Silvio
Perrella, Da qui a lì. Ponti, scorci, preludi,
Roma, Gaffi Editore, 2018, Trieste – Roma, Italo Svevo, “Piccola
biblioteca di letteratura inutile. Idea e cura di Giovanni Nucci,
pagg. 86, € 12,50
L’accostamento
di Chopin a Montaigne potrà sorprendere e far storcere il naso a
molti. Ma prima di sorprendersi e di storcere il naso, sarà bene
leggere per intero il capitoletto, che poi è il primo del libro, e
domandarsi le ragioni dell’accostamento. Poco più avanti compare
il nome di Goffredo Parise, si citano i suoi splendidi Sillabari.
Allora, mettiamo un po’ di ordine nelle idee. Che c’entrano i
Preludi di Chopin con gli Essais
di Montaigne, si sarà domandato chi appunto si è sorpreso e
ha storto il naso. E perché Parise? Allora, tanto per cominciare,
un po’ di linguistica. La parola “essai”, francese, ha finito
con il significare, in italiano, “saggio”, ma ciò è avvenuto
proprio per l’uso che ne ha fatto Montaigne. Il significato base
del termine è prova, collaudo, tentativo. E del verbo che ne deriva,
“essayer”, provare, collaudare, tentare. Del resto anche in
italiano si dice: saggiare la situazione, saggiare il terreno. Allora
– ideo, in latino –, come scrive Silvio Perrella, i preludi di
Chopin “sono ‘saggi’ musicali, visioni, scorciatoie, in
sintonia con Montaigne che ha intitolato la sua opera Saggi; è
arte dell’alba”. Chiamato in causa Parise, Perrella precisa che
la “possiamo chiamare arte dell’inizio”.
Il libro sono diciotto
preludi verbali che alternano uno dopo l’altro caratteri romani e
corsivi, e in ciascuno si racconta un collegamento, un’associazione,
“da qui a lì”, appunto, come sul terreno o nelle città fanno i
ponti se si deve attraversare un corso d’acqua, un vuoto, una
strada sottostante. Ogni capitoletto parte da un pretesto (alla
lettera: un pre-testo) o figurativo o letterario o musicale o che
viene suggerito da un ricordo personale, per esempio il ponte Oreto a
Palermo, il Ponte dei Sospiri a Venezia. A Palermo, Perrella ci è
nato, e quel ponte è la sua infanzia. A Venezia, il ponte introduce
a un carcere. Ma Perrella lo ha visto la prima volta con il padre, e
scopre che tutta Venezia è una città di ponti. Senza, la vita
quotidiana vi sarebbe impossibile. Ma i saggi, i preludi hanno anche
un altro aspetto particolare: non mostrano paesaggi interi, vedute
complete, non esauriscono lo spunto, l’argomento di partenza. Ci
presentano la realtà per scorci, da un angolatura insolita. Di
fatto, verrebbe da dire, tutta l’arte, l’arte di tutti i tempi, è
così, mostra particolari, scorci, visuali parziali di eventi,
d’immagini che s’intravedono o si sottintendono. Perfino certi
grandi poemi, come l’Iliade, che non racconta tutta la
guerra di Troia, ma soltanto un episodio, l’ira di Achille, e le
conseguenze della sua diserzione dal campo degli Achei. Aristotele vi
teorizzò sopra che l’opera d’arte non racconta, non rappresenta
mai il tutto, ma solo una parte, dietro la quale, o sotto,
s’indovina, s’immagina il resto. Proprio per questo l’artista
può disegnare nitidamente il particolare, il frammento, che a quel
tutto rimanda. L’Edipo Re di Sofocle non porta sulla scena
tutta la vita dell’eroe, ma solo il momento in cui Edipo viene a
conoscere la verità della sua condizione. Indagando sulla verità
Edipo scopre che il colpevole del delitto sul quale sta indagando è
proprio lui che indaga. Invenzione degna di un’Agatha Christie, che
infatti in un romanzo la copiò. Ma torniamo al prezioso libretto di
Perrella.
Alcune pagine mi hanno addirittura commosso, perché mi ci
sono riconosciuto, perché anche io ho vissuto la stessa esperienza.
Per esempio le pagine sulla Venere allo specchio di Velázquez.
Ci fu nel 2005 una bellissima mostra del Velázquez al Museo di
Capodimente di Napoli, e lì
vede il quadro Perrella. Io l’avevo visto, anni prima, alla
National Gallery di Londra. Ma in mezzo a tanti capolavori non ne
restai particolarmente
colpito. O non ero maturio per comprenderne la profonda bellezza. Poi
andai alla mostra di Capodimonte. Rivederlo
a Napoli fu una folgorazione. Wittkower, se
non sbaglio, lo definisce il più bel nudo della pittura occidentale.
Perrella s’interroga sul senso di
quel bellissimo nudo, sul senso che il
passaggio del quadro abbia lasciato a Napoli. Lo scorcio del nudo (il
viso si vede solo nello specchio) ritrae forse uno scorcio del
ricordo, o il baluginare di un pensiero che riflette sulla fugacità
dell’amore e la caducità della bellezza. Come da lassù, da
Capodimonte – e sono io a riflettervi – lo scorcio in basso della
città. Nella mia camera da letto ho appeso una riproduzione del
quadro, la locandina, appunto,
della mostra napoletana. Poi, apgine
avanti, c’è Leopardi, negli ultimi suoi
anni cittadino napoletano. “Leopardi dalla sua postazione visiva
raffigura il golfo di Napoli. … Dinanzi a quel paesaggio è
evidente che il tempo non è per nulla progressivo. L’umile
ginestra lo dimostra crescendo là dove sembrerebbe impossibile. Ed è
proprio lei la misura che lo sguardo del poeta si sceglie per
congedarsi da un
mondo che gli sembra scagliato contro illusioni vane e senza alcuna
misura”. Parole terribili, ma desolatamente vere. Soprattutto oggi.
Perrella c’invita a riflettere sui ponti, sui passaggi (come, nel
secolo scorso, Walter Benjamin). Il ponte ci conduce da un luogo a un
altro. La prima cosa che una guerra distrugge sono i ponti. Per
bloccare l’attraversamento, il passaggio da una terra all’altra.
Finita la guerra, i ponti si ricostruiscono. Perché sono necessari,
perché nessuna terra può essere abitata se non ha ponti che
permettano di percorrerla, attraversarla. Anche la poesia, la musica,
la pittura, l’arte, hanno bisogno di ponti. Ve l’immaginate
un’Eneide se
Omero non avesse scritto l’Iliade
e l’Odissea?
O un Petrarca senza i trovatori e i trovieri, o senza lo Stil Novo?
La pittura ad olio in Italia senza Antonello da Messina che ne
importa la tecnica dalle Fiandre? I Concerti
Brandeburghesi senza Corelli, Vivaldi,
Couperin? Rossini senza Paisiello, Cimarosa
e Haydn, Mozart?
La dodicesima notte
di Shakespeare senza quella commedia stupenda che sono Gli
ingannati dell’Accademia degli
Intronati di Siena? La cultura ha sempre lanciato ponti, tra un paese
e l’altro, tra una lingua e l’altra,
tra una letteratura e un’altra. Mai
alzato muri. Oggi, in Italia, i ponti crollano e si vogliono alzare
muri, per ora solo metaforici, ma altrove se ne alzano di veri. Quale
ginestra sbriciolerà il malto che li tiene insieme? E
sbriciolati i muri che hanno diviso le nostre vite, avremo poi la
forza di sostituirli con strade, ponti, che non crollino? Il
libricino si legge d’un fiato, sono solo 74 pagine, e 12 di Titoli
di coda, un indice, la descrizione
tipografica, il catalogo della Piccola
Biblioteca di letteratura inutile. Ma è
il fiato, che poi ci manca, se, finita la lettura, pensiamo all’oggi.
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