lettore la sorpresa, che fa parte della costruzione della trama. Come in ogni romanzo d’avventura che si rispetti.  Il lettore potrebbe rimproverarmi, se mai, a questo punto, di non avere mai nominato il Divino Marchese. Ma l’ho fatto apposta. Primo, perché quando si leggono racconti di sesso estremo, si pensa subito al Marchese De Sade; secondo, perché porterebbe fuori strada il lettore. Qui non si tratta di dimostrare una tesi, o di mostrare gli abissi umani. Qui si tratta di scandagliare, semplicemente, l’uomo, tutto l’uomo, nel bene e nel male, di scavalcare anzi la classificazione di bene e di male, per affrontare quello che Wagner chiamerebbe il “puramente umano”, e Nietzsche l’antropologia dell’uomo, così come viene definendosi nella Genealogia della morale. Non a caso Stephen sembra prefigurare Darwin. Sale sulla Nave Nera per studiare piante e animali del mondo, e disegnare, fissare sulla carta i profili degli uomini che abitano la Nave Nera. Nei loro abissi scopre i propri, di abissi, soprattutto verso la fine. Ma che poi abbia la forza di ritrarsi rivela più che la sua tempra morale, la natura di osservatore, di scienziato che lo domina. Che partecipi alle passioni di tutti fa parte del suo stare al mondo come esemplare della specie umana, Ma che quelle passioni, poi, sia in grado di osservarle, e studiarle, anche in sé stesso, fa parte della sua mente di scienziato e di artista. Solo una cultura fastidiosamente e ancora ossessivamente crociana, che separa l’emozione dalla razionalità, continua in Italia a separare le due attività, a credere che il cervello di uno scienziato non possa essere anche il cervello di un artista. Su questa divisione di campo il cattolicesimo poi ci mette il suo carico da undici. E la cultura italiana è servita. Servita anche la sua mediocre Scuola Cattolica.
Fiano Romano, 28 luglio 2016

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